Si diverte come un matto, nel ruolo di Figaro. Più la politica siciliana si aggroviglia su se stessa, più lui emerge. Gianfranco Miccichè gigioneggia. E giganteggia.
Pronto prontissimo son come il fulmine
sono il factotum della città
Non è mai stato così protagonista. Nemmeno nei Favolosi ‘90 quando – lui, figlio di papà ex di Lotta Continua – da manager di Publitalia diventò il subcomandante scelto da Marcello Dell’Utri per schierare le truppe berlusconiane in Sicilia. E neanche nel 2001, all’epoca dell’orgia del 61-0 fu così decisivo.
Ma la guerra è finita. Confessa di essere un “pentito” del maggioritario («ha creato un clima di odio»), nostalgico della Prima Repubblica nell’evocare «una pacificazione». E infatti il presidente dell’Ars parla con tutti. è onnipresente. Ieri, ad esempio, ha messo il cappello sull’ingresso di Roberto Lagalla nell’Udc, operazione in effetti limata con un paio di viaggi a Roma. “Ciaone” al gemello diverso, l’odiato Saverio Romano, ora l’ex rettore va dritto in pista come aspirante sindaco di Palermo. E Gaetano Armao? Se ne faccia una ragione.
Il tutto con l’interessata benedizione di Matteo Renzi. «Mi ha telefonato, lo incontrerò tra due settimane a Firenze». Tavolo prenotato per il 15 ottobre. Una cena per «inventarsi qualcosa di nuovo» nell’Isola, da esportare alle Politiche. Il leader regionale di Forza Italia, intanto, si porta avanti col lavoro: nell’«importante conferenza stampa», lunedì o martedì, annuncerà il nuovo asse con i renziani ex Sicilia Futura. Con Edy Tamaio pronto a prendere la tessera azzurra e Nicola D’Agostino più propenso a «un accordo politico con Italia Viva».
Ma Miccichè, nel frattempo, parla anche con l’altro Matteo. È stato Salvini, tramite la “batteria” Luca Sammartino, a farsi vivo, domenica scorsa, nel bel mezzo dello scontro con Nello Musumeci. «Gianfranco, pensaci tu». Ed eccolo a smussare interviste, gran paciere con licenza di stuzzicare l’iracondo governatore. Del resto, lui che va ripetendo a destra e a sinistra quel giuramento – «non sosterrò mai un candidato governatore della Lega» – è lo stesso che fra i salviniani siculi ha i legami più saldi. Con il neoentrato “Mr. 32mila preferenze”, allievo prediletto che avrebbe voluto con sé in azzurro, ma anche col segretario Nino Minardo, che gli porta il rispetto dovuto a chi l’ha svezzato nella culla forzista.
Miccichè, Minardo e i Raffaeles (Lombardo e Stancanelli) in questo momento sono i quattro cavalieri dell’apocalisse musumeciana. Il summit della scorsa settimana è saltato per un imprevisto, ma gli incontri bilaterali sono intensi. Nell’ultimo, con l’ex governatore autonomista, Gianfranco, nel raccogliere lo sfogo contro i federati leghisti, avrebbe emesso la sua sentenza: «Di Musumeci-bis non se ne deve parlare».
Eppure è proprio il viceré berlusconiano di Sicilia l’alleato più strategico per il governatore, col quale raccontano che abbia cenato qualche sera fa. All’Ars fa il buon pastore e cerca le pecorelle smarrite, fra i deputati del centrodestra, quando i numeri ballano. Ieri, nel blitz alla conferenza dell’Udc, la carota: «Nello? Io gli voglio veramente bene», cinguetta mettendolo in guardia dai cattivoni che «giocano a mettere zizzania». E poi il bastone: «Deve fare chiarezza su alcune situazioni», scandisce da ventriloquo dei mal di pancia della maggioranza. Pregustando il giorno in cui, per i gladiatori al Colosseo delle Regionali, il suo pollice (su o giù) sarà decisivo.
