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Gela, il “fattore S” (come Saro) decisivo nella corsa con più caos che pathos

Gela, il “fattore S” (come Saro) decisivo nella corsa con più caos che pathos

Di Mario Barresi - Nost |

GELA – All’ufficio elettorale, in via Donizetti, il problema è serio. Ma soprattutto ingombrante: «E ora come facciamo ad appenderlo? ». Sottinteso: il manifesto dove vanno stampate le liste (20) e gli aspiranti sindaci (11: un record) di Gela, per la corsa più affollata della storia. Sarà lungo oltre due metri e mezzo, un po’ meno della Sacra Sindone, il lenzuolo che contiene le tracce di 579 candidati in consiglio. Allora ti aspetti un clima di un certo tipo: le piazze infuocate dai comizi, gli avversari che si buttano fango addosso. E invece no. Perché i gelesi vivono in un centro di atarassia permanente. Anche i comitati elettorali, nati come i funghi soprattutto nei bassi del corso Vittorio Emanuele, sembrano ancora delle cellule dormienti di Al Qaida. «È l’unica scossa per l’economia in questa campagna elettorale: gli affitti in nero dei locali chiusi», ironizza Angelo Amico, operaio in pensione, mentre si ritaglia il suo spicchio d’ombra in piazza Umberto. Ma precisa subito: «Non basta per far alzare tutte le saracinesche dei negozi che hanno chiuso in questi anni».  

D’altronde i gelesi sono così. Si muovono, ma non si commuovono; s’abbracciano ma non si sbracciano; s’indignano ma non s’infiammano. Anche qui, sollevata dal nostro giornale, c’è stata la Gettonopoli del consiglio comunale, con un numero di sedute di commissioni farlocche ben superiore ad altre città finite nei salotti tv della domenica; anche qui, più subdolo, c’è stato il malvezzo delle assunzioni (o promozioni) “allegre” di consiglieri eletti per incassare, con la connivenza dei datori di lavoro, i rimborsi dal Comune. Se n’è parlato, nei bar. Ma senza scendere in piazza. All’unica manifestazione, organizzata dai grillini con un simbolico mega-gettone infilato nel portone del municipio, c’erano poco più dei quattro amici al bar.  

Arriviamo in una città assolata e assopita proprio nel giorno del blitz di Matteo Salvini. Il quale, però, passerà più tempo chiuso in una stanza del comitato elettorale (trasformata in studiolo per la registrazione di una puntata di un noto programma televisivo) che in giro a incontrare gente. Ma c’è aria di contestazione. E la polizia, numerosa e in assetto antisommossa, forma un cordone per dividere le due fazioni: i leghisti della Magna Grecia da una parte; una decina di No Muos, a quali si uniscono alcuni ultras della squadra di calcio, dall’altra. Cori e sfottò reciproci, ma senza uova né sputi. Nemmeno dai “facinorosi” che sbadigliano appollaiati sui balconi. A un certo punto i salviniani, credendo di offendere i nemici «estremisti di sinistra», cominciano a urlare: «Crocetta, Crocetta, vaffan… ». Ma come vi permettete?  

No Muos e ultras rispondono ancora più forte: «Crocetta, Crocetta, vaffan… ». Interminabili secondi d’imbarazzo. Risate. E poi le due fazioni – separate dai caschi blu e dalle ideologie – si uniscono con goliardico piacere per qualche attimo. Giusto il tempo di ululare, all’unisono: «Crocetta, Crocetta, vaffan… ». Già, perché il “fattore S” qui è una delle poche cose che scalda gli animi. “S” come Saro. Sindaco, eurodeputato, ora governatore. Amatissimo e odiatissimo, venerato e scansato. Eppure decisivo, anche stavolta.  

Crocetta ha chiesto un passo indietro al suo candidato sindaco in pectore, Enrico Vella, sostenendo invece l’uscente Angelo Fasulo. Come nel 2010, solo che in un lustro tutto è cambiato: Fasulo – per il quale, dicono, il governatore «non è mai andato pazzo» – è diventato un renziano doc, amico fidato del nemico giurato di Saro, Davide Faraone. «Gela non ha bisogno di avventure, ma di continuità», taglia corto Crocetta. Incoronando l’avvocato che sembra il suo contraltare, serafico e mai fragoroso. Così ha governato per 5 anni con mezzo Pd contro: i «talebani», li hanno ribattezzati. E ora è riuscito a metterli tutti d’accordo. Un miracolo, se si considera che sotto lo stesso ombrello ci stanno sia Lillo Speziale (rivale di Fasulo nel 2010, oggi candida il genero, Peppe Di Cristina, originario di Riesi), sia Miguel Donegani che fa il ct della lista del Pdr di Totò Cardinale.  

