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Elezioni, a Caltanissetta tra gazzelle e leoni nel laboratorio dei buchi neri

Di Mario Barresi - Nostro inviato |

Caltanissetta – C’è una gazzella, che corre veloce. Ma non tanto da poter vincere tutto e subito, il 28 aprile. E deve fare attenzione. Ché altrimenti dall’indomani sarà un’altra corsa: i due leoni all’inseguimento potrebbero diventare – uno soprattutto – belve talmente feroci da ingoiare, due settimane dopo, la gazzella ora in fuga.

Gazzella e leoni. In una giungla. Caotica e insidiosa. Eppure, da domani, sarà silenzio. Ma fino a oggi si può. Diffonderlo, pubblicarlo, commentarlo, contestarlo. E allora eccolo, il primo – e, a questo punto, ultimo – sondaggio sulle intenzioni di voto a Caltanissetta, unico capoluogo di provincia alle urne nel (solitario) election day siciliano. Un test locale, ma con significati e contraddizioni, esperimenti e segnali, tali da elevarlo a test di rango regionale. Se non di più.

E poi c’è il mistero. Questa, in fondo, è la capitale dei buchi neri. Non c’è bisogno di fotografarli, perché ti respirano addosso fino a inghiottirti senza preavviso. Nella città dove i magistrati indagano su stragi di Stato, pentiti-pupi e inquietanti pupari. Nella Paperopoli dell’antimafia, zona franca – in tutti i sensi – della legalità, celebrata in riti orgiastici di auto blu ministeriali, epicentro del mascariamento di Antonello Montante («Ma lui è di Serradifalco», si difendono le animelle nissene) e ora sede plastica e iconoclasta di un processo alla storia della Sicilia degli ultimi due lustri.

E dov’è finito – se non nel black hole della politica politicante, con la spintarella di una sana ignavia – il civismo puro (seppur un po’ à pois color rosso pallido dem) di Giovanni Ruvolo, il sindaco “fuori dai partiti” finito ostaggio delle masturbazioni partitocratiche? Lo scienziato torna alla sua scienza. Ma sulla coscienza ha la parabola di un movimento pre-grillino e post-populista, che aspirava a diventare un franchising municipale – il “polo civico” – da esportare altrove. Dalla culla alla tomba. O quanto meno alla sala rianimazione. Perché la successione fra Ruvolo e la sua erede designata (dalla «democrazia partecipata dal basso», s’intende), l’assessora Graziella Riggi, avvocata e unica donna in lizza, s’è interrotta nella grigia stanza dell’ufficio elettorale. Irregolarità nelle liste, «carenze che non riesco a definire involontarie», sibila lei sottintendendo una “manina” dispettosa. Tutto finito, prima di cominciare, anche per Maurizio Averna – ex assessore di centrodestra, ora altro civico escluso a causa d’incuria nelle scartoffie – soltanto omonimo, ci dicono, della famiglia che qui fondò la fabbrica del celebre amaro, infine tracannato dalla multinazionale Campari.

L’ottovolante ha perso due passeggeri. Ma ne rimangono sei. Eccoli.

La gazzella è Michele Giarratana, candidato di tutto il centrodestra esclusa la Lega. Il sondaggio di “Keix”, l’istituto diretto da Salvo Panarello, gli accredita il 31,5%. Uno zoccolo duro molto spesso, ma non tanto da superare l’asticella del 40%. Ma tant’è. Giarratana, ingegnere grande amico di Maurizio Gasparri, ha il vento in poppa di una coalizione à la page, ma soprattutto di una corazzata di sei liste. Con i partiti che ci mettono la faccia: da Forza Italia a DiventeràBellissima, passando dai centristi fino allo strano “monolocale” condiviso dai Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni con i nipotini di Cateno De Luca di Sicilia Vera. Il sondaggio, basato sulle intenzioni di voto al candidato sindaco, sottovaluta l’effetto-trascinamento di quasi 150 aspiranti consiglieri?

