Fumata grigia per la scelta del governatore in Sicilia. Meloni: «O Musumeci o si voti a Novembre»

Di Mario Barresi / 28 Luglio 2022

«No, non abbiamo discusso di elezioni regionali, dunque nemmeno di Sicilia». Alle dieci e mezza della sera, un più che soddisfatto Ignazio La Russa conferma la fumata grigia sulla scelta del candidato governatore.

Nel vertice nazionale del centrodestra, ieri a Montecitorio, l’argomento Regionali – uno degli ultimi all’ordine del giorno – è stato stralciato. Troppa carne sul fuoco, troppi nodi da sciogliere. Ma se ne riparlerà a brevissima scadenza: entro la fine della settimana. Quando i leader della delegazione, o magari i loro sherpa, torneranno a sedersi col pallottoliere in mano per la suddivisone materiale dei collegi elettorali, sui quali c’è già un accordo sulle proporzioni: 98 seggi a Fdi, 70 alla Lega, 42 a Forza Italia, (compresa l’Udc) e 11 a Noi con l’Italia più Coraggio Italia. «A breve faremo un discorso complessivo, all’interno del quale le scelte sulla Sicilia avranno il loro peso», conferma il viceré meloniano.

Ma il fatto che non ci sia stata una decisione – né, ufficialmente, una discussione – sulle Regionali, non significa certo che il tema sia stato del tutto oscurato. Anche perché a Roma, in queste ore, c’è una massiccia presenza di politici siciliani. Ieri, ad esempio, Gianfranco Miccichè è stato avvistato in zona piazza Navona all’uscita del mitico Raphaël (l’hotel reso celebre dal lancio di monetine contro Bettino Craxi), reduce da un incontro con i vertici nazionali di Forza Italia. Il presidente dell’Ars incassa un importante risultato personale all’interno del partito: sarà nel ristrettissimo cerchio berlusconiano incaricato di decidere le candidature a livello nazionale. «Ne vedremo delle belle», gongola con i fedelissimi. Miccichè, però, ne ha approfittato pure per portare acqua al suo mulino siciliano: facendo sponda con Licia Ronzulli, ha convinto definitivamente il Cav sulla linea da tenere in Sicilia: dire no alla ricandidatura di Nello Musumeci e aspettare le mosse degli alleati. Che potrebbero anche decidere (con il Lazio a FdI e la Lombardia confermata alla Lega) di lasciare l’Isola proprio a Forza Italia. Con Stefania Prestigiacomo, più che mai attiva e loquace in Transatlantico negli ultimi giorni, come prima potenziale scelta. Ma Miccichè ha un altro schema in testa: togliere la nomination a Musumeci (circostanza che i No-Nello ieri sera danno ormai per «quasi acquisita»), mantenendo lo scranno più alto di Sala d’Ercole, ma portare la scelta finale sul tavolo del centrodestra siciliano. Che ha già espresso un chiaro gradimento per Raffaele Stancanelli. Con posizioni differenziate all’interno della Lega: il deputato regionale Luca Sammartino (pure lui a Roma, ma martedì, per preparare il terreno con Matteo Salvini) spinge per l’eurodeputato meloniano, mentre il segretario siciliano Nino Minardo (che ieri s’è soffermato a lungo con il Capitano) gioca una partita diversa, fra low profile e lealismo musumeciano, anche con la prospettiva, tutt’altro che tramontata, di essere lui stesso alla fine a correre per Palazzo d’Orléans. Ma Stancanelli ha una paradossale zavorra che lo frena: mette d’accordo quasi tutti gli alleati siciliani, ma non può essere espresso dal suo partito. Meloni, del resto, in uno dei pochi passaggi a margine del vertice in cui è emerso il nodo Sicilia, ha confermato: «Se il governatore dev’essere mio, non me lo faccio scegliere dagli altri». Una linea tanto intransigente da far balenare in testa dei No-Nello l’idea di «un candidato indipendente al di sopra dei partiti».

Non è dato sapere se potrebbe essere lo stesso Stancanelli, che s’è sempre detto  «a disposizione del mio partito e della coalizione». In questo contesto, allora, rischia di avere un ruolo decisivo Raffaele Lombardo. Anche lui, guarda caso, ieri a Roma. Fonti forziste parlano di un «lungo e cordialissimo colloquio con Berlusconi» in mattinata, altri testimoni oculari giurano di aver visto il leader autonomista uscire da un incontro con Salvini. E allora potrebbero essere anche i piccoli partiti (l’unico siciliano presente al vertice dei leader ieri pomeriggio è l’ex ministro Saverio Romano, per Noi con l’Italia) a orientare, in un senso o nell’altro, le scelte del tavolo nazionale.

Musumeci è davvero fuori gioco? No, per nulla. Primo perché Meloni non lo molla: «Se non troviamo l’accordo subito su Nello – è l’altra frase che le attribuiscono – allora possiamo rinviare la scelta a dopo quelle sulle politiche. E in Sicilia, per quanto mi riguarda, si può votare anche a novembre». Ma per gli alleati più raffinati si tratta di una schermaglia tattica. All’aspirante premier l’election day conviene, a maggior ragione dopo essere uscita vincitrice dal vertice di ieri: passano la linea del “governa chi ha più voti” e la spartizione dei seggi in base alla forza attuale stimata dai sondaggi. E quindi, ragiona un big della coalizione, «lei non ha voluto forzare su Musumeci subito dopo aver ottenuto ciò che voleva». L’ipotesi di Regionali il 25 settembre resta concreta. Non a caso, ieri all’Ars, autorevoli esponenti del Pizzo Magico quotano «al 95 per cento» le dimissioni del governatore, addirittura con una data e un luogo precisi: martedì, in aula all’Ars. Meloni è l’ultima leader a lasciare il vertice, molto prima di lei vanno via Salvini (in serata c’è la festa di compleanno della fidanzata, Francesca Verdini) e Berlusconi, piuttosto contrariato per essere stato costretto a recarsi a Montecitorio anziché ricevere gli alleati in una delle sue ville.  E oggi a Roma si materializzerà anche Musumeci. Di ritorno dalla due giorni anglossassone: ieri a Dublino l’incontro con l’amministratore delegato di Ryanair, il quale, ironia della sorte, di cognome fa Wilson, come il pallone amico di Tom Hanks sull’isola deserta di Cast Away. Il governatore ha in programma un incontro proprio con Meloni, che in tarda mattinata riunirà la direzione nazionale del partito per discutere di candidature alle Politiche. L’asse Nello-Giorgia resta forte, ma il risvolto più concreto degli ultimi giorni è che Salvini e Berlusconi hanno una soluzione comune per il rebus siciliano. Il Cav ieri avrebbe pure chiesto delle “referenze” sui nomi alternativi, mentre il leader della Lega rassicura i suoi e anche il federato Lombardo: «Non si deciderà niente di diverso dalla volontà dei siciliani».
Twitter: @MarioBarresi
 

Pubblicato da:
Carmela Marino
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