Nell’Arca di Fasulo-Noè anche Bartolo Scrivano, ex socialista ed ex pd, in odore di candidatura col centrodestra, ma soprattutto Renato Mauro, ex potentissimo direttore generale del Comune, indagato per abuso d’ufficio per alcune autorizzazioni nei servizi sociali. L’unico tassello del centrosinistra mancante è Giuseppe Di Dio, consigliere di lungo corso e compare (nel senso più tradizionale del termine) di Fasulo, vicinissimo a Luca Sammartino, il leader di Articolo 4 che però adesso sta col Pd, costringendo il suo candidato a rottamare il simbolo “articolista” con un futuribile Reset 4.0.  

Il centrodestra – o meglio: ciò che ne resta – è polverizzato. Orfano delle “governative”, le primarie annunciate e mai svolte, si presenta con tante liste, tutte forti, ma molta confusione. Lucio Greco, ex Forza Italia ora Ncd, avvocato, è in campo da più di un anno, forte anche delle battaglie (acqua e amianto soprattutto) combattute con la sua associazione “Cittadini per la giustizia”. Ambiva a essere l’unico candidato della coalizione, ma s’è trovato sulla sua strada Gioacchino Pellitteri, senatore-meteora nel 1994 con Forza Italia, preside del liceo Eschilo, consigliere uscente eletto da indipendente nel Pd a sostegno di Fasulo con il quale ha rotto.  

Pellitteri ha svuotato Forza Italia dei nemici e se l’è presa in mano, col placet del coordinatore regionale Enzo Gibiino. Assoldando un pezzo da novanta: l’ex presidente della Provincia e deputato regionale lombardiano, Pino Federico. Potente macchina da voti, oltre che legato a Crocetta da un rapporto di affettuosa rivalità: «Gli evitò la sfiducia a Gela, gli fa un’opposizione soft a Palermo», dicono quelli che lo hanno ribattezzato “Saro Federico”.  

Il terzo incomodo di un’area più virtuale che reale è Antonio Giudice, imprenditore, candidato di Noi con Salvini. Accusato da Crocetta di essere un «fuoriuscito dei grillini», con piccata smentita del candidato. Che magari non sarà stato un attivista doc dei meetup, ma di certo un simpatizzante sì; come dimostra quella foto che lo immortala mentre abbraccia il deputato regionale M5S, Giancarlo Cancelleri, in un evento a San Cataldo. Al di là dei trascorsi prima della conversione neo-leghista, il vissuto di Giudice è segnato da un episodio agghiacciante: una notte incendiarono l’auto del padre e la madre, atterrita, morì d’infarto. Da quel momento, oltre a scrivere un libro autobiografico, il candidato salviniano è stato attivo nell’antiracket.  

Parlavamo di 5 Stelle. Sono loro, con Domenico Messinese, ex presidente del quartiere di Macchitella, la vera incognita di queste elezioni. Già in campo da gennaio con programma e candidati, i pentastellati gelesi hanno risolto le spaccature del passato e si presentano agguerriti: boom o flop? Chi invece viene definito un «grillino alla gelese» (un altro?) è Maurizio Melfa, che cavalca la protesta, soprattutto di commercianti e piccoli imprenditori, al grido di «ripartiamo da zero». Ma anche con cocktail e convention in stile berlusconiano («è il candidato che fa le feste migliori», dicono) nella tenuta di famiglia, a Macchitella, dove il 1º Maggio hanno comprato 300 chili di salsiccia per il barbecue, distribuendo poi quella non cotta ai poveri.  

