«I procedimenti di mafia e terrorismo non andranno in fumo». Il ministro della Giustizia Marta Cartabia ribatte con nettezza, in Aula alla Camera, alle accuse arrivate alla sua riforma del processo penale da magistrati come il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri e il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho. Su quelle accuse poggia la battaglia che il Movimento 5 stelle fa in Parlamento per modificare la riforma e le parole della ministra non sembrano convincere i pentastellati: «Sulla lotta alla criminalità organizzata non si scherza», dichiarano, respingendo le norme di Cartabia sulla prescrizione. Un tentativo di mediazione è in atto per modificare il testo, con l’accordo di tutta la maggioranza, per spezzare le barricate pentastellate. Ma la mediazione, partita dopo il colloquio del premier Mario Draghi con il leader in pectore del M5s Giuseppe Conte, non sembra decollare: i Cinque stelle – osservano dal governo – stanno facendo una sostanziale melina, perché non avrebbero reso chiari i possibili punti di sintesi.
Imperativo di Draghi è rispettare l’impegno al via libera alla riforma alla Camera entro agosto (quando si entrerà in un semestre bianco che si annuncia turbolento). Ma in commissione ci sono 1631 emendamenti, di cui oltre 900 solo dei Cinque stelle: il presidente M5s, Perantoni, scrive al presidente della Camera Roberto Fico che è impossibile portare il testo in Aula il 23 luglio come programmato, va fissata un’altra data. Un rinvio, insomma. Una nuova data potrebbe essere indicata per la prossima settimana. Sia Enrico Letta, che spinge per la mediazione, sia Matteo Salvini, che attacca i Cinque stelle, sia Matteo Renzi, che firma i referendum proposti da Radicali e Lega, ribadiscono l’impegno al via libera entro l’estate. Ma a questo punto un voto di fiducia in Aula su un maxiemendamento è lo scenario considerato sempre più probabile. Ancora non è chiaro se sarà messo su un testo blindato o su un testo frutto di intesa. Ma Fico, che dice di aver ascoltato le obiezioni di alcuni magistrati, a domanda su un’eventuale fiducia, frena: "Auspico un accordo di tutte le forze politiche con lavoro approfondito in commissione».
Al centro delle critiche – rilanciate dal M5s – ci sono le norme che fanno terminare il giudizio di appello per improcedibilità dopo due anni (tre per i reati più gravi) e la Cassazione dopo un anno (18 mesi per i più gravi). Secondo l’Anm quelle norme «eliminano» i processi senza accompagnarsi a «una misura acceleratoria» che assicuri una ragionevole durata. Si fa "un favore alle mafie», è durissimo Gratteri. Ma Cartabia, che martedì a Napoli ha toccato con mano le difficoltà di uno dei tribunali con i tempi di giudizio più lunghi d’Italia, ribatte che il governo è «consapevole di quello che fa» e lavora proprio per combattere il «gravissimo» vulnus della durata eccessiva dei processi, anche con concorsi e con l’assunzione di 16500 addetti all’ufficio del processo. Ma non andrà in fumo – ribatte agli attacchi – nessuno dei procedimenti per mafia, sia perché per i reati più gravi c'è la possibilità di prorogare il termine di due anni fissato in appello per l’improcedibilità, sia perché «i procedimenti che sono puniti con l’ergastolo – e, spesso, lo sono quelli per mafia – non sono soggetti ai termini dell’improcedibilità».
I deputati del Movimento componenti della commissione Giustizia della Camera replicano però con una nota puntuta in cui osservano che «i processi contro la grande criminalità non si esauriscono con i maxi-processi nei confronti dei vertici delle organizzazioni» e solo in piccola parte riguardano reati condannati con l’ergastolo. L’obiettivo del M5s, spiegano fonti di maggioranza, sarebbe quello di indicare espressamente i reati per mafia, terrorismo e contro la Pa tra quelli imprescrittibili. Ma la mediazione con Conte, portata avanti sull'asse via Arenula-Palazzo Chigi con il supporto dell’area più governista del Movimento, al momento mirerebbe a non stravolgere la riforma ma intervenire con modifiche puntuali. Ad esempio il Pd preme per ampliare la norma transitoria che disciplina l’entrata in vigore della riforma e che secondo la stessa Cartabia «consentirà agli uffici in maggiore difficoltà di adeguarsi e di sfruttare le occasioni degli investimenti e anche della digitalizzazione per poter essere al passo con i tempi» e ridurre la durata dei procedimenti, così da dar modo a tutti di concludere l’appello in meno di due anni. L’idea sarebbe far entrare a regime la nuova prescrizione dal primo gennaio 2025 e intanto stabilire che l’appello possa durare tre anni e la Cassazione un anno e mezzo o due. Altra ipotesi è far scattare il computo della prescrizione non dal deposito delle motivazioni di primo grado ma da quando si presenta l'impugnazione. E c'è chi ipotizza un’estensione dei reati cui si applica l’appello di tre anni.
Ma intanto la commissione Giustizia certifica lo stallo. Il presidente M5s della commissione, Perantoni, rinvia al presidente della Camera Roberto Fico perché con la capigruppo decida una nuova data per l’Aula, perché questo sia «una opportunità di dialogo». Ma a chi, come il Pd, chiede intanto di iniziare in commissione ad esaminare i testi, i Cinque stelle, che hanno presentato oltre 900 emendamenti di cui un’ottantina qualificanti, oppongono un deciso no. Prima la capigruppo (e l'intesa) poi si parte.