«Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricevuto questa mattina al Palazzo del Quirinale il Presidente del Consiglio dei ministri professor Mario Draghi, il quale, dopo aver riferito in merito alla discussione e al voto di ieri presso il Senato ha reiterato le
dimissioni sue e del governo da lui presieduto. Il Presidente della Repubblica ne ha preso atto, il governo rimane in carica
per il disbrigo degli affari correnti». E’ quanto dichiara in un video dal Quirinale il Segretario generale della Presidenza
della Repubblica Ugo Zampetti
IL Quirinale era pronto da tempo all’evento traumatico: gli uffici del presidente avevano già studiato nei dettagli un percorso che ha il suo traguardo nella casella del 2 ottobre individuata come data più idonea per richiamare gli italiani alle urne. Il Quirinale avrebbe voluto correre di più ma la settimana precedente, il 25 settembre, è stata cassata per non disturbare la partenza del capodanno ebraico. Probabile quindi che il presidente della Repubblica si possa prendere qualche giorno prima di sciogliere formalmente le Camere per poter entrare nei 70 giorni che al massimo possono passare dallo scioglimento alle elezioni.
Ma soprattutto, da giorni, la preoccupazione del Quirinale è quella di costruire un paracadute all’Italia. Una protezione che possa portare ordinatamente il Paese alle urne e proteggerlo dalle inevitabili ripercussioni sui mercati che la fine del governo Draghi comporterà. Questo paracadute è ancora Mario Draghi che non è stato sfiduciato e potrà, forse obtorto collo, traghettare con maggior vigore un Italia che da qui alla formazione del nuovo governo, cioè almeno novembre, ha molte, molte cose da fare e compiti da eseguire.
Un governo dimissionario resta in carica «per il disbrigo degli affari correnti» per garantire la continuità amministrativa in quanto il Paese non può restare senza una guida. Tra le sue facoltà ci sono gli atti di straordinaria necessità ed urgenza, come i decreti legge se necessari e gli atti definiti «indefettibili» ovvero obbligatori per uno Stato. Ad essere preclusi, invece, sono tutti gli atti caratterizzati da una discrezionalità politica, come i disegni di legge (a meno che essi non siano legati ad obblighi internazionali).
Ad entrare nel merito di ciò che il governo Draghi, dopo le dimissioni del premier, potrà fare è il costituzionalista Francesco Clementi: «Primo: l’esecutivo potrà firmare decreti legge se servissero. Le Camere, infatti, anche se sciolte, sono appositamente convocate per la conversione. (Il rischio, però, è che non vi sia conversione per una situazione parlamentare particolarmente polarizzata e pre-elettorale). In questo contesto il "decreto accise" annunciato per fine mese, è possibile. Secondo – continua -: dovrà portare a compimento gli "atti indefettibili", ovvero quegli obblighi dettati da un meccanismo automatico: ad esempio, l’Italia non può smettere di pagare il debito pubblico. Terzo: potrà e dovrà emanare tutti i decreti legislativi attuativi di deleghe già approvate dal Parlamento, che è una quota parte importante dell’attuazione del Pnrr. Quarto – spiega il prof -: deve portare avanti tutto ciò che consente di far funzionare la macchina amministrativa del Paese, per esempio non si può smettere di fare passaporti…La quinta facoltà è stata introdotta durante la crisi del governo Gentiloni: l’attuazione del diritto comunitario e degli obblighi europei».
Clementi preannuncia anche che a giorni dovrà essere emanata una direttiva della presidenza del Consiglio dei ministri che definirà in concreto gli ambiti di intervento del governo dimissionario. «Al suo interno, per quanto spiegato prima, non potranno non esserci le soluzioni a 4 emergenze: economica, pandemica, sociale, e quella legata alla guerra. Dunque – sottolinea -, agli impegni che l’Italia ha preso con gli alleati per sostenere l’Ucraina, compreso eventualmente il prossimo decreto armi». Di contro, essendo esclusi «tutti gli atti politici come i disegni leggi e le richieste politiche, saranno preclusi anche gli atti discrezionali».