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Di Maio dopo il tour in Sicilia: “nostalgia” di Salvini e avanti tutta sul «M5s del Sud»

Di Mario Barresi |

VALGUARNERA CAROPEPE – «Il movimento torna nelle piazze, anche con i dieci gradi che fanno qui. Brrr…». Avrebbe dovuto essere a Nagoya, ma ieri – fino a tarda sera, intirizzito nel cappotto blu – dispensa selfie a Carrapipi. «Io sono un cittadino del Sud come voi», arringa Luigi Di Maio sul palco di Valguarnera Caropepe, in una piazza piccola ma piena fino all’orlo nonostante il freddo e il ritardo. Il comizio delle 20,30 slitta alle 22 a causa della diretta con Non è l’Arena. «Però c’era il nome del vostro comune da Giletti…», si giustifica l’atteso ospite.

Ma perché Di Maio – disertando il G20 in Giappone, all’indomani del 70% di no su Rousseau alla sua idea di «pausa elettorale» per le Regionali – ha deciso di trascorrere in Sicilia i tre giorni più delicati della leadership?

E perché Beppe Grillo ha avuto tutta questa fretta nel convocarlo, anticipando a sabato un incontro ipotizzato per oggi, costringendo a un andirivieni fra Roma e l’Isola il ministro degli Esteri, poi tornato in apparenza rafforzato dal video in cui il comico-fondatore dice che «il capo politico è lui, quindi non rompete i coglioni»?

In molti, nelle stanze pentastellate dei bottoni a Roma e in Sicilia, ritengono «più che plausibile» una certa spiegazione. Ovvero: Di Maio, parecchio a disagio nell’alleanza giallorossa, rimpiange sempre più i bei vecchi tempi con Matteo Salvini.

Braccato da gruppi parlamentari che non controlla e messo in discussione dalla maggioranza della base, il capo politico va ripetendo da giorni un profetico mantra: «L’unico modello vincente è il sovranismo, il nostro futuro è quello». Non è solo nostalgia canaglia dell’asse con il gemello diverso, ma un piano covato già da tempo. Di Maio l’avrebbe voluto testare, con il consueto bagno di folla, nella tre giorni siciliana: un M5S «partito del Sud» che faccia da contraltare alla Lega da Roma in giù, ma con le mani libere per un’alleanza dopo il voto. Ferma restando l’intenzione, mai dissimulata, di «portare a termine i punti più importanti del primo contratto» con Salvini. Non a caso, girando per l’Isola, il ministro degli Esteri difende i punti fermi: «Qualcuno vuole tornare alla legge Fornero ed è inaccettabile perché quota 100 è una vostra conquista», aveva detto sabato sera in piazza ad Augusta. E poi, glaciale sulla modifica dei decreti sicurezza, sui migranti in mattinata da Grammichele ribadisce la vecchia linea gialloverde: «Il governo deve lavorare per fare in modo che le imbarcazioni non partano più dalle coste libiche, da quelle tunisine e dal Nord Africa».

Il piano del M5S “terrone” e aperto ai sovranisti resta in canna, nonostante Grillo abbia provato a sterilizzarlo spingendo su un «nuovo contratto» con il Pd – forza con cui è «appena iniziata una nuova chimica» – da gennaio 2020. Di Maio si ferma. Perché in cambio incassa la fiducia («macché commissariamento», sbottano dal suo staff) almeno fino agli Stati Generali pentastellati previsti in primavera. Ma non sembra intenzionato a fare passi impegnativi verso i dem.

Oggi era atteso il veto sull’alleanza col Pd in Emilia-Romagna: «Noi siamo aperti a tutte le forze civiche del territorio, questo è il nostro obiettivo», conferma il leader a Grammichele. E poi, con Giletti, si sfoga: «Su alcuni punti importanti non mi aspettavamo che andassimo d’amore e d’accordo con il Pd», dice in tv dall’Ennese. E avverte gli alleati: sarebbe «veramente incredibile» se bloccassero la riforma della giustizia. Su Salvini prova a depistare: «Neanche una telefonata, se si è si e rotto rapporto di lealtà è difficile che ci sia amicizia. Ha fatto cadere il governo e per me il rapporto si è chiuso».

Eppure, quello che Di Maio a tarda sera esplicita in piazza a Valguarnera sembra il manifesto del M5S sudista e filo-salviniano: «Il vero problema del Sud sono gli amministratori, inutile prendersela con le altre parti del Paese. E difendere il Sud non significa andare a colpire gli interessi di un’altra parte dell’Italia. Se riparte il Sud ce la faremo come nazione, altrimenti ci sarà una parte che dovrà trainare il resto». Come dire: Salvini non è l’uomo nero, non perdiamoci di vista.

Twitter: @MarioBarresi

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