VERSO IL VOTO
Elezioni, a Catania la crisi di nervi del centrodestra diventa un caso nazionale
La strada sembra tracciata: dando quasi per scontata la rottura in Sicilia, tutto si deciderà a Roma
Questa sarà davvero la settimana decisiva. Anche perché il centrodestra non può permettersi ulteriori logoramenti sul caso Catania. Che, oltre ad aprire una contesa a Roma fra i due principali partiti, rischia di mettere in crisi il governo regionale. Riunificazione o spaccatura definitiva: non ci sono alternative dopo gli avvenimenti degli ultimi giorni. Dalla comparsa massiva dei manifesti di Valeria Sudano candidata alla linea di Raffaele Lombardo dettata nel congresso degli autonomisti, sotto il Vulcano ribollono tutti i crateri, piccoli e grandi, di una coalizione in preda a una crisi di nervi.
E allora, in attesa del vertice regionale programmato per venerdì prossimo, qualcosa potrebbe succedere prima a Roma. Lo conferma, senza giri di parole, Manlio Messina: «Aspettiamo che il presidente Giorgia Meloni la settimana prossima si esprima e scelga il nome del candidato». Di Fratelli d’Italia, s’intende. E dell’intera coalizione, visto che lo stesso capogruppo di FdI alla Camera ribadisce a Italpress che «a noi spetta il sindaco perché siamo il primo partito in Italia e in Sicilia». E scandisce: «Ogni partito della coalizione ha delle velleità. La nostra, invece, non è velleità. Abbiamo fatto un passo indietro sulla presidenza della Regione, per la forte pressione di Forza Italia, e per il candidato sindaco di Palermo, dimostrando grande senso di responsabilità. Ora spetta agli altri alleati tirarsi indietro».
La griglia di nomi
Al di là della forzatura sulla scelta di Renato Schifani (fu FdI a esprimerlo, contro il volere dell’ex leader forzista Gianfranco Miccichè), Messina fa però chiarezza su quella che finora è stata una debolezza del partito: la mancanza di un unico candidato. E riporta indietro le lancette a prima del vertice palermitano del 16 marzo, smentendo in un certo senso la linea del coordinatore regionale Salvo Pogliese. Che a quel tavolo s’era presentato con due nomi (l’ex assessore dello stesso Pogliese, Sergio Parisi, e l’ex assessore regionale alla Salute, Ruggero Razza), chiedendo agli alleati di «esprimersi su quello più inclusivo». Il meloniano più potente di Sicilia, invece, va oltre la scelta binaria: «In ballo non ci sono solo loro. C’è una griglia di nomi – certifica Messina – su cui si esprimerà la premier». Anche dopo aver letto, sostengono fonti del partito, i dati di un sondaggio sullo scenario di Catania commissionato da Via della Scrofa, i cui risultati sono attesi in settimana.
Il ”ripescaggio”
In questo modo viene “ripescato” l’altro ex assessore comunale Pippo Arcidiacono, uscito dalla terna (all’inizio era una quaterna: con anche Raffaele Stancanelli, sgradito a Meloni) dei patrioti e già sui social con la grafica da «candidato sindaco». Ma nella «griglia» potrebbero esserci anche altri. Non più il magistrato Sebastiano Ardita, che, nell’intervista di ieri al nostro giornale, s’è sfilato con gran classe dal corteggiamento che pur c’è stato. E giammai l’altra “super toga” che, come confidato da Ignazio La Russa a pochissimi ottimati meloniani, sarebbe stato «il miglior candidato del mondo». Prima di accorgersi che s’era fatto i conti male su età e prospettive di pensionamento. Non può starci, nella “lista interna” di partito, Lombardo, pur ritenuto un «alleato su cui contare» oltre che una carta da giocare in caso d’emergenza. Potrebbe esserci lo stesso Messina, ritenuto «il candidato più autorevole» a Roma, da dove però il diretto interessato non vorrebbe muoversi.
Il capogruppo di FdI a Montecitorio detta una linea chiara, anche a costo di dare l’impressione di sottovalutare il tavolo siciliano del centrodestra, appena insediatosi su forte input di Schifani. «Catania è la città più importante di questa tornata elettorale e la partita si gioca a Roma, dopo aver sentito i rappresentanti dei partiti a livello comunale, provinciale e regionale. Soprattutto se a livello regionale non si troverà la tanto auspicata unità».
La strada tracciata
Insomma, la strada sembra tracciata: dando quasi per scontata la rottura in Sicilia, tutto si deciderà nella capitale. Fonti nazionali di FdI sostengono che Matteo Salvini stia «giocando una partita al rialzo con Giorgia, per ottenere ciò che vuole a Terni e soprattutto a Brescia». Ma dal quartier generale del Carroccio rassicurano: «Il Capitano su Valeria non mollerà di un centimetro, anche dopo tutto quello che ha fatto la Lega per risanare i conti di Catania». E ci pensa la neo-commissaria regionale, Annalisa Tardino, a chiarire il concetto: Sudano «è il nostro candidato, convintamente offerto al tavolo del centrodestra, e che come noto, ha ricevuto l’endorsement pubblico del nostro leader, è già in campo da settimane e ha tutte le carte in regola per ricoprire questo prestigioso incarico». L’eurodeputata interviene anche per «chiarire le posizioni fantasiose che si sono lette e sentite, finalizzate, invano, ad incrinare i rapporti con gli alleati», rispondendo così a Lombardo, che sabato a Catania ha attaccato la «candidatura fuori dalla logica» di Sudano. Che intanto, in tandem con Luca Sammartino, continua a tessere la tela delle alleanze e a costruire liste a suo sostegno (si dice che siano già cinque), pescando pezzi grossi dal mondo moderato, ma anche fra i delusi, per i più disparati motivi, fuori e dentro la coalizione.
I manifesti elettorali
Certo, la scelta di tappezzare la città di 6×3 («Catania Vale», il claim elettorale) la espone alle critiche. Come quella del meloniano Pogliese: «C’eravamo aggiornati a venerdì prossimo, ma vedere la sua gigantografia ovunque, il pomeriggio dopo il vertice regionale, secondo me è stata una scelta azzardata, una provocazione agli alleati e in particolare un affronto a Forza Italia, che aveva promosso l’incontro, e al presidente Schifani come garante dell’unità della coalizione». La leghista Tardino ha una sua spiegazione: «L’uscita con i manifesti non è nulla di diverso da ciò che, in altre competizioni elettorali tanto importanti quanto Catania, hanno fatto altri candidati della coalizione, cosa che non ha escluso poi di arrivare a una scelta condivisa».
In mezzo c’è Forza Italia. Con alcuni big nazionali (ad esempio Licia Ronzulli) che propendono, nel silenzio di Arcore, per il sostegno a Sudano, mentre i leader locali – a partire da Marco Falcone, mai in sintonia con Nicola D’Agostino come sul muro contro Sammartino – si espongono per stare con FdI, seppur con sensibilità diverse sui candidati. E in mezzo c’è soprattutto Schifani. Che, al contrario del predecessore Nello Musumeci, ha voluto esercitare il ruolo di leader “politico” della coalizione. Oggi pomeriggio il governatore sarà al Nettuno di Catania per chiudere il meeting forzista “Obiettivo Catania”. Previsti gli interventi di Falcone e D’Agostino, ma anche quello del neo-commissario Marcello Caruso.
L’uomo-ombra di Schifani
L’uomo in assoluto più vicino a Schifani ha già avuto modo di esprimere il suo pensiero a Italpress: «Ci sono state fughe in avanti che non credo facciano bene né alla politica né a coloro che le intraprendono». Caruso lancia un preciso avvertimento: «Dico a chiare lettere che il presidente Schifani, espressione del nostro partito, fino a oggi è stato il garante assoluto della tenuta della maggioranza e credo che questo atteggiamento non possa essere messo alla mercé di chi pensa che in altri luoghi e in altri livelli della politica tutto questo possa essere vanificato». Un messaggio inviato alla Lega? «No, lo mando a tutti. Perché anche FdI deve fare chiarezza al proprio interno: un unico nome per avere elementi utili di valutazione».
E non sbaglia, l’attento Caruso, a rivolgersi anche agli alleati meloniani. Che lo hanno preso in parola: a giorni sceglieranno il candidato. Da imporre a tutta la coalizione: prendere o lasciare. Se qualcuno osasse mettersi contro, è pronta la controffensiva, «anche a costo – ricostruisce, citando «più fonti qualificate interne al partito», Adnkronos – di mettere in crisi il governo regionale».
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