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L'INTERVISTA

Galvagno: «La mia Ars “modello Senato”. Pace Schifani-Miccichè? Troppo presto»

Il presidente dell'Ars a tutto campo, dalla finanziaria al rapporto col governatore, da Ignazio La Russa a  Fratelli d'Italia fino alla scelta per il sindaco di Catania

Di Mario Barresi |

Gaetano Galvagno, presiedere l’Ars a 37 anni non le crea ansia da prestazione?

«Più che ansia da prestazione, voglia di essere uno che risolve problemi ascoltando tutte le forze politiche. Nel primo mese mi sono occupato pochissimo di questioni mie, a partire dalla scelta dello staff, perché non ho voluto sottrarre un solo istante ad altre incombenze per far partire la macchina amministrativa regionale, dalle commissioni alle variazioni di bilancio».

Adesso  c’è la finanziaria. Col consueto assalto trasversale alla diligenza.

«È stata abitudine negli anni, senza attribuire alcuna responsabilità ai miei predecessori perché spesso erano scelte legate a delle contingenze, di votare delle norme-omnibus. Noi ora, così come avviene nel parlamento nazionale, vogliamo ridare dignità alle commissioni».

E dunque non troveremo un articolo sul contributo alla banda musicale di Roccacannuccia…

«L’auspicio è di non fare una legge con 200 articoli. Poi magari ne facciamo una con mille, un milleproroghe alla siciliana, ma l’impegno è questo. Si cambia stile, modello».

Magari è legittima difesa dei deputati: si gioca il jolly nella maratona della finanziaria per evitare che un ddl resti nei cassetti delle commissioni…

«Quella è sempre stata una corsia preferenziale. Adesso la mission è responsabilizzare i presidenti di commissione: un ddl autonomo ha una sua matrice, un suo primo firmatario, una suo dibattito.  Faccio un esempio concreto: dalle variazioni è stato cassato un articolo sui revisori dei conti. Se la materia viene trattata prima in commissione è più probabile che si possa fare presto e bene con una norma di settore».

Proprio qui  s’è preso gli insulti del suo grande elettore  De Luca…

«È stato un errore mio non avere parlato poco prima, ma forse è meglio che sia successo perché abbiamo dimostrato anche in un clima infuocato di sapere governare un’aula difficilissima, ma devo ammettere che De Luca nel merito aveva ragione. Ritengo che potrò avere un rapporto sereno con De Luca, che ha dichiarato in aula di avermi votato, ma anche con tutto il resto dello opposizioni. È una banalità dire che “sarò il presidente di tutti”: sarò il presidente di chi porterà avanti proposte serie e legittime, non personalistiche. Poi magari, dopo il più giovane, sarò il peggior presidente dell’Ars della storia, vedremo…».

Dunque l’impegno è ufficiale: finanziaria senza trucco e senza inganno…

«Non sono certo che riuscirò nel primo anno a dimezzare gli articoli. Ma, con umiltà e restando al mio posto, sono convinto che nel quinquennio si potrà cambiare atteggiamento rispetto a leggi-omnibus. Il tutto con un impatto sulla qualità legislativa dell’Assemblea. Ci sono state finanziarie in un comma di un articolo si diceva “bianco” e in un altro “nero”: la mano destra non sa cosa fa la sinistra». 

L’assessore Falcone aveva promesso l’approvazione della finanziaria entro l’anno.

«Era una previsione azzardata. La scommessa, Falcone e tutti noi, la vinceremo dall’anno prossimo. Quest’anno è stato preferibile arrivare a un breve esercizio provvisorio». 

Com’è il suo rapporto con Schifani?

«Idilliaco. È un presidente forte, serio, ha dimostrato di avere le chiavi giuste per serrature differenti. Con l’esperienza nazionale, a Roma ha tutti gli interlocutori giusti a sua disposizione. Il che da una parte ci avvantaggia, dall’altra ci toglie un alibi: non possiamo sbagliare».

Vista la sua notoria amicizia con Miccichè, perché non si assume il ruolo di ambasciatore di pace con Schifani?

«Le potrei rispondere in politichese natalizio: farò di tutto affinché si risani la frattura per il bene di tutto il centrodestra. Invece le rispondo con sincerità: non credo ci siano i presupposti, ad oggi, per una pace immediata. Magari col tempo, parola indefinita, si potranno ricreare le condizioni per tornare a una civile convivenza fra il coordinatore regionale di Forza Italia e il presidente della Regione, che è dello stesso partito, di cui è bandiera e vanto a livello nazionale. Ma ritengo che ai siciliani queste storie interessino meno del caro-bollette per imprese e famiglie o degli interventi concreti contro il cartello sui voli in Sicilia».

Allora chi se ne frega se all’Ars ci sono Forza Italia 1 e  Forza Italia 2…

«Io, per evitare di sbagliare, ho applicato il regolamento: con quattro parlamentari ci può essere Forza italia 1, 2 e anche 3…».

