Francantonio Genovese interrogato dal pm nemico: «La politica costa, e io sono generoso»

Di Mario Barresi / 24 Novembre 2017

Il padrone di Messina e il pm.

Il ras delle preferenze che ha incoronato il figlio, nelle urne e nei registri degli indagati, faccia a faccia col procuratore che – con indagini e processi – ha messo in crisi l’impero. Una delle parti più cinematografiche delle 177 pagine del gip Salvatore Mastroeni è l’interrogatorio.

Carcere di Gazzi, 14 aprile 2015.

Accanto a Genovese c’è l’avvocato Nino Favazzo. Assieme ad Ardita il pm Fabrizio Monaco. Che chiede al deputato detenuto per l’inchiesta “Corsi d’oro 2” «notizie sulla origine della provvista di queste somme detenute all’estero sin dagli anni 70». La risposta è fra orgoglio dinastico e reticenza: «Mio padre era un socio fondatore di una delle aziende più importanti, sicuramente, del Messinese, quindi…». Si tratta di «Tourist Ferryboat o Caronte&Tourist», ammette. Il pm vuole sapere se le somme del padre provengano da questa attività d’impresa. Genovese si irrigidisce: «Guardi, io sinceramente, direi, potrei dire delle sciocchezze. Io sono nato nel ‘68, quindi a un anno e mezzo non ero in grado di…». Per l’accusa c’è la tracciabilità del tesoro dei Genovese: somme occultate, depositate su conto all’estero e poi schermate con una polizza. Il deputato di Forza Italia conferma anche il sistema degli “spalloni”, che gli portavano i contanti prelevati in Svizzera. «Le somme, poi, venivano accreditate a Roma o a Milano», attraverso «una parola convenzionale». Genovese ammette la natura fittizia della società panamense («Ma, mica sono andato a Panama!»), per il gip «costituita ad hoc per aprire il conto monegasco», sul quale confluiscono le somme detenute a Lugano in una banca che dopo lo scandalo formazione non lo considerava più cliente gradito. «Credit Suisse è una grossa banca, mi disse, e da un punto di vista esterno, perl’immagine, non voleva nessun tipo di problema», racconta ai pm.

Ma la parte più suggestiva è il confronto fra il magistrato e il politico sulla destinazione delle somme.

Pm Ardita: Se ci dà solo una indicazione di massima per capire in quali attività la maggior parte di questi soldi sono stati spesi, in quale settore sono stati spesi.

Genovese: Esigenze familiari e personali, esigenze familiari di mia moglie, dei miei figli, di mio padre, ristoranti, matrimoni, regali… Io devo dire che conducevo una vita abbastanza… con relazioni molto elevate. Credo di aver ricevuto annualmente, almeno cinquanta inviti l’anno di matrimonio, comprese… escluse le partecipazioni. Facendo politica ovviamente il regalo anche in partecipazione. Pranzi e cene che costantemente… sicuramente quattro giorni la settimana nel ristorante, e non in ristoranti, ovviamente, dove il costo era basso. Poi vestiti, ovviamente, sia per me sia per la mia famiglia e sia per tutti. Fra regali, gioielli, regali a mia moglie eee… per dire, mobili antichi, quadri, dico, potrei stare qui all’infinito, dico, se mi date il tempo io scrivo pure, cioè non è questo lo schema di riferimento. Oltretutto, vi erano esigenze familiari, personali, di mio padre… in alcuni casi mio padre, mia sorella. Affrontavo pure le spese del… e poi della famiglia che, in maniera abbastanza evidente e parecchio… Sono in grado di continuare, se lei…

Pm Ardita: No, no, va bene. Diciamo, è una quantità di denaro molto ingente con le norme che stabiliscono anche un tetto, un pagamento…

Genovese: Ma le rispettavo, se no non credo che potesse accettare il pagamento colui che lo riceveva…

Pm Ardita: Dico, sono un po’ tanti otto milioni di euro francamente per una giustificazione di spese personali, anche se lei sicuramente ha una vita molto dispendiosa…

Genovese: Che siano tanti sono consapevole, ma che li abbia spesi così è… (…) È un dato oggettivo, però è anche un dato per cui io conducevo una vita abbastanza dispendiosa e anche abbastanza generosa nei confronti degli altri, tenuto con anche del mestiere che facevo e tenuto conto del fatto che dai miei conti correnti non prelevavo.

«Uno scenario di gravità inaudita». Il gip Mastoeni si sofferma sulla giustificazione («facendo politica ovviamente») che Genovese fornisce. «Parla genericamente di regali ai matrimoni, ma otto milioni richiederebbero partecipazioni da tutta Italia, forse Europa». Poi il giudice prova a fare l’avvocato del diavolo: «E se la frase celasse interventi per le fasce povere della città, per seminare bene, e senza alcuna resa, sarebbe certo non frutto di alcun obbligo, ma segnale di straordinarietà della destinazione, da alleviare in qualche modo l’evasione delle tasse. Chi ruba per gli altri – scrive il gip – ha sullo sfondo la figura di Robin Hood».

Ma Messina, purtroppo, non è la foresta di Sherwood.

Twitter: @MarioBarresi

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Pubblicato da:
Redazione
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