Salvo Pogliese aveva già fatto, in tempi non sospetti, il biglietto per Roma. E oggi salirà sull’aereo, ma con un macigno in valigia: la sospensione da sindaco di Catania, per altri quasi 14 mesi (e cioè fino a marzo 2023) scattata su provvedimento del prefetto.
E così Pogliese, atteso nella Capitale all’incontro decisivo sulla trattativa fra Giorgia Meloni e Nello Musumeci per l’alleanza del governatore con Fratelli d’Italia, ha adesso un motivo personale ben più urgente da discutere con la leader del suo partito. Ovvero: come sbrogliare la nuova matassa che s’è aggrovigliata sotto il Vulcano. Con il caso (o caos) etneo che irrompe sul già intricato risiko regionale.
Le dimissioni di Pogliese, per ora smentite da fonti di Palazzo degli Elefanti, aprirebbero lo scenario di un voto in contemporanea, la prossima primavera, nelle tre città più importanti dell’Isola: Palermo (come da calendario), Messina (se Cateno De Luca confermerà, come sembra, le dimissioni già depositate e ieri temporaneamente ritirate) e, appunto, Catania. Tutto ciò al netto delle «attente riflessioni» tutt’ora in corso a Palazzo d’Orléans, dove Musumeci, in attesa dell’esito dei «vertici romani con i leader del centrodestra» di questi giorni, non ha ancora deposto l’arma del “reset” della giunta regionale, con le opzioni di un governo del presidente o di dimissioni con voto anticipato. Che cadrebbe, in tal caso, nello stesso periodo delle Amministrative, ma – per Statuto della Regione – in una data comunque diversa.
La (ri)sospensione di Pogliese, in apparenza, è una mera questione giuridico-burocratica. Ieri pomeriggio la segretaria generale del Comune di Catania, Rossana Manno, ha notificato al sindaco l’atto con cui il prefetto Maria Grazia Librizzi comunica che «ha ripreso la sua efficacia il decreto prefettizio originario di sospensione del 24 luglio 2020 (emanato ai sensi della legge Severino) che si esaurirà decorsi 18 mesi complessivi, al netto del periodo di sospensione».
Pogliese, condannato a quattro anni e tre mesi per peculato dal Tribunale di Palermo nel primo grado del processo sulle spese da capogruppo all’Ars del Pdl, è stato già “congelato”, nel luglio del 2020, dall’allora prefetto Claudio Sammartino, in base alla legge Severino. La “sospensione della sospensione” arriva il 5 dicembre dello stesso anno, quando il Tribunale solleva la questione di legittimità costituzionale della norma, su sollecitazione della difesa del sindaco. Che torna in carica, dopo aver scontato quattro mesi e 13 giorni sui 18 mesi previsti.
La Consulta, il 2 dicembre 2021, dichiara «non fondate le questioni di legittimità». E sull’applicazione della Severino a una fattispecie inedita si apre la guerra delle interpretazioni. Secondo il pool di avvocati del sindaco, «trattandosi di una misura cautelare e non di una sanzione, come del resto chiarito dalla stessa Consulta nel provvedimento», il nuovo stop non sarebbe dovuto scattare, perché sono già trascorsi per intero – dal 20 gennaio – i 18 mesi di stop massimo previsti dalla legge.
Ma la Procura di Catania, nell’udienza successiva al parere della Corte Costituzionale, avanza una tesi diversa: il “ritorno in vita” della sospensione, a cui vanno sottratti i quattro mesi e 13 giorni già scontati, fino al marzo del 2023. E ieri la Prefettura – «in assenza di un’ordinanza da parte del Tribunale», come ricorda il sindaco – fa propria questa interpretazione. «In maniera del tutto inaspettata mi ritrovo a commentare l’ennesimo atto che riporta indietro le lancette della mia esperienza da sindaco», l’amaro commento di Pogliese.
