Catania – I vecchi adagi hanno (quasi) sempre ragione. Dino Giarrusso ne sfoggia uno catanese doc: varca ccu tcioppu màzziri, bbo’ ffinisci c’affùnna. E poi lo traduce ai suoi numerosissimi follower dalle Alpi in giù: «Per i non etnei: letteralmente significa “Una barca con troppe màzzare, finisce con l’affondare”. La “màzzara” in siciliano è quel blocco di cemento che si usa al posto dell’àncora classica, nelle piccole imbarcazioni. Ma da un punto di vista allegorico, màzzara significa anche “peso morto”». Un chiaro avviso ai naviganti, da parte dell’eurodeputato del M5S, all’indomani del tracollo in Umbria. Una sconfitta cocente che, al di là degli equilibri nazionali (l’alleanza sempre più raccogliticcia col Pd), trascina con sé, nel processo a Luigi Di Maio, anche la leadership siciliana di Giancarlo Cancelleri, che nelle verdi colline della Waterloo grillina ci ha messo la sua faccia viceministeriale, accompagnando il capo politico negli ultimi giorni di campagna elettorale.
E dunque, oltre che su Roma, l’ansia da vendetta pentastellata è rivolta anche su Palermo. Giarrusso non ha mai risparmiato critiche alla gestione del movimento in Sicilia e adesso la debolezza di Gigino diventa debolezza al quadrato di Giancarlo. Che ammette con fair play: «Diciamo le cose con chiarezza e senza troppi giri di parole: Il M5S ha perso queste elezioni. Le cause? Probabilmente perché deve ritrovare l’umanità, la semplicità, l’unità e l’umiltà che ci hanno sempre fatto da biglietto da visita». Ma, precisa il viceministro dei Trasporti agli «amanti della cronaca idiota», il suo giudizio «non è un attacco né al capo politico né a nessun altro, mi prendo le responsabilità di ciò che è accaduto ancora prima di chiunque altro».
La resa dei conti, anche fra i cinquestelle siciliani, è appena cominciata. L’eurodeputato Ignazio Corrao, ultimamente sempre più acido sulla guida di Di Maio, affonda: «Si è sbagliato tanto e si è perso il contatto con la realtà e con la nostra identità». E incalza: «Adesso leviamoci questo abito di partito che ci sta male e torniamo a fare quello che ha animato e fatto sognare milioni di italiani. Torniamo a fare il Movimento». Molto più duro il senatore catanese Mario Giarrusso: «Ogni volta che un attivista vede uno Spadafora, un Buffagni o una Castelli, viene colto da conati di vomito e fugge via disgustato. Dobbiamo dire basta a questi frutti avvelenati ed a chi li ha coltivati, sostenuti e difesi». E ora è sempre meno improbabile – nel silenzio social dei deputati del gruppo all’Ars – un asse siciliano fra i due Giarrusso, che unisca l’anima ortodossa e gli anti-Cancelleri, magari con l’astensione interessata di Corrao. Uno non vale più uno. Nel bene e nel male.
La scoppola umbra ha due effetti anche per il Pd siciliano. La prima è il mutismo diffuso. Tacciono tutti, i big. Uno dei pochi che si espone è un dem già considerato con addosso la maglietta di Italia Viva, nonostante il diretto interessato non abbia mai annunciato l’addio al partito. «C’è poco da fare analisi. La sconfitta in Umbria dimostra che le alleanze strutturali alle Regionali fra Pd e M5S non possono essere calate dall’alto pensando (sbagliando) che possano funzionare sempre. Ci vuole umiltà ma molto spesso manca nel linguaggio di certi soloni. Le alleanze si costruiscono partendo dai territori». Così parlò, con verbo renziano, il deputato regionale Luca Sammartino. Una posizione molto diversa dai suoi attuali compagni di partito. E se Antonello Cracolici, alla vigilia delle urne, era tiepidamente possibilista («I processi politici non si auspicano e non si determinano con le chiacchiere. La politica si fa qui e ora, tutto il resto è fuffa»), Carmelo Miceli, ex fedelissimo faraoniano rimasto nel Pd, invocava: «L’alleanza con il M5S in Sicilia non si può fare, si deve fare. A partire dalle amministrative».
Già, ora è questo il punto. «Ne parliamo dopo l’Umbria», avevano detto i grillini ai dem più aperti al dialogo (fra i quali il capogruppo all’Ars, Peppino Lupo), ma adesso – dopo la brusca frenata dello stesso Di Maio – la cosa si complica. «Decideremo in base alle situazioni nei singoli comuni», è il flebile piano delle colombe di entrambi i fronti. Ma prima di arrivare alla primavera giallorossa, alle Amministrative siciliane, c’è un autunno caldo da affrontare. E un inverno gelido.