Dopo cinque mesi di lavoro, stesure, revisioni, prove di forza e una tre giorni-fiume di votazioni, la riforma del processo penale voluta da Mario Draghi e firmata da Marta Cartabia passa in tarda serata con 396 sì, 57 no e 3 astenuti: un voto che sembra ricompattare solo in parte la maggioranza, facendo risalire sensibilmente il tasso di assenze, oltre sessanta, in parte imputabile al dissenso politico dei 5 stelle alla riforma. I 396 sì sono infatti ben lontani dai 462 ok alla prima fiducia della notte e mettono in evidenza soprattutto i tormenti dei pentastellati, alcuni dei quali, un paio, avrebbero addirittura votato contro il provvedimento. Un rush finale consumato nel caldo torrido di agosto, mentre il Pd lancia le sue Agorà, la Lega torna al Papeete e i pentastellati affrontano il voto sul nuovo Statuto e la leadership di Giuseppe Conte da consolidare.
A imporre i tempi stretti è l’Ue, che nel Pnrr ha legato l'arrivo dei fondi del Recovery plan alla drastica riduzione dei tempi pachidermici dei processi penali in Italia (-25% in cinque anni). Una cavalcata che solo negli ultimi tre giorni è passata per la votazione delle pregiudiziali domenica, per la doppia fiducia nella notte tra lunedì e martedì e una lunghissima giornata in aula iniziata oggi poi alle nove di mattina per la discussione degli ordini del giorno al testo delle riforma, che più volte hanno messo alla prova la tenuta della maggioranza.
Prima sul tema della responsabilità civile dei magistrati sollevata da Fdi. sul quale Lega, Forza Italia e Coraggio Italia hanno annuciato l’astensione nonostante il parere contrario del Governo, provocando la reazione di Pd e Leu. Poi sugli ecoreati per i quali l’aula si spacca, soprattutto sulla riformulazione dell’odg in materia che finisce per non passare solo sul filo di lana, bocciato dalla maggioranza con 186 voti contro 181.
I «si» alla riforma arrivano da Più Europa, Noi con l’Italia, Liberi uguali, Coraggio Italia poi Pd («il nostro contributo è stato determinante per una riforma innovativa», dice Alfredo Bazoli), Lega («è il ritorno del buonseno e della civiltà», dice Roberto Turri) e M5S («Non intendo rispondere a nessuna provocazione, perché la giustzia non è una questione personale», esordisce l’ex Guardiasigilli, Alfonso Bonafede).
A settembre il testo passerà in Senato per diventare legge, ma il primo l’ok segna anche una vittoria per Giuseppe Conte cui non erano piaciute le defezioni del movimento di domenica (circa il 25%) nè il voto in dissonanza di Alessandro Melicchio sulle pregiudiziali di costituzionalità presentate dall’opposizione.
Tra i nodi sui quali si sono consumati trattative e scontri delle ultime settimane, innanzitutto la prescrizione processuale: in appello, secondo la riforma, i processi dovranno durare due anni e in Cassazione uno, con la possibilità che i procedimenti più complessi arrivino rispettivamente fino a tre anni e a 18 mesi. L’accordo raggiunto nei giorni scorsi prevede ulteriori proroghe di un anno per i reati più gravi come mafia, terrorismo, violenza sessuale e traffico di droga, stabilite dal giudice. Mentre resta la non prescrizione per i reati puniti con l'ergastolo. Inappellabili invece le condanne per i reati minori.
Si guarda poi in maniera diversa alla pena, con l'impiego dei lavori socialmente utili non retribuiti, arresti domiciliari o semilibertà con rientro nottunre, per le condanne e i9 reati più lievi. E si rivede anche la detenzione con ampia apertura alle sanzioni alternative e con assunzioni e formazione per il personale carcerario, soluzione ancor più sentita dalla ministra Cartabia dopo la sua visita al carcere di Santa Maria Capua Vetere, teatro dei sanguinosi pestaggi del 2020. Infine potenziamento dello staff del magistrato che diventa l'arma per velocizzare del 25% il processo penale e del 40% quello civile, con l’'assunzione a tempo determinato nei prossimi 5 anni di 21.910 persone.