Gli outsider. Giuseppe Cosenza, ingegnere, espresso dai Forconi il cui leader Mariano Ferro è assessore designato. «Dobbiamo far perdere Crocetta, siamo qui per questo», va dicendo. Saverio Di Blasi, dipendente comunale e ambientalista, nemico giurato del governatore, di Fasulo e di Mauro, comizia da tempo con un megafono in stile Speakers’ Corner di Hyde Park: «Mafiosi e corrotti, siete tutti mafiosi e corrotti».   Con lui in lista Graziella Corfù, al lavoro in municipio con il reddito minimo di inserimento, che ha inguaiato l’ex presidente del consiglio comunale, Giuseppe Fava, ora non più candidato, con l’accusa di molestie sessuali sulle quali a breve si dovrà pronunciare il Gup. Tonino Ventura, titolare di patronato Acli, votatissimo consigliere Mpa, con la più massiccia (e visibile) presenza di donne. Elio Arancio, pensionato Enel, tornato in città dopo aver vissuto a Ragusa dove nel 2011 fu arrestato per peculato con l’accusa di chiedere soldi per allacci “speciali” di contatori. Ma ne è «uscito pulito» e ora promette: «Il mio stipendio da sindaco ai bisognosi».  

Di tutto e di più. Tanto caos (anche i preti sono spaccati, tante sono le “parrocchie” elettorali) e poco pathos. Anche su temi importanti come il futuro del Petrolchimico. Un fiore all’occhiello, per Crocetta e per Fasulo, il piano di riconversione firmato da Eni per la bioraffineria. «Gli altri chiudono, qui no si perde un solo posto», dicono. Ma ribattono gli avversari: «È un bluff», argomento suffragato dalle decine di operai gelesi chiamati in altre sedi del cane a sei zampe in Italia e all’estero, oltre che dall’indotto che boccheggia. E poi il buco di bilancio: 20 milioni, dicono. «Un regalino di Saro, che Fasulo ha coperto», sostengono i detrattori. Sbandierando le multe, in tutto 200mila euro, della Corte dei Conti a consiglieri e assessori per i debiti fuori bilancio non dichiarati dal 2010 al 2012. «Ma il dissesto l’hanno creato quelli prima di Crocetta», è la controdeduzione.  

E poi la voglia di autonomia, sancita da un referendum per la “secessione” da Caltanissetta reso vano dal quorum prima ancora che dalla riforma zoppa a Palermo. I comitati, adesso due, ufficialmente non sono schierati. Ma chiedono un impegno a tutti i candidati: «Noi, con i nisseni, non ci vogliamo più stare».  

Eni, debiti, libero consorzio. Ma anche mafia (che qui segue la campagna elettorale alla finestra, in un silenzio tutt’altro che disinteressato) e naturalmente antimafia. «Nelle liste ho letto cognomi che non mi piacciono per niente», sbotta il presidente della legalità. «Leggitene qualcuno in quelle dei tuoi amici», gli ribattono velenosi. Tutti temi gelesi, tutte variabili del “fattore S”. Crocetta, odi et amo. Finora è tornato in città nei fine settimana, ma dovrebbe intensificare la sua presenza per il rush finale. «Ma in piazza parlerà solo il venerdì prima del voto, meno si fa vedere e meglio è per noi», sibila una donna dello staff di Fasulo. Il quale però sa quanto il governatore sia capace di trascinare, sempre e comunque, nella sua città. Ogni volta che arriva è un bagno di folla: «Saru, aspittammu i to ordini», gli dicono osannanti. Anche se qualcuno, sempre meno sottovoce, si chiede cosa abbia fatto il presidente della Regione in questi anni per Gela. Una città che non va né avanti, né indietro. Ma si annaca, come fa ogni 2 luglio il fercolo della Madonna delle Grazie, alla quale Crocetta è devotissimo, tanto da aver conservato una copia fedelissima nel gabinetto da sindaco, lasciata in eredità a Fasulo.  

A proposito d’arte. Un giovane di un’associazione culturale, chiedendo l’anonimato, ci porta fino al pontile, sul lungomare. Dove giganteggia un’installazione, Le ali della libertà. «Doveva essere pronta per l’anniversario dello Sbarco angloamericano, ma non ci sono arrivati. E quindi hanno inventato un convegno costato 350mila euro e durato cinque ore», ci racconta. Con lo sguardo schifato sul monumento di cemento: de gustibus… Il passato greco, il futuro incerto. E soprattutto il presente. «Questa cosa la chiamano “Mazinga”, è il simbolo di Gela com’è oggi». Cioè? «Una supercazzola spaziale».

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