Ma ora i deputati di Miccichè sono solo tre… E lui chiede la deroga per mantenere il gruppo. Gli sarà concessa?

«Personalmente, pur ricordando che nella scorsa legislatura FdI beneficiò di analoga deroga, sarei per evitare eccezioni alle regole. Ma la scelta sarà assunta collegialmente, quanto prima, dal consiglio di presidenza».

In queste prime settimane s’è dovuto occupare anche dei mal di pancia nel suo partito. Funziona di più il Maloox o l’intramontabile olio di ricino?

«FdI ha dimostrato di essere un partito vero. Siamo partiti in 13 e si continua in 13. Nessuna defezione neanche sulle commissioni, l’ultimo atto in cui i deputati potevano stravolgere l’esito del voto sui vertici. Questo denota un grandissimo senso di responsabilità e di appartenenza da parte di tutti: di chi c’era prima e di chi è entrato da poco, ma soprattutto di chi aveva dei malumori per delle legittime ambizioni che sono venute meno».   

Quasi mai, nella storia recente, un partito ha avuto tanto potere quanto FdI oggi a Roma e in Sicilia.

«L’allineamento fra Roma e Palermo e la massiccia presenza nei due governi sono motivi di gioia e di soddisfazione. Ma anche di grande responsabilità: se non portiamo i risultati a casa, la gente è legittimata a prenderci a pedate. E quindi bisogna concentrarsi sui risultati».

Meglio l’uovo oggi o la gallina fra cinque anni?

«La gente vuole l’uovo subito, ma avrà entrambe le cose. I primi mesi devono servire a dimostrare discontinuità concreta e poi programmare le grandi riforme a medio-lungo termine. Il contesto, per il centrodestra siciliano, è simile a quello del 61-0 nel 2001. Ma con delle differenze: la determinazione della Meloni al governo e poi un flusso di risorse, non solo del Pnrr, irripetibile. Per questo possiamo avere l’uovo oggi e la gallina fra cinque anni. Ci vogliono coraggio e fantasia».

L’anno prossimo si vota a Catania: voi rivendicate il candidato sindaco. Ma lo stesso fanno Lombardo e Sammartino. Chi la spunterà?

«Negli ultimi anni s’è consolidata una tattica: quando si approssima un’elezione, foss’anche quella del capocondomino, tutte le forze avanzano un proprio nome, magari per poi ottenere rendite di posizione dopo il passo indietro. Spero che a Catania si esca da questo schema. E poi ci sono tre scenari. Primo: Catania in uno scacchiere nazionale in cui nelle prime dieci città Fratelli d’Italia non ha un sindaco. Secondo: una compensazione rispetto alla rinuncia alla ricandidatura di Musumeci. Terzo scenario: un ragionamento complessivo sui 17 comuni al voto nel 2023 nel Catanese, fra cui alcuni centri importanti, o magari su tutte le altre grandi città siciliane alle urne. In ognuno di questi scenari ci sono dei punti fermi: noi siamo il primo partito in Italia, in Sicilia e a Catania. Ma nel centrodestra ci dev’essere un ragionamento fra i vertici regionali e poi locali. L’obiettivo è una candidatura unitaria e vincente, come Lagalla a Palermo e Schifani alla Regione, ma senza lo stillicidio dei nomi». 

La infastidisce leggere, alle prime righe del suo curriculum, la definizione di «pupillo di La Russa»?

«Per me è un piacere e un onore. Non mi piace il termine padrino, perché in Sicilia è equivoco, ma per me Ignazio è un ispiratore, un punto di riferimento, una stella polare. La Russa mi ha sempre consigliato, su mia richiesta, lasciandomi “libero di sbagliare”, come mi disse una volta. L’ha fatto da padre e tale lo considero. Ma c’è anche un profilo istituzionale ad arricchire il nostro rapporto: dal 2023 l’Ars e il Senato apriranno un  dialogo tecnico-giuridico, anche per evitare impugnative o brutte figure sulle leggi regionali. La mia segreteria generale e quella di Palazzo Madama sono già in contatto e stiamo pensando di fornire loro uno spazio per accoglierli con cadenza periodica per vedere cosa stiamo facendo e aiutarci a farlo meglio».

Torniamo al punto di partenza: se la legislatura finisse a scadenza naturale, lei sarà un’ex presidente dell’Ars a 42 anni. E poi? Il bis, o magari governatore o ministro, non certo soldatino meloniano semplice…

«Macché, io cammino con i piedi ben saldati per terra. Non so cosa farò fra cinque anni e lo dico non perché voglio fare il finto low profile. Prima devo qualificarmi. Oggi è come con le proiezioni dei sondaggisti: dati, con un certo fondamento, ma non risultati concreti. Se da qui al 2027 ci saranno,  vedremo… Ma se  il partito mi chiederà di presiedere la commissione speciale sul randagismo, farò questo».

Twitter: @MarioBarresi

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