La nuova sospensione del sindaco di Catania rischia di diventare un caso giudiziario – e politico – nazionale. Perché, al di là dei referendum di primavera, in cui uno dei quesiti riguarda la legge Severino, in Parlamento ci sono diversi disegni di legge per la modifica, eliminando ad esempio la discriminazione nei confronti degli amministratori locali rispetto ai parlamentari nazionali ed europei. Anche di questo, di certo, discuterà oggi Pogliese con Meloni, a margine del vertice sull’alleanza con Musumeci, per il quale saranno a Roma l’altro coordinatore regionale del partito, il palermitano Giampiero Cannella, oltre che gli assessori Manlio Messina e Ruggero Razza. Per sciogliere il nodo Catania c’è l’ipotesi, alquanto concreta, di un asse FdI-Pd per incardinare un ddl di modifica già a febbraio, risolvendo così pure l’analogo impiccio del sindaco dem di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, condannato a un anno e quattro mesi e sospeso sempre per effetto della Severino.
A Catania, intanto, riprende le redini (come già nel 2020) il vicesindaco Roberto Bonaccorsi. Pogliese resta in attesa dei «chiarimenti del caso» prima di «fare tutte le opportune valutazioni e assumere scelte consequenziali». Le persone più vicine al sindaco esorcizzano l’idea di un addio di pancia, ipotizzando una sorta di “quarantena”, in attesa dei risvolti parlamentari e referendari, ma soprattutto dell’esito di un ricorso, più che scontato, contro l’ordinanza del prefetto.
Il Pd va subito alla resa dei conti. «Pogliese eviti di coinvolgere ulteriormente la città nelle sue battaglie giudiziarie. La città di Catania non ne può più di questa odissea che lo vede protagonista. È davvero troppo, lasci subito la poltrona di sindaco», incalzano le segreterie dem regionale e provinciale. Sfidando anche la consapevolezza di non avere un candidato pronto: soltanto voci, in base a un accordo regionale col Pd, di una nomination grillina della deputata dell’Ars, Gianina Ciancio. Ma anche Enzo Bianco, al netto dei processi in corso e delle prospettive senatoriali, potrebbe meditare un clamoroso ritorno in campo.
Il vero punto è che pure nel centrodestra le dimissioni di Pogliese (e il conseguente voto anticipato) non sono più un tabù. E s’incrociano con i giochi per le Regionali. Nonostante ieri il commissario forzista etneo, Marco Falcone, si sia precipitato a far sapere al sindaco che «è meglio non fare scelte affrettate», altri alleati sussurrano già della prospettiva elettorale. Raffaele Lombardo, ringalluzzito dall’assoluzione e ostile a Pogliese, ha già in testa un paio di idee: l’assessore Antonio Scavone, ma soprattutto il presidente uscente di Ast, Gaetano Tafuri. Da ambienti moderati emerge un interessamento, per ora soltanto “esplorativo”, da parte dell’ex sottosegretario Giuseppe Castiglione, uomo forte di Forza Italia sotto il Vulcano.
Ma all’orizzonte, benedetta da Matteo Salvini in persona, la candidatura più nitida è quella della senatrice leghista Valeria Sudano. Che però, con lealtà, ripete da mesi a Pogliese la medesima rassicurazione: «Io ci penso solo se tu non sei in campo». E questo, col processo d’appello ancora neppure iniziato a Palermo, è un tema dirimente. Qual è il futuro di Pogliese, con o senza dimissioni? Il sindaco, che continua a ricordare di «aver lasciato un comodo seggio a Bruxelles per una scelta d’amore per la mia città», potrebbe dirottare su un posto a Roma, intasando così un parterre di aspiranti che, soltanto in FdI, vede già in prima linea l’assessore Messina, a cui potrebbe aggiungersi, in caso di accordo con Meloni, uno dei Nello-boys (il delfino Razza o l’assessore comunale Enrico Trantino), se non addirittura lo stesso governatore in caso di exit strategy estrema dalla Regione.
Ma chi conosce bene Pogliese ha tutt’altra percezione: «Salvo, in ogni caso, vuole ricandidarsi per fare di nuovo il sindaco». Una questione d’onore. In rotta di collisione con i tempi pachidermici della giustizia. E con le bizzarre alchimie della politica.