Una gioiosa macchina da guerra, che rischia di trasformare in realtà ciò che – più di tre anni fa – era appena preconizzato nelle intercettazioni dell’inchiesta su Montante. «Mi chiama… chiama in continuazione… un c’arrispunnu…», dice l’ex paladino antimafia, l’8 aprile 2016, in un colloquio captato dalle cimici piazzate dentro l’auto dell’allora vicepresidente della Camera di Commercio, Calogero Giuseppe Valenza. Montante si riferisce proprio a Giarratana (sconfitto da Ruvolo al ballottaggio nel 2014). E secondo Valenza, ricostruisce la Squadra mobile nell’informativa, queste chiamate «erano finalizzate ad ottenere un appoggio per una sua futura ulteriore candidatura a sindaco». L’ex leader confindustriale è ai domiciliari, in attesa di una sentenza che potrebbe arrivare quasi in coincidenza con l’eventuale ballottaggio. Lui è fuori gioco. Ma a Caltanissetta sono in molti a essere convinti che il “fattore M” sia ancora condizionante, anche se magari non decisivo come una volta. E allora uno dei giochi di società più diffusi fra bar e salotti borghesi è stanare gli Antonello-boys, “cellule dormienti” che s’annidano «in molte liste». Ai nemici del favorito Giarratana, inoltre, piace decantare le pagine del libro del concittadino Attilio Bolzoni, Il Padrino dell’antimafia, in cui l’eterno aspirante sindaco di centrodestra è definito «una delle tante “trombette” di Montante. Solerte informatore per naturale predisposizione o per avere in cambio qualcosa». Il riferimento è a un appunto del 2015, agli atti dell’inchiesta, in cui l’ex apostolo antimafia annota una chiamata del politico nisseno che gli riferisce che «qualche giorno prima Bolzoni girava a Serradifalco per cercare persone…».

Acqua passata? Vedremo. Giarratana, fortemente voluto dal deputato forzista-miccicheiano Michele Mancuso, è molto stimato. Resta il candidato da battere. Punta a vincere al primo turno. E sarebbe quasi certo di riuscirvi, se potesse contare anche sull’appoggio del candidato leghista. Ma Oscar Aiello, ex Pdl e Forza Italia, poi fulminato sulla via di Pontida, balla da solo. E mostra i muscoli con un robusto 15% di cui lo accredita il sondaggio di “Keix”. Al netto della spinta che gli arriverà dall’annunciato comizio-blitz di Matteo Salvini, a Caltanissetta il 26 aprile proprio in chiusura di campagna elettorale. Il giocattolo del centrodestra, qui, s’è rotto perché Giarratana&C. hanno rifiutato di cimentarsi nelle primarie. «Una provocazione», la tesi forzista. A cui Alessandro Pagano (deputato del Carroccio, ex Pdl, ex Fi, ex Ncd, alla ribalta regionale dal 1996) va ribattendo con un concetto binario: «Noi siamo il nuovo, loro il vecchio». Il tesoretto leghista, semmai Giarratana dovesse arrivare al ballottaggio, sarà decisivo. «E chissà che a Caltanissetta non faremo un esperimento gialloverde…», sibila un vice-viceré salviniano di Sicilia.

