Trasuda di Il Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde, l’arringa autobiografica che Rosario Crocetta pronuncia in sala giunta. Parla di amore per la gioventù e di innamoramento (platonico, giammai sessuale) nei confronti di «quelli belli e con meno di 35 anni, non certo dei sessantenni». Un sentimento che «porta con sé la gioia per la vita che va ancora vissuta», con un finale agrodolce perché «s’invecchia quando si scorgono sul volto dell’amato i segni del tempo».
Il Crocetta-show, con striature pascoliane e ovviamente dannunziane, prosegue con la difesa dell’orgoglio gay senza ostentazioni né pubblicità in stile Nichi Vendola; esplicita il truce dettaglio delle «frasi da caserma» pronunciate su di lui dall’assessore «omofobo e traditore, amico di Cuffaro»; sfiora la tentazione del contro-gossip su gommoni e amanti da andare a prendere a Vulcano.
Poi va al sodo, Crocetta: «Sulla mia dignità non transigo. Quello lì si deve dimettere». Sta per assegnare le deleghe ai Trasporti alla fedelissima Mariella Lo Bello; il governatore, indagato nell’inchiesta di Trapani, non potrebbe tenerle per sé anche per una questione di opportunità.
Ma la strada è segnata. Per lui, ormai, con Pistorio è chiusