Il ministro Orlando: «Ombre dal caso Saguto ma in Sicilia prevale la antimafia vera»

Di Mario Barresi / 09 Novembre 2015

Nonostante lo scandalo Saguto, «un’ombra così forte in un settore importante» e le altre devianze affaristiche, nell’Isola ci sono «storie di successo» nella lotta a Cosa Nostra: quelle «dei giudici, dello Stato e della società civile». Ovvero, «l’antimafia vera, quella che prevale in Sicilia». Non vuole buttare via l’acqua sporca con tutto il bambino, Andrea Orlando. Che, ammettendo i timore per il ritorno della stagione dei veleni a Palermo («il rischio esiste»), è certo dell’efficacia degli anticorpi anche dentro il Palazzaccio: Di Vitale e Lo Voi hanno dato prova di «capacità di reazione». Il ministro della Giustizia – oggi in visita a Catania e a Caltagirone, domani a Messina – minimizza le lungaggini nell’abbreviato di Mannino, «un processo con importanti implicazioni, non lo prenderei come parametro sui tempi della giustizia». E in questa lunga intervista ci parla anche di altri temi: dal caso Crocetta–Tutino all’evaso di Lecce, fino al Ponte sullo Stretto. È un modo «per accontentare Alfano» come definì il tetto dei contanti a 3mila euro sul quale lui era contrario? «No, qui siamo tutti d’accordo: prima si devono fare le strade, poi si vedrà».

 

– Ministro Orlando, a Catania parteciperà alla commemorazione dei 20 anni dalla morte di Serafino Famà. Nell’Isola–cimitero di giudici e poliziotti, ci fu un avvocato, forse non ricordato come meriterebbe, che fece il suo dovere e venne ucciso dalla mafia.

«Assolutamente. Ho aderito volentieri a questo invito, mi pare un’occasione anche per ricordare il fatto che l’avvocatura, per la sua funzione, ha un ruolo essenziale nella tutela dei diritti, e quindi nel contrasto di soggetti che pongono in discussione l’affermazione dello stato di diritto, a partire dalla mafia».

 

– A Catania c’è un’emergenza sugli spazi giudiziari. In attesa della Cittadella, c’è la necessità di reperire degli immobili in affitto. Come interverrà?

«Questi incontri che stiamo facendo nei territori sono occasioni di scambio di informazioni, ma anche un momento per affrontare alcuni problemi. Mi auguro che questo passaggio ci consenta di portare a compimento l’interlocuzione che già esiste con gli enti locali. Tanto più in seguito al fatto che la competenza sull’edilizia è passata da settembre al ministero. Per Catania ci sono delle soluzioni importanti in campo, le stiamo valutando dal punto di vista tecnico».

 

– Nel pomeriggio sarà a Caltagirone. Dove, come a Sciacca, c’è preoccupazione per la chiusura del tribunale.

«Sto visitando le sedi che hanno una situazione di difficoltà sulla base di parametri oggettivi, cioè l’andamento dell’arretrato e i tempi del processo nell’ambito civile. Si tratta di capire intanto che cosa non funziona e cercare di dare una mano al miglioramento della situazione».

 

– Allora non è una visita al capezzale di un tribunale moribondo, né una sorta di “estrema unzione” a una struttura che verrà accorpata?

«Ho visitato altri tribunali la settimana scorsa con lo stesso criterio, come quello di Nola che ha competenza su 500mila abitanti, e martedì (domani per chi legge, ndr) visiterò il tribunale di Messina. Si può ipotizzare anche solo in astratto la chiusura di queste sedi? Il punto fondamentale, invece, è come restituire efficienza in un campo specifico come quello del civile, fondamentale per la competitività del Paese. E queste sedi sono emerse come quelle con una situazione di maggiore difficoltà».

 

– A Palermo tiene banco il caso Saguto. Lei è stato molto duro, ha inviato anche degli ispettori. Che idea s’è fatto di questo enorme scandalo nella gestione dei beni confiscati alla mafia?

