Lunedì la direzione regionale del partito dovrà decidere. Fausto Raciti s’è chiuso nel silenzio. Ma, da chi ha parlato con lui nelle ultime ore, trapela una rabbiosa smentita: «Nessun accordo con D’Alia e Alfano per affossare Crocetta», avrebbe detto il segretario regionale. Ricordando di essere stato «più volte attaccato per il comportamento leale nei confronti del presidente anche nei momenti più difficili». Lui dice che «prenderà atto della decisione del partito», ma è chiaro che Raciti proverà a orientare la crisi. Come? Adesso non è più proponibile la soluzione della quale ha parlato giovedì mattina al telefono con Giampiero D’Alia e con lo stesso Crocetta: una exit strategy morbida, che passava dalle dimissioni di Pistorio.
La mossa dei Centristi e di Ap, seppur in parte disinnescata dalle posizioni degli assessori Carmencita Mangano e Carlo Vermiglio, mette comunque il Pd davanti a una scelta. Ritirare i suoi rappresentanti in giunta oppure no? E qui si apre un altro nodo. Il principale. Perché sono davvero in pochi, fra gli assessori dem, quelli disposti a sacrificarsi in nome di una rottura con Crocetta «che a quattro mesi dal voto non sarebbe capita dagli elettori». E poi ci sono ragioni più concrete. Che riguardano, trasversalmente, tutte le componenti del partito. Una campagna elettorale da un posto di governo garantisce una certa rendita di posizione. Soprattutto in assessorati “pesanti” o con una certa liquidità. Non a caso, fra i primi a storcere il naso sull’ipotesi della Crocexit sono Antonello Cracolici (Agricoltura, con il pozzo di soldi del Prs da spendere), Anthony Barbagallo (Turismo, con l’ultima tranche di progetti e di eventi da gestire), Baldo Gucciardi (Sanità, con i concorsi in itinere), Bruno Marziano (Formazione, con i bandi aperti). Più defilati Alessandro Baccei e Vania Contrafatto. Per il loro profilo tecnico, ma anche perché paradossalmente in questo momento l’esponente del Pd che ha meno interesse a far cadere Crocetta è proprio Davide Faraone. Nonostante sia stato l’unico in passato a chiedere al partito di staccare la spina, adesso il sottosegretario è più “laico” e attendista. «Vediamo che succede», va dicendo ai suoi. «A me, francamente, di questa crisi non me ne frega niente. La dovevamo aprire prima, molto prima, ma non mi avete voluto ascoltare».
Ed è proprio sul timing che batteranno, da qui a lunedì, i dem più scettici sull’uscita dal governo. Aggiungendo un altro argomento: le scelte degli altri alleati. Il leader di Sicilia Futura, Totò Cardinale, se la guarda dalla finestra: filtra che l’assessore Maurizio Croce resterebbe «a titolo personale». E anche Luisa Lantieri (Sicilia Democratica) non si schioda.
E allora? Le somme le tira, sul fare della sera, un big del Pd. Tanto influente quanto pragmatico. «I Centristi dicono che escono, ma la Mangano non esce. Alfano dice che esce, ma Vermiglio ci sta pensando. Cardinale lascia Croce, la Lantieri resta. E nel nostro partito non vuole dimettersi quasi nessuno. Alla fine l’unico che s’è dimesso davvero, o quasi, è proprio Pistorio. C’era bisogno di fare tutto ’sto casino? Non potevamo farlo prima e ci risolvevamo tutti i problemi…». Ma è la Crocexit: tutto può succedere. Ancora.
Twitter:@MarioBarresi