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Elezioni comunali: Caltagirone al bivio, o di qua o di là nell’unico test di peso regionale

L’uscente Ioppolo non si ricandida e gli schieramenti (più per interesse che per passione) si ricompattano. Fra scontri sui conti e questioni morali

Di Mario Barresi |

Chi, fra i due,  ottiene un solo voto più dell’altro si prende tutto. Tutto e subito. Altro che nostalgie proporzionaliste, modelli Draghi con le sarde e convergenze parallele. Caltagirone è davanti a un bivio secco: o di qua o di là. E l’elezione del prossimo sindaco, nella città di Luigi Sturzo, assume per questo motivo (ma anche per altri ancora) la valenza di un test  – forse l’unico così brutalmente chiaro – in cui i due schieramenti, consolidati dai risultati nel resto d’Italia, si potranno misurare a un anno dalle Regionali: centrodestra contro centrosinistra. Non c’è trucco e non c’è inganno.

Certo, i percorsi che nelle rispettive coalizioni hanno portato alla sfida fra Sergio Gruttadauria e Fabio Roccuzzo sono più simili a matrimoni d’interesse che a travolgenti storie d’amore. Ma tant’è. Fra pochi giorni i cittadini di Caltagirone dovranno scegliere fra due alternative. Molto diverse.

La prima è in parziale continuità con il sindaco uscente, Gino Ioppolo. L’avvocato è in assoluto la persona più vicina a Nello Musumeci. Da sempre. Ma, al contrario del governatore, lui l’ha detto e l’ha fatto: «Mi candido e sto soltanto cinque anni». Adesso «mi riprendo la mia vita», si schermisce, magari in attesa che dal suo “gemello diverso” gli arrivi  una proposta – per Palermo o per Roma – che non potrà rifiutare.

La corsa alla successione, nel centrodestra, s’era aperta già da mesi. Fino ad arrivare a tre candidati molto più che aspiranti. C’era infatti Massimo Alparone, ingegnere, presidente del consiglio comunale, da sempre fiduciario calatino di Raffaele Lombardo, appoggiato da DiventeràBellissima e quindi dallo stesso Ioppolo. E c’era anche Salvo Romeo, avvocato, emergente  di Fratelli d’Italia. Alla fine, in un gioco degli specchi in cui una parte  guardava alle mosse dell’altra, quando fra i giallorossi era maturata l’unità, dall’altra parte c’è stato un doppio passo indietro.

E Gruttadauria è rimasto l’unico in lizza, grazie anche al vigoroso lavoro diplomatico dell’assessore regionale Marco Falcone. Sulla nomination dell’architetto è stato decisivo il superamento di una vicenda giudiziaria. Gruttadauria è stato assolto, «perché il fatto non sussiste»,  in un processo per  tentata induzione indebita a dare o promettere utilità: i pm gli contestavano un pressing  nei confronti dell’ex capo dell’ufficio tecnico comunale dopo l’esclusione di un’impresa edile dall’albo dei fornitori. Col  rinvio a giudizio, nel novembre 2019, Gruttadauria s’era dimesso da vicesindaco e assessore ai Lavori pubblici di  Ioppolo, proprio mentre Falcone lo nominava nel Cda del Cas. Ma ora il forzista, recordman di preferenze da consigliere nel 2016,  ha le mani libere (e soprattutto una corazzata di otto liste, alcune civiche,  molto competitive) per prendersi la rivincita.

E il centrosinistra? La compattezza, pur partendo da posizioni distanti anni luce, alla fine è uno status  in apparenza più naturale. Roccuzzo, progettista europeo ed ex consigliere provinciale, è l’uomo che alla fine ha messo d’accordo Pd, M5S e sinistra. Il primo muro da superare era l’incomunicabilità fra dem e grillini. C’è voluta tutta la fatica di Anthony Barbagallo (legatissimo al candidato, che era nel suo staff da  assessore al Turismo) e Giancarlo Cancelleri per arrivare all’accordo. Una prova di maturità dei 5stelle, che hanno rinunciato a schierare Piergiorgio Cappello (fratello di Francesco, deputato all’Ars), con il favore ricambiato a parti inverse nella vicina Grammichele. E poi c’è la muraglia dei rancori a sinistra.