«È presto per tirare delle conclusioni. Il lavoro degli ispettori deve ancora concludersi e la vicenda deve svilupparsi dal punto di vista penale. E poi io non sono stato duro: ho ritenuto che nel momento in cui c’era un’ombra così forte in un settore così importante come quello del contrasto patrimoniale alla mafia, fosse nostro dovere, anche a titolo cautelare, intervenire».

 

– Ma ci sono stati, per fortuna, anche gli arresti di Bagheria, grazie a chi ha denunciato il racket. In Sicilia allora c’è una antimafia sana, che fa da contraltare a quella degli affari con protagonisti pezzi dello Stato e dell’imprenditoria?

«Non parlerei di contraltare. Credo che l’antimafia, compresa quella delle misure di prevenzione, sia una vicenda di successo della giurisdizione, dello Stato e della società siciliana che ha saputo mobilitarsi in momenti cruciali determinando un salto di qualità nella capacità di contrasto alla mafia. Una capacità che caratterizza la grande maggioranza della attività degli uffici giudiziari. La vicenda in sé è molto grave e non va sottovalutata, proprio perché rischia di dare un’ombra negativa su tutto questo lavoro, che è assolutamente quello prevalente. È l’antimafia vera, quella che prevale in Sicilia».

 

– Eppure a Palermo c’è chi parla di nuova stagione dei veleni in tribunale. C’è da aver paura di arsenico e vecchi merletti?

«Il rischio, quando esplode una vicenda come questa, esiste. A far sì che questo rischio sia evitato ci sono personalità forti e capaci come il presidente Di Vitale e il procuratore Lo Voi, che mi pare anche in questa vicenda abbiano dato segno di capacità di reazione. Lo stesso si dica per chi guida Corte d’Appello e Procura generale, magistrati autorevoli chiamati a supportare gli uffici direttamente interessati. L’equilibrio e la tempestività con cui si sta muovendo la Procura di Caltanissetta mi paiono ulteriori elementi di rassicurazione».

 

– E nel pieno della lunga estate calda siciliana c’era stato il caso della telefonata Crocetta–Tutino, la cui esistenza è stata smentita, che rilanciano il tema delle intercettazioni sul quale lei sta lavorando con molta attenzione.

«Mi pare che questo sia un caso assolutamente “sui generis”, per il resto ritengo che l’intervento che si deve realizzare è un intervento finalizzato a ridurre il rischio di fuga di informazioni attraverso un processo di scrematura del materiale, tanto di quello destinato alla emanazione delle ordinanze, tanto di quello destinato a finire nei fascicoli».

 

– Restiamo a Palermo: Mannino è stato appena assolto al processo sulla trattativa Stato–mafia. Era un rito abbreviato, ma è durato quasi tre anni. L’ex ministro s’è detto «vittima di pm ostinati».

«Si tratta di un processo che aveva una serie importante di implicazioni. Quindi non prenderei questo processo come un parametro sui tempi della giustizia in generale. Perché credo ci fosse un elemento di particolare complessità».

 

– Ma è una sconfitta del teorema della trattativa o un semplice incidente di percorso?

«Ogni processo deve avere la sua storia. Dopo di che io non commento i processi in corso e non commento le sentenze, anche per un dovere di carattere istituzionale».

 

– Il detenuto evaso all’ospedale di Lecce pone un tema di qualità del sistema penitenziario. Ci sono delle falle?

«Anche qui non trarrei conseguenze da una vicenda specifica. Il numero delle evasioni è assolutamente inferiore a quello degli altri Paesi. C’è sicuramente un problema di riconoscimento delle funzioni della polizia penitenziaria e da fare un salto di qualità anche nell’organizzazione. Credo che un primo obiettivo da perseguire subito sia quello del riallineamento di carriera. Che mi auguro possa essere un risultato conseguito in breve tempo».

 

– Ultimamente si invoca Cantone per qualsiasi problema. Perché in Italia abbiamo così bisogno di un “supereroe” anticorruzione? La pubblica amministrazione non ha gli anticorpi? Il sistema giudiziario non basta?

