IL RETROSCENA
Giunta e Ars, i tormenti di Schifani: con gli assessori tutti deputati eletti i conti non tornano
Il problema, per i più attenti osservatori, si porrà soprattutto nelle commissioni: dove il centrodestra potrebbe andare in sofferenza
Nonostante le suadenti veline fatte filtrare via agenzie, nei primi vertici di Renato Schifani con i partiti alleati, la distanza fra l’ufficializzato e il non detto è la stessa che c’è fra i dialoghi dei detenuti del Pagliarelli durante l’ora d’aria e le chiacchierate al the pomeridiano delle vecchie signore nei salotti dello Yorkshire inglese.
Già, perché il «clima cordiale» e il «dialogo costruttivo» sulla formazione della nuova giunta regionale non raccontano il profondo mal di pancia che serpeggia nel centrodestra siciliano. Trasversalmente. E soprattutto per il criterio di base espresso dal neo-governatore per la scelta degli assessori: «Deputati eletti, con competenze specifiche sulle materie che gestiranno».
Una prima perplessità è così sintetizzata da un vecchio inquilino fra i confermati a Sala d’Ercole: «E poi che significa “competenti”? Che l’assessore alla Sanità dev’essere un primario, quello all’Agricoltura un coltivatore di arance e quello al Turismo un albergatore? Quali sono i requisiti della presunta competenza?» Fra i deputati della coalizione, annota, «c’è chi ha maturato, fra aula e commissioni, competenze in ogni materia. Speriamo che l’approccio del presidente sia questo, altrimenti non ci siamo proprio».
Fra i più esperti della coalizione emerge un sospetto che si sta trasformando in quasi verità: è un metodo di autodifesa di Schifani, assediato da più parti. A partire da quella più vicina a lui: Forza Italia. Gianfranco Miccichè ha già sondato il presidente (con gelido esito) sulla manager dell’Asp di Palermo, Daniela Faraoni, come assessora alla Sanità. «Parlando di assessori-deputati, Renato prende tempo e prova a frenare le intrusioni di Gianfranco», confida un forzista di peso. Convinto che il leader regionale alla fine rinuncerà al seggio al Senato per restare all’Ars.
In questo scenario, per scongiurare l’ingombrante presenza di un Miccichè battitore libero, Schifani, secondo chi ha ascoltato le sue rare confidenze, preferirebbe coinvolgerlo nel governo in prima persona. «Magari finisce che l’assessore alla Salute lo fa proprio lui», chiosa un big romano del partito. Sarebbe anche un modo per stoppare qualsiasi tentazione trasversale, compresa quella – diffusa in ambienti forzisti ostili a Miccichè – di un’intensa ripresa del dialogo, semmai si fosse interrotto, con Cateno De Luca. La presidenza dell’Ars fra gli argomenti delle ultime chiacchierate?
Anche una ragione politico-matematica potrebbe annacquare l’idea di una giunta composta da tutti deputati eletti. Il centrodestra, infatti, ha una maggioranza di 41 su 70. Ma, sottraendo i due presidenti (di Regione e Ars) e 12 potenziali assessori, questo numero scende già a 27. Senza contare vicepresidenti, questori e segretari (con un bottino di almeno sei posti nell’ufficio di presidenza) e cinque capigruppo della coalizione. Sommando tutte le cariche si arriva a quota 38. E il problema, per i più attenti osservatori, si porrà soprattutto nelle commissioni: le sei permanenti più Antimafia e Ue, tutte composte da 13 membri.
«Come garantirà la maggioranza di sette con tutti i deputati impegnati in ruoli istituzionali? E poi i deputati dei gruppi più piccoli (5 a testa per Lega, Autonomisti e Nuova Dc, ndr) saranno costretti, escludendo i sei assessorati a cui aspirano, a fare le trottole fra aula e commissioni».
Insomma, anche tralasciando i complicati incastri delle quote rosa, i conti non tornano. «Magari al presidente sembra di essere ancora a Palazzo Madama quando c’erano 315 senatori più quelli a vita. Ma qui siamo all’Ars…». E nel centrodestra siciliano c’è chi è certo che Schifani, dopo aver usato lo scudo degli assessori-deputati per proteggersi dalle «proposte indecenti», giungerà a più miti consigli. Alzando, almeno a un terzo della giunta, la quota di «eccezioni» già in parte sdoganate.
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