Giuseppe Conte si recherà al Quirinale per dimettersi, aprendo una delicata crisi di governo. Comunicherà prima al Consiglio dei Ministri la sua decisione di lasciare il governo, poi salirà al Colle per la formalizzazione. Da quel momento in poi diverse soluzioni entreanno negli scenari che dovrà valutare il Capo dello Stato, che sicuramente avvierà consultazioni lampo con tutte le forze politiche, dal reincarico al premier uscente per un «ter», come a parole auspicano Pd,M5s e Leu, fino alla soluzione estrema dello scioglimento delle Camere.
Il Movimento Cinque Stelle, a caldo, definisce il passaggio a un Conte ter «inevitabile» e «l’unico sbocco di questa crisi scellerata». «Un passaggio necessario – prosegue una nota dei capigruppo pentastellati – all’allargamento della maggioranza». Anche il Pd apre a un nuovo governo a guida dell’’avvocato degli italianì, ma sul come è ancora buio pesto.
La decisione di salire al Colle, arriva dopo una lunga giornata segnata dalla tensione e dall’incertezza. Il presidente del Consiglio per ore è stato di fronte al bivio se dimettersi in giornata o attendere ancora. Ha deciso di aspettare qualche ora in più nel tentativo di incassare il via libera dei partiti di riferimento della maggioranza (Pd,M5s e Leu). Un via libera poi giunto ma che nei fatti non rappresenta ancora un viatico per il ter fino a quando non si chiariranno le posizioni di Iv e dei centristi durante le consultazioni del Quirinale. Tant’è che da questo momento in poi tutto sembra possibie, anche le larghe intese. l’unità nazionale, o i governi istituzionali. L’unica strada scartata dai fatti è quella di convincere il Presidente della Repubblica di avere ancora una maggioranza in grado di superare ogni scoglio, a partire da quello sulla giustizia dei prossimi giorni.
Sullo sfondo resta l’ipotesi di elezioni anticipate, puntualmente negate da tutti, ma inevitabili nel caso in cui ogni qualsivoglia intesa parlamentare dovesse naufragare.
Ore febbrili quindi, soprattutto all’interno della coalizione che fu maggioranza, ma acque agitate anche nel centrodestra, dove si fa più ampia la divisione tra chi, come Forza Italia si dice disponibile a un governo di unità nazionale e chi, invece, come Lega e FdI, guardano già alle urne. Nelle ore più calde interviene direttamente Silvio Berlusconi che prima smentisce “ogni trattativa per un eventuale sostegno al governo in carica». Come dire, addio ‘responsabilì. Quindi propone una via d’uscita: «La strada maestra è una sola: rimettere alla saggezza politica e all’autorevolezza istituzionale del Capo dello Stato di indicare la soluzione della crisi, attraverso un nuovo governo che rappresenti l’unità sostanziale del paese in un momento di emergenza oppure restituire la parola agli italiani». Il segretario della Lega, Matteo Salvini, chiede invece che si fermino «i giochini di Palazzo» e si ridia «la parola al popolo” per avere un Parlamento e un governo «per cinque anni seri e legittimati, scelti dagli italiani». Anche la Presidente di FdI, Giorgia Meloni all’attacco: «L’Italia non si merita questo schifo».
Tensione quindi anche tra i ‘giallorossì dove tiene banco il tema della eventuale ricucitura con Italia Viva, ma viene superata, almeno al momento, la suggestione andare avanti con un altro premier. Il segretario dem, Nicola Zingaretti, ai microfoni di Radio Immagina, ribadisce che il Pd è impegnato alla costruzione di un governo «autorevole ed europeista» e con una base parlamentare «ampia». Un esecutivo, sottolinea Zingaretti, che può presentarsi solo con Conte, definito «il punto di equilibrio più avanzato» in grado di «raccogliere il consenso». «Questo – aggiunge – è lo sforzo di queste ore». Concetto ribadito anche dopo l’annuncio delle dimissioni. Nessun cambio di cavallo, quindi. Nel pomeriggio, sempre Zingaretti riunisce la squadra dei ministri dem per fare il punto e seguire gli ultimi sviluppi. Quanto al tema della possibile ricucitura con Italia Viva, interviene l’ex ministra Teresa Bellanova che arriva anche ad aprire all’ipotesi di un Conte ter: «E’ essenziale ripartire dai problemi del Paese, non abbiamo posto veti su nessuno, mentre su di noi si pongono veti». Com’è noto è infatti il Movimento Cinque Stelle ad aver ribadito più volte che non vuole più sentir parlare di Matteo Renzi. Ma su questo punto chissà che non ci sia un ripensamento, ora che tutto è oggettivamente in movimento. Il Pd, invece lancia segni di dialogo: «Ora Renzi – osserva Goffredo Bettini – dimostri effettivamente di avere il senso non dell’errore ma un pò del salto nel buio che lui ha procurato e incominci in Parlamento a dare qualche segnale, se ci sono delle aperture». (ANSA).