«L’Authority è un anticorpo! Ce ne vogliono molti altri, da quelli istituzionali, a quelli tecnici. Oltre a un ruolo che devono svolgere i soggetti sociali, i corpi intermedi, con la partecipazione democratica come condizione essenziale per ridurre il rischio di corruzione. Un piano regolatore o un piano sanitario, se costruiti nella discussione pubblica, è molto più difficile che possano essere il campo di scorreria per i criminali e reti corruttive. Spesso abbiamo visto che la corruzione nasce anche da scorciatoie procedurali, strade che riducono quanto più possibile il confronto democratico».

 

– La corruzione ha un suo manuale in Mafia Capitale, che ha avuto delle ricadute in Sicilia con la gestione del Cara di Mineo. Cosa pensa di questa brutta pagina della nostra storia?

«Come le ho detto non ho la facoltà di commentare indagini in corso per ovvie ragioni di carattere istituzionale. Però devo dire una cosa: ci sono elementi che possono sicuramente suscitare particolare reazione perché, se si dovessero confermare vicende di malaffare in un campo così delicato e così legato al senso di umanità, credo che la cosa non possa che suscitare ulteriore indignazione. Tuttavia, vorrei in questo caso ricordare che la storia che l’Italia può raccontare non sta solo in questa vicenda. Noi abbiamo dato nell’accoglienza una grandissima risposta di civiltà, anche a livello europeo, che non può essere oscurata da singole vicende di malaffare».

 

– Ha proposto una stretta sul caporalato, una piaga che colpisce profondamente la Sicilia. Cosa vuole fare?

«È un risultato che molto presto sarà approvato dalla Camera e mi auguro entro la fine dell’anno dal Senato. Si tratta di una risposta che determina un salto di qualità nel contrasto a questo fenomeno. Non più la criminalizzazione soltanto di chi recluta la manodopera attraverso questa forma, ma anche di chi da questa manodopera trae dei proventi. Con una sanzione non soltanto di carattere reclusivo, ma anche di carattere patrimoniale ed economico come la confisca del terreno. Perché non si tratta di soggetti isolati o di funghi che spuntano: sono reti consolidate che vanno smantellate anche in questo caso colpendo appunto la dimensione patrimoniale».

 

– Renzi ha rotto il silenzio sul Ponte: si farà, ma non subito. Cos’è, un altro modo «per accontentare Alfano» come lei stesso definì l’innalzamento del tetto dei contanti a 3mila euro?

«Per ora mi sa che siamo tutti d’accordo sul fatto che prima di parlare di Ponte si debbano fare le strade. Poi questo tema si vedrà. Oggi abbiamo bisogno di colmare un deficit di infrastrutture e il punto di partenza non mi pare davvero quello del Ponte. C’è un lavoro da parte del governo non solo per un salto di qualità di carattere infrastrutturale, ma per consentire anche che le condizioni di investimento nel Mezzogiorno siano migliori».

 

– Anche nel settore della giustizia?

«Il lavoro che stiamo facendo, per esempio, sul fronte della giustizia civile si inquadra in questo ambito. Una parte delle ragioni per cui gli investitori internazionali non sceglie il nostro Paese è quello dei tempi della giustizia, e purtroppo al Sud ci sono dei tribunali che sono il fanalino di coda a livello nazionale. Ma nel frattempo ci sono dei tribunali che hanno fatto dei salti di qualità enormi, come il caso che spesso cito del tribunale di Marsala. C’è un lavoro specifico di innovazione e di supporto alla ripresa nel Mezzogiorno che, come abbiamo visto, è più faticosa e più difficile che nelle altre realtà italiane ma essenziale per uscire dalla crisi di tutto il Paese».

 

– A proposito di difficoltà. Il governatore siciliano, al suo quarto rimpasto, ha avuto un rapporto burrascoso col governo nazionale. Qual è il suo giudizio sull’esperienza Crocetta?

«Come ministro della Giustizia ho un osservatorio molto parziale. Non sono in grado di dare un giudizio, mi auguro semplicemente che la giunta siciliana con questo passaggio ultimo abbia trovato una sua stabilità. Perché credo che quello sia il presupposto fondamentale a realizzare un obiettivo, l’azione riformista, di cui ha necessità la Sicilia».

Twitter: @MarioBarresi

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Redazione
Tag: andrea orlando ministro della giustizia