Tutti mi chiedono, tutti mi vogliono,
donne, ragazzi, vecchi, fanciulle
Intanto ostenta la sua centralità con l’ubiquità. Prima flirta con “Thelma&Louise” (al secolo Anthony Barbagallo e Giancarlo Cancelleri) sul “modello Giuditta”, provocando rivolte nei rispettivi partiti, ma poi il Pd lo invita alla Festa dell’Unità di Palermo a una tavolata con Claudio Fava, con cui c’è un reciproco rispetto, Cancelleri e “Cric&Crac” (al secolo Peppino Lupo e Antonello Cracolici) a discettare di «una proposta di governo per Palermo e la Sicilia», suscitando il disgusto della sinistra.
E poi Cateno De Luca. Commensale di un pranzo frondista – spaghetti con ricci e gamberetti e insalata di stocco alla marinara sul lungomare di Santa Teresa – ma con lo scopo di catechizzare il sindaco di Messina: «Se ti candidi, fai perdere il centrodestra». Proprio come fece lui, nel 2012, spianando (a sua insaputa?) la strada a Rosario Crocetta. E domani il “prezzemolino” Miccichè sarà a Taormina, ospite d’onore della kermesse di Scateno.
V'è la risorsa
poi, del mestiere
colla donnetta… col cavaliere…
Non che in casa sua non abbia qualche problema. Ci hanno provato, gli oppositori interni capitanati da Marco Falcone, a sfiduciarlo. Con la complicità di Antonio Tajani, con cui il rapporto è pessimo. Ma Miccichè, «un’adorabile canaglia» per Silvio Berlusconi che lo copre sempre, risponde con i numeri. Quelli del gruppo all’Ars e dei nuovi acquisti per compensare gli addii. E quelli, spera lui, alle urne. «Facciamo scegliere il candidato presidente al partito che prende più voti alle amministrative», la proposta di primarie del centrodestra in versione “famolo strano”. Fino a un certo punto, perché lui pensa soprattutto a Palermo. E poi alla Regione dove, sostiene chi lo conosce bene, «userà lo stesso metodo delle Europee: mettere tutti i big dentro e farli scannare, così alla fine la lista di Forza Italia triplicherà le percentuali nazionali». Per diventare magari azionista di maggioranza, assieme all’adorata ministra Mara Carfagna, di un «partito del Sud».
Miglior cuccagna per un barbiere,
vita più nobile, no, non si dà
Ma cos’ha in testa Figaro-Miccichè per le Regionali? Il piano, in fondo, è uno solo: «Una coalizione identica a quella che sostiene il governo Draghi», pure a costo di sacrificare il suo amico meloniano Stancanelli. Ma è un’utopia, per tempistica e per sistema elettorale. Giusto il tempo di sognare l’avvento di una “Draghessa” siciliana: Patrizia Monterosso, se potesse scegliere lui; o magari Barbara Cittadini per sparigliare; o chissà quella manager della sanità pubblica apprezzata ogni giorno di più.
E davvero Gianfranco non ci fa ancora un pensierino su Palazzo d’Orléans? «È troppo faticoso, non ho più l’età. Fino a una decina d’anni fa – confessa agli amici – ci avrei provato, ma oggi no. Davvero, non ce la faccio». E dunque il tormentone, ma anche la condizione ripetuta a tutti gli interlocutori trasversali, è che vuole rifare il presidente dell’Ars. Ma, visto che paradossalmente la congiuntura più favorevole al desiderio è il secondo mandato di Musumeci, si potrebbe magari accontentare di uno sfizio: fare l’assessore ai Beni culturali. Esultando come un bambino, allo stesso modo di quando hanno scoperto i reperti archeologici a Palazzo dei Normanni, per «tutti i tesori che questa terra ti fa scoprire ogni giorno».
Fortunatissimo per verità!
Fortunatissimo per verità!
Nel frattempo, Miccichè se la spassa da Barbiere di Sicilia. Senza ansia da prestazione, nulla da dimostrare. Lui, simbolo della casta corteggiato da tutti i partiti e fustigatore della burocrazia stimato da tutti i dirigenti. Lui, come Pippo Franco metà romanista e metà laziale, fa il mazziere in un tavolo di poker in cui tutti sanno che è il campione del bluff. Convinto di vincere pure stavolta. Anche senza assi nella manica.