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Governo Conte bis: la Camera dà la fiducia, ora battaglia in Senato

Di Francesca Chiri |

La prima fiducia al governo Conte (343 sì e 263 no) arriva in una limpida giornata di settembre, senza alcun pericolo per i numeri in Aula alla Camera (sarebbe bastata una maggioranza politica di 316 sì) ma con una protesta di piazza chiamata da Giorgia Meloni, con il sostegno di Matteo Salvini, che proprio fuori Montecitorio grida contro i «ladri di sovranità» e invoca «elezioni, subito». Un clima di scontro che dalle strade si riverbera fin dentro il Parlamento dove i due partiti all’opposizione scatenano la bagarre guadagnandosi anche l’espulsione di un deputato. E che finisce per provocare l’ira di Giuseppe Conte.

Proprio lui che nonostante gli schiamazzi, fuori e dentro il Parlamento, si era presentato a chiedere la fiducia della Camera con un discorso, tra i più lunghi della storia della Repubblica, con il quale intendeva inaugurare una nuova stagione di pacatezza. Lui che aveva inserito nel suo discorso un richiamo a Giuseppe Saragat (“Fate che il volto di questa Repubblica sia un volto umano”) anche per rimarcare il cambiamento dei toni rispetto all’esperienza precedente, in occasione della replica si riprende la scena per una nuova e dura reprimenda dei metodi del Carroccio e del suo leader.

«Io e tutti i miei ministri prendiamo il solenne impegno, oggi davanti a voi, a curare le parole, ad adoperare un lessico più consono e più rispettoso delle persone, della diversità delle idee. La lingua del governo sarà mite, l’azione non si misura con l’arroganza delle parole» aveva esordito in mattinata Giuseppe Conte. Poi nel pomeriggio, durante la replica, Conte, pesantemente attaccato da Lega ed Fdi, cambia registro: sbotta e tuona soprattutto contro gli ex alleati. Rinfaccia alla Lega di aver avuto «reazioni emotive» e ceduto a «proclami», di essere “coerente» solo con le proprie «convenienze elettorali», rimprovera Matteo Salvini per le sue assenze ai Consigli europei.

«Avete parlato di tradimento ma ripetere all’infinito queste parole non potrà cambiare la realtà dei fatti: questa è una grande mistificazione. Il fatto di pensare che una singola forza politica o addirittura il suo leader possa decidere ogni anno a suo piacimento o addirittura a suo arbitrio di poter portare il Paese alle elezioni è irresponsabile» dice all’ex vicepremier, con il volto teso e costretto a riprendere la parola tra mille interruzioni, urla da stadio, sfottò, applausi ironici, deputati leghisti che alzano la loro sedia al grido “poltrone!», «buffone», «venduto» e «elezioni». Grida che precedono le dichiarazioni di voto in cui Fi annuncia di non voler votare la fiducia e dove Giorgia Meloni ribatte stizzita al premier (“volgare è imbullonarsi alla poltrona”) e denuncia “manovre di palazzo» profetizzando: «sarete travolti da un’Italia libera e sovrana». Anche la Lega ribatte con durezza (“Conte non è stato eletto ma portato qui dal partito del Vaffaday”) anche se lo scontro più duro è atteso domani in Senato quando Conte si presenterà a palazzo Madama per richiedere anche lì la fiducia con numeri certi, dovrebbero essere assicurati 163 voti, con il timore di qualche defezione, anche tra i 5 Stelle, ma l’aggiunta di altri voti dal gruppo misto e dai senatori a vita. Anche il dem Matteo Richetti non ha ancora sciolto le sue riserve: «Valuterò, domani intervengo in Aula» spiega. Ma ad intervenire in Aula a palazzo Madama domani ci sarà soprattutto il senatore Matteo Salvini. Che oggi ha anche ascoltato Conte attaccare chi si fa «condizionare da pressioni di poteri economici e da indebite influenze esterne». Conte, nel suo discorso da un’ora e mezza, invece annuncia passo per passo le linee programmatiche del suo nuovo governo. A partire dal primo banco di prova che sarà la manovra, passando per la riduzione del debito pubblico e delle tasse fino ad annunciare una serie di riforme: dal fisco alla giustizia, dal taglio dei parlamentari alla nuova legge elettorale, passando per l’autonomia regionale e la revisione dei decreti sicurezza, promettendo più opere pubbliche e più lavoro, un’Italia più verde e più smart. E poi ancora interventi per gli asili nido e una legge di genere per equiparare gli stipendi delle donne, la sempre rinviata legge sulla rappresentanza sindacale. Plaude il Pd. «Oggi si chiude la stagione della cattiveria, dell’odio e credo si possa guardare avanti» commenta il ministro e capo delegazione del Pd al governo, Dario Franceschini che promette: “adesso ci rimbocchiamo le maniche per il bene del paese».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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