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Elezioni comunali, a Catania ora si fa sul serio: Schifani “ct” del centrodestra, primi incontri sui candidati nel centrosinistra

Derby Razza-Sudano, ma spunta una terza via. Progressisti, presto vertice da Conte: via libera ad Abramo?

Di Mario Barresi |

Adesso si comincia a fare sul serio. Sciolto il doppio nodo – la finanziaria all’Ars e le Regionali  – parte la corsa alla primavera elettorale siciliana. Con Catania, città più grande d’Italia al voto, al centro di una bagarre che promette scintille. La “lezione” di Lazio e Lombardia, seppur con esiti del tutto opposti, è chiara per tutti gli schieramenti: bisogna evitare le spaccature.

Lo sanno bene nel centrodestra siciliano, che dalla prossima settimana comincerà a discutere di candidati. Con un “mediatore” d’eccezione: Renato Schifani. Che, «contrariamente al suo predecessore», annotano con rassicurata malizia fonti di prima mano, «s’è detto ben disposto a esercitare il ruolo di leader regionale della coalizione allo scopo di tenerla unita». Almeno nei capoluoghi al voto: oltre a Catania, Siracusa, Ragusa e Trapani.

Un compito in apparenza titanico, per il governatore palermitano. Ma nulla è impossibile per Schifani. Soprattutto dopo che è riuscito – il giorno di Sant’Agata, alla Grotta di Santa Tecla – a organizzare un intimo pranzo con alleati etnei uniti dagli odi incrociati: Luca Sammartino con Valeria Sudano, Marco Falcone e Nicola  D’Agostino, con lo stimato ad di Sac, Nico Torrisi,  in veste di “trova l’intruso”. Non s’è parlato d’elezioni, anche per scongiurare una cattiva digestione dei commensali. E così, fra  un’insalata di mare  e un calice d’Etna bianco, soltanto chiacchiere in libertà su Candelore e anatemi clericali.

Ma negli ultimi giorni Schifani ha rassicurato alcuni alleati  sul suo ruolo di “ct”. «Soprattutto dopo che si risolverà la questione del coordinatore regionale di Forza Italia». Come se ci fosse nell’aria il siluramento di Gianfranco Miccichè. Il quale, ostentando la sua «totale felicità», a Casa Minutella chiarisce il concetto: «Trattative e liste nei comuni? Fino a prova contraria le farò io».

Ma fra i nemici del cavaliere solitario forzista, confinato all’esilio del gruppo misto all’Ars, «perché tutto quello che è successo era un piano di Schifani con Ignazio La Russa», c’è chi si dice sicuro che la «prova contraria» stia per materializzarsi con lo sbarco di Giorgio Mulè come super commissario siciliano.

La partita però non si giocherà su un tavolo siciliano. «Le scelte su Catania le faranno i leader a Roma», assicurano da Fratelli d’Italia, confortati dai dati lombardo-laziali. Giorgia Meloni (o chi per lei) rivendicherà con forza quella che diventerebbe la più grande città a guida patriota. Ma Matteo Salvini ha già promesso ai suoi che vuole realizzare un sogno covato sin dall’estate 2021, quella della sfacciata campagna acquisti nell’Isola: la prima  donna sindaco di una città del Sud, ovvero la deputata Sudano.

FdI non ha ancora affrontato il tema dei nomi. Il più forte, ai nastri di partenza, è di certo quello di Ruggero Razza. Che domenica ha fatto il suo esordio al Massimino da tifoso del Catania con moglie-assessora e figlio al seguito. Forte, oltre che del sostegno di Falcone, del feeling con Raffaele Lombardo, che aspetta la Cassazione sul suo processo per mafia per decidere la strategia finale. E se Miccichè non ha dubbi («Chi voterei fra Razza e Sudano se fossi catanese? Valeria, tutta la vita…»), per tutti gli altri non è così.

Il principale rivale interno di Razza  è Sergio Parisi: smentita la rottura col suo big sponsor Salvo Pogliese (che l’ha comunque ripreso per qualche «fuga in avanti»), l’ex assessore,  adorato dai tifosi e stimato dai burocrati, è più che mai in campo anche come anello di congiunzione con la passata giunta. Ma, estremizzando il concetto della continuità, c’è chi non esclude un clamoroso rientro dello stesso Pogliese in caso di assoluzione al processo per peculato a Palermo. Fantapolitica giudiziaria? Forse. Perché qualcuno giura che il «vero candidato di Giorgia» è ancora tenuto sotto copertura: Manlio Messina.

