Enzo Bianco, presidente del Consiglio nazionale di Anci, perché sta diventando così difficile oggi fare il sindaco?
«Io credo che il legislatore, tanto quello nazionale che quello regionale, abbia dimenticato la responsabilità enorme che ricade su chi ha il coraggio o la follia, dipende dai punti di vista, di andare ad amministrare. Va recuperato un profilo diverso che sia in grado di commisurare l’effettività delle scelte assunte alle responsabilità che vengono attribuite. Inoltre non va dimenticato che il sindaco di un piccolo comune guadagna quanto chi percepisce il reddito di cittadinanza».
Dove si è inceppato allora il meccanismo?
«La normativa spesso ha determinato autentiche zone d’ombra che hanno messo i sindaci alle corde. Sul concetto di abuso d’ufficio si gioca oggi una partita determinante, non si tratta di non punire chi sbaglia, quello è giusto e va da sé, ma è anche vero che il 97% dei processi per abuso d’ufficio si chiude con un proscioglimento o un’assoluzione, ma nel frattempo la gogna mediatica non torna indietro».
Su questo tema e più in generale sulla necessità di una revisione il fronte è compatto o c’è chi recita a soggetto?
«La battaglia di Anci che mette d’accordo tutti i colori politici e le piccoli e grandi aree metropolitane è proprio questa, mettere un poco d’ordine nelle leggi».
Come si traduce il confronto in esito?
«Il ministro Lamorgese sulla base anche degli impulsi che abbiamo lanciato come associazione sta predisponendo una riforma del Testo unico degli enti locali, lo stesso che porta la mia firma e che oggi necessita di una profonda revisione».
In cosa va reso più adeguato oggi a suo avviso il nuovo testo?
«Sicuramente nel separare più nettamente la responsabilità amministrativa da quella politica. Oggi un sindaco non firma il provvedimento e si trova indagato o incriminato per qualcosa che non dipende dalla sua competenza. Responsabilità e autonomie delle scelte sono due perimetri che non possono essere sovrapposti, potere d’indirizzo e gestione vanno delimitati e ridefiniti».
Dove inizia la marcatura asfissiante delle norme e dove finiscono indolenza e responsabilità degli amministratori?
«È ovvio che un sindaco debba rispettare la legge, ma deve anche poter conseguire un risultato. Solo chi non fa non sbaglia».
Intanto adesso arriva la possibilità di spendere soldi con il Pnnr per non restare indietro, ma i sindaci dovranno gestirsi tra mille difficoltà. Cosa va fatto con priorità?
«È un momento di importanza epocale. Noi abbiamo amministrato per 15 anni con la "spending review" e agli enti locali sono stati tolti molti più soldi di quanto non sia successo con le Regioni. Oggi per fortuna arrivano i fondi da spendere ma la carenza di personale rischia di giocare un ruolo negativo decisivo ancora una volta a scapito delle comunità amministrate».
In Sicilia cosa va migliorato in materia di ordinamento degli enti locali?
«Abbiamo fatto un pessimo uso dello Statuto. Lo testimonia il fatto che le Città metropolitane in Sicilia sono "in manu a nuddu"».
In che senso?
«Sono ancora prive degli strumenti statutari, dell’organo consiliare e della giunta. Si parla, è bene ricordarlo, di città in cui vivono i tre quarti della popolazione dell’Isola. Questo è colpa dello Statuto, o meglio dell’uso che ne è stato fatto, abbiamo trasformato una possibilità in un limite».