Roccuzzo, ex giovane promessa cresciuta nel vivaio di una classe dirigente che ha governato Caltagirone (ma anche il Calatino, fra Asi e Patti territoriali) per  un ventennio, dal 1993 al 2012, con  Marilena Samperi e Franco Pignataro, cinque anni fa consumò un rito edipico. Candidandosi proprio contro Pignataro e incassando quel 20% decisivo per non farlo vincere al primo turno, senza poi aiutarlo (eufemismo) nel ballottaggio in cui prevalse Ioppolo. Ma oggi, pur con qualche conto ancora in sospeso, sembra tutto chiarito.

Roccuzzo ha ripreso la tessera del Pd, tendenza franceschiniana. E poi la dimostrazione più plastica è la discesa in campo, da semplice candidato consigliere, di un pezzo importante di quella storia che Roccuzzo abiurò nel 2016: Gaetano Cardiel; farmacista e manager, mente fra le più raffinate della sinistra siciliana, uno che a Roma poteva permettersi un “vaffa” a Massimo D’Alema nell’epoca in cui era davvero il Lider Maximo. Cardiel è nella lista del Pd, una delle sei di Roccuzzo, di meno e meno forti rispetto a quelle di Gruttadauria. Ma con un valore aggiunto di entusiasmo crescente (e stasera comizia Giusepe Conte) ,forse quanto l’odore di una remuntada sull’avversario di centrodestra, che gli allibratori locali danno in leggero vantaggio.

Non ci sarà ballottaggio, a Caltagirone, perché i due outsider non sono accreditati di consensi tali da impensierire i favoriti. In campo c’è Roberto Gravina, consigliere uscente, geometra all’Iacp etneo, che avrebbe fatto  l’ago della bilancia se i due schieramenti si fossero spaccati. Corre solitario, con “Caltagirone sempre e x sempre”, da orgoglioso rompiballe ex di centrodestra (fu assessore di Nicola Bonanno)  e  con una sfrontata autonomia che lo avvicina alle posizioni di Cateno De Luca. E poi c’è la mitica “zia Peppina”. Al secolo Giusy Aliotta. Pasionaria ex grillina, fuoriuscita da indignata per  la svolta governista-borghese,  riporta nelle strade (ma anche nei carruggi) i valori originari del movimento, con fantasia e suole delle scarpe consumate. Il suo movimento, “Zia Peppina” appunto, si ispira al personaggio che l’ha resa un social-cult: una vecchietta che gira la città, un po’ in stile Striscia la notizia, denunciando disservizi e magagne. 

Il nuovo sindaco, da lunedì prossimo, troverà una Caltagirone non più nella fogna del default. Ioppolo ostenta i numeri – debiti ridotti da 103 a 39 milioni in cinque anni – di un risanamento finanziario che il centrosinistra  (imbarazzato della richiesta di rinvio a giudizio per falso in bilancio a pendente sulla giunta Pignataro, con dirigenti e  revisori dei conti) dubita sia «duraturo».

E i giallorossi buttano la palla della questione morale sul campo avversario, denunciando alcune «opacità» nella gestione di appalti e lavori pubblici dell’era Ioppolo, in cui anche alcuni dei candidati ora in prima linea non sarebbero state semplici comparse. I rifiuti (differenziata al 64%, ma discariche abusive nelle periferie) e la raffica di inaugurazioni last minute di Ioppolo (il Ccr e i lavori alla villa comunale e negli impianti sportivi) gli argomenti di chiacchiera al bar dello sport della politica locale. Ma nulla che infiammi una campagna elettorale intorpidita dalle restrizioni anti-Covid, ma soprattutto  da una disillusione diffusa. Né, purtroppo, questa grigia tornata elettorale d’autunno sarà un “Appello ai liberi e forti” di una storica capitale della Bella Politica in Sicilia.

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