Fra i tanti dubbi del centrodestra vulcanico c’è una certezza: Sammartino non sosterrebbe mai Razza né Messina. Il vicepresidente della Regione, se costretto a ingoiare un candidato di FdI per superiori ordini nazionali, proverebbe lo stesso schema di La Russa alle Regionali: «Non volete il mio candidato? Allora lo scelgo io a casa vostra».  A quel punto sarebbe pollice verso tanto per il detestato delfino musumeciano quanto  per l’ex assessore al Turismo, sempre più intimo di Lombardo, e per l’epigono di Pogliese, di cui  i Luca-boys sono stati feroce opposizione in consiglio.  

E allora qualcuno, fra i moderati della coalizione, si porta avanti col lavoro. Ipotizzando «una candidatura d’area FdI dal profilo alto che metta d’accordo tutti». Per non fare nomi: la costituzionalista Ida Nicotra, moglie di Felice Giuffrè neo-membro del Csm in quota meloniana, ex consigliera Anac all’epoca espressa da Angelino Alfano dopo lo scouting di Giuseppe Castiglione. Ma la diretta interessata, oggetto di sfrenato corteggiamento, ha già detto: «No, grazie». E non solo in tv. Si vedrà.

Comunque,  un certo ottimismo emerge fra i massimi esperti di poltrone: «Se si fa la legge sulle Province ci saranno decine di posti di consolazione». Vero è. Il tavolo del centrodestra su Catania si aprirà la prossima settimana. E potrebbe avere un effetto-domino sulle scelte per Siracusa, Ragusa e Trapani, dove la coalizione è nel pieno del rebus sugli sfidanti agli uscenti Francesco Italia, Peppe Cassì e Giacomo Tranchida.

Anche il centrosinistra s’interroga sui risultati delle Regionali. Arrivando a una conclusione ancor più radicale: «Se perdiamo pure uniti, figuriamoci come finisce se ci spacchiamo». Un postulato di cui sono sempre più convinti a Catania. Dove i dirigenti locali di partiti e movimenti tracciano con ammirevole diligenza il calendario dei “Tavoli progressisti”: pianificazione urbana sostenibile, politiche abitative, diritti sociali e via discutendo, in una serie di incontri fra fine febbraio e inizio marzo.

Nel frattempo i leader regionali si muovono sul candidato. E venerdì potrebbe essere il giorno propizio per l’incontro di Nuccio Di Paola, magari accompagnato dal ritrovato amico dem Anthony Barbagallo, con Giuseppe Conte. Sul tavolo il risiko delle amministrative siciliane, a partire da Catania. Dove sembra esserci una convergenza su Emiliano Abramo, apprezzato uomo di punta di Sant’Egidio. Ma i grillini, che rinuncerebbero a Nunzia Catalfo (la preferita a sinistra) e Giancarlo Cancelleri (pronto comunque a issare la bandiera civico-centrista) per il tabù del terzo mandato, avvertono gli alleati: «Non commettano con Abramo lo stesso errore fatto con Caterina Chinnici». Ovvero: mettergli il cappello, ostentarlo come «uomo di una parte». Lui non può certo sbianchettare dal curriculum la presenza nelle liste del Pd alle ultime Politiche (magari sceglierebbe di rimuovere il 3,6% da candidato civico a Catania nel 2018), ma è abbastanza scaltro da evitare di farsi ingabbiare. Anzi, ha proprio il problema opposto: la stima reciproca con Lombardo, che indispettisce i più radicali e ingolosisce i più spregiudicati dello zoo giallorosso.

Dove pesa, eccome, il “fattore B”. Come (Enzo) Bianco. L’ex sindaco continua a rinviare l’annuncio della sua ridiscesa in campo. «Ancora siamo solo all’ottava di Sant’Aituzza», risponde sornione a chi gli ricorda la scadenza dell’outing post-patrona. Magari Bianco, osteggiato quanto temuto nel centrosinistra, sta aspettando un altro santo. Laico. Ed emiliano (con la “e” minuscola: non c’entra Abramo): Stefano Bonaccini, riabbracciato con calore nella kermesse per le primarie (ma a Catania città il governatore ha preso un misero 17,7%), ora in testa nella corsa per il Nazareno. Eh sì, i sogni son desideri.

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