Falcone: «Manovra impugnata? Non è colpa della Regione. Marchette? Macché…»

Di Mario Barresi / 17 Aprile 2023

Marco Falcone, nel sostenere che l’eventuale impugnativa del governo nazionale sulla finanziaria siciliana «non desta alcun tipo di preoccupazione», parte da una premessa ben precisa. «L’ultimo bilancio della Regione è il più solido degli ultimi vent’anni, basato su due direttrici di fondo: prudenza nella previsione delle entrate e qualificazione delle spese». Pur non smentendo la notizia pubblicata ieri da La Sicilia – una nota del ministero del Sud e della Coesione territoriale che avvisa il governo regionale della «sussistenza di eventuali profili di illegittimità costituzionale» della manovra 2023 votata all’Ars meno di due mesi fa – l’assessore all’Economia ribalta la prospettiva: «L’impugnativa potrebbe essere fondata su un solo elemento oggettivo, ovvero i ritardi dello stesso ministero della Coesione sul trasferimento delle risorse del Fsc alla Sicilia».

Il malloppo

Un malloppo, quello del Fondo sviluppo e coesione, che nella programmazione 2021-27 pesa per oltre 5,5 miliardi di euro. Alla Regione «l’allora ministro Mara Carfagna ai tempi del governo Draghi aveva previsto una anticipazione su tali risorse di 774 milioni, di questi però ne sono stati trasferiti di fatto solo 237. Oggi chiediamo le somme che mancano».

Ma questi soldi perché non arrivano? «Il ministro Raffaele Fitto s’era impegnato al trasferimento definitivo delle risorse entro gennaio, ma ciò non è avvenuto. Ed è una questione aperta, ricorda l’assessore di Forza Italia, per tutte le Regioni del Sud, tant’è che altri governatori hanno già sollevato il tema con forza al governo nazionale». Già venerdì scorso, appena ricevuto il “preavviso” da Roma, Renato Schifani ha chiamato il ministro meloniano Fitto per chiedere proprio il mezzo miliardo mancante dell’anticipazione di Carfagna. Una cifra che, secondo le stime dell’Economia, «garantirebbe quasi tutto, ma non proprio tutto», rispetto alle poste della manovra regionale coperte con il Fsc.

Ma il punto, in effetti, non è questo. Falcone è consapevole del rischio impugnativa, anche perché pure il Mef, con le carte sul tavolo, non può far altro che contestare la legge siciliana. Eppure l’esponente forzista del governo Schifani rivendica che anche l’eventuale “tagliola” di Roma, annunciata su 43 articoli su 120, «non intaccherebbe né la struttura fondante né le misure di quella che è stata innanzitutto la legge di stabilità più importante degli ultimi vent’anni, poi diventata una Finanziaria aperta alle istanze di tutti i territori siciliani». Nonostante questa legge sia stata coperta da 538 milioni di risorse Fsc per il solo 2023, cifra che sale a 1,1 miliardi nel triennio.

L’impalcatura resta

«Appunto per incidere con una leva economica importante, abbiamo usato i fondi destinati allo sviluppo», sottolinea Falcone, che poi aggiunge: «Se dovessero cadere una trentina di articoli non cade l’impalcatura». Questo perché, rivela l’assessore all’Economia, la Regione «ha comunque la necessaria copertura per garantire le misure più qualificanti, coma ad esempio le norme sulla forestazione o i fondi per le progettazioni dei Comuni».

Stessa fiducia su un’altra norma contestata dal ministero della Salute: il transito dei Pip anche nelle aziende ospedaliere e sanitarie siciliane. «Stiamo per inviare le nostre controdeduzioni: è un principio sacrosanto, già sancito per le categorie più basse di precari».

Le piccole norme

Ma il problema più grosso riguarda la miriade di piccole norme finite nel maxi-emendamento trasversale, tutte coperte con risorse del Fsc. «Saranno eventualmente riprogrammate e salvate con una riproposizione da parte del governo regionale non appena le risorse della Coesione saranno disponibili», assicura Falcone.

In effetti, come ammette lo stesso titolare dell’Economia, l’utilizzo di questo tipo di fondi non dovrebbe avvenire attraverso una legge dell’Ars, «perché la programmazione delle risorse spetta alla giunta regionale, che deve semmai chiedere un parere alla commissione Bilancio». E allora perché i contributi a pioggia per campi sportivi, chiese di paese, teatri e altre misure locali, sono finiti nella manovra con copertura del Fsc 2021/27? «Perché molti deputati, di maggioranza e di opposizione, hanno preferito legiferare per avere più certezze rispetto a quegli interventi». E adesso, paradossalmente, quelle certezze vengono meno. Soprattutto per le tre norme citate nell’anticipazione del nostro giornale: l’articolo 72 (700mila euro per spazi esterni di una scuola di Capaci), il 73 (800mila euro per impianti sportivi nel Comune di Floridia) e il 75 (600mila euro per la manutenzione straordinaria del mercato ortofrutticolo di Vittoria). Tutti interventi coperti con la vecchia programmazione Fsc 2014/20.

Riprogrammazione

«Non essendoci state, come prevede un decreto del governo Draghi, obbligazioni giuridicamente vincolanti entro il 31 dicembre scorso, quei fondi – ammette Falcone – sono inutilizzabili e questi tre articoli, forse frutto di un errore materiale dei colleghi del Pd proponenti, sono gli unici sicuramente impugnabili. Ma anche per questi ci sarà la possibilità di una riprogrammazione col nuovo plafond».

Resta aperta la questione politica. Con un dubbio, alimentato anche da un certo fastidio trapelato da Palazzo d’Orléans dopo la nota di Roma, riguardante la matrice di una finanziaria ora a rischio. C’era davvero bisogno di arrivare dalla decina di articoli del ddl partorito in giunta ai 120 infarciti di misure-marchetta? Falcone rivendica «una scelta condivisa da tutto il governo», ovvero «la coralità nella formazione di una legge che guarda a tutti i territori in maniera armonica e non faziosa».

Nessun “inciucione”

L’assessore forzista smentisce sdegnato la definizione di «incucione» fra centrodestra, Pd, M5S e Cateno De Luca. «Mi sento, come il presidente Schifani, un parlamentarista convinto, questa finanziaria è frutto di un accordo politico in cui le prerogative dell’Ars, nella sua interezza, sono state rispettate».

Adesso il governo regionale aspetta l’esito della vicenda a Roma. «Invieremo le nostre osservazioni, ma il punto di caduta, lo ripeto, è l’assegnazione definitiva delle risorse Fsc da parte del ministero». Lo stesso che contesta la manovra regionale: sembra surreale, ma è così. E non è improbabile che, se perdurassero i «ritardi» del meloniano Fitto denunciati da Falcone, l’impugnativa arriverà davvero.

L’aneddoto

Eppure lo scenario descritto dall’assessore all’economia non è apocalittico. «Grazie alla prudenza nell’impostazione del bilancio, fra maggiori entrate e compensazioni, avremo un “tesoretto” di circa 200 milioni da poter gestire». Ma la vera novità, assicura, è «il rapporto di fiducia con il governo nazionale, grazie all’impegno di questi mesi». Con un aneddoto per provarlo: «Quando, con il presidente Schifani, abbiamo incontrato il ministro Giorgetti, con lui c’erano i vertici del Mef, dal ragioniere generale Mazzotta all’ispettore capo Bilardo. Hanno apprezzato l’impostazione della manovra e il nostro lavoro». E il prossimo passo, auspica Falcone, è dietro l’angolo: «Arrivare alla storica revisione dell’accordo Stato-Regione, con l’effetto, fra gli altri, di sbloccare le assunzioni alla Regione. Perché a Roma sanno bene che noi i compiti a casa li abbiamo fatti tutti».

E la finanziaria impugnata, dunque, potrebbe rimanere un’“interrogazione” senza voto. «Anche perché su quei soldi del Fsc – ripete Falcone fino alla nausea – le colpe non sono nostre».

Twitter: @MarioBarresi

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Pubblicato da:
Alfredo Zermo
Tag: marco falcone mario barresi