E poi i leoni che inseguono la gazzella Giarratana. Il più vicino (o meglio: il meno distante) è Roberto Gambino a cui il sondaggio attribuisce un 23,8%. Funzionario dell’ufficio tecnico comunale, è l’uomo su cui il M5S punta per conquistare il suo tòpos epifanico dell’Isola. È qui, con la prima candidatura di Giancarlo Cancelleri, che si plasmò il nucleo a capo del movimento siciliano da almeno sette anni. Ed è nella sua città che il vicepresidente dell’Ars, sconfitto due volte nella sfida per Palazzo d’Orléans, si gioca la sua ultima cartuccia da leader carismatico. L’obiettivo è arrivare al ballottaggio. Se così non fosse ci perderebbe la faccia. E sarebbe un altro buco nero, come quello sulle mancate alleanze dei grillini. Cancelleri voleva gemellarsi con almeno altre due liste, ma l’indole sperimentale della Sicilia è più veloce dei regolamenti pentastellati: Luigi Di Maio sostiene l’idea, ma non è codificata. Non fatta la legge, trovato l’inganno. Giancarlo, il più democristiano dei grillini, lancia «un’intesa tecnica» con “Più Città”, il movimento fondato da due ex compagni d’avventura di Ruvolo, Marina Castiglione e Pietro Cavaleri. E suggella il tutto indicando Giuseppe La Mensa, guru locale delle app di cittadinanza, come assessore “esterno” di Gambino. Che, sussurrano i colleghi in ufficio, è un tipo «fumantino e incazzoso». E poi, per una certa fascia di cinquestelle ortodossi, non è il massimo candidarsi ad aprire il Comune con l’apriscatole, affidando l’arnese proprio a uno dei 450 burocrati di uno stipendificio ingessato e improduttivo, al netto del pianoforte piazzato da Ruvolo nell’androne di Palazzo del Carmine.

Il grillino sente sul collo il fiato di un pimpante centrosinistra. Ringalluzzito dalle primarie del Pd, ma qui senza il simbolo del Pd. E così Salvatore Messana è sostenuto solo da civiche, fra le quali una, i Progressisti, è un covo di dem. Il candidato, nel sondaggio “Keix”, sfiora il 20%, con vista sul ballottaggio. Dicono che lui il sindaco lo sa fare. Del resto l’ha fatto già, dal 1999 al 2009, per due mandati consecutivi. Il primo, si favoleggia, grazie a una sorta di testamento scritto col sangue dal sindaco Michele Abbate, ucciso a coltellate da un balordo. E fu proprio Messana, titolare di una farmacia sulla strata ‘a foglia, uno dei primi a soccorrerlo e uno degli ultimi a parlargli prima che spirasse. Un’eredità vintage, quella del centrosinistra in stile ulivista, oggi più che mai tornata di moda. Il candidato fa del sostegno alle fasce deboli, e ai disabili in particolare, il suo cavallo di battaglia. Indicando assessore Ettore Garozzo, splendida persona. Ma avendo con sé, in una delle liste a sostegno, Gianluca Miccichè, l’assessore regionale sbugiardato dalle “Iene” proprio per i bluff nei confronti del popolo delle carrozzelle. «Non lo vogliamo», aveva tuonato, invano, il Pd.

La rilevazione di “Keix” attribuisce una certa robustezza anche agli altri due outsider: Rocco Gumina è quasi al 6%; Salvatore Licata oltre il 4%. Insomma, le chiacchiere non stanno a zero (virgola qualche cosa). Sia il docente di religione fondatore di “Open Politiche Aperte”, sia l’avvocato e consigliere uscente di “Orgoglio Nisseno”, un tempo vicino a Ruvolo, vogliono dire la loro. Puntando all’elettorato orfano di Riggi e Averna, lo stesso che fa gola a M5S e centrosinistra. L’idea di purezza civica, nella vulgata dei soliti chiacchieroni da bar, viene appena macchiata dall’interesse che due grandi vecchi della politica nissena, sotto sotto, pare mostrino per Gumina (c’è il like di Bernanrdo Alaimo, quasi ottuagenario ex capo corrente democristiano) e per Licata (sul quale punta qualche fiche l’immarcescibile Totò Cardinale, che però ufficialmente sta con Messana).

I giochi sono fatti? Tutt’altro. Soltanto quattro elettori su 10 hanno già deciso. Tre sono orientati su chi votare, ma non ancora risoluti. E la fascia degli indecisi, con diverse sfumature, va ben oltre il 17%. È l’ultimo buco nero di queste elezioni.

Il più profondo. Il più decisivo.

Twitter: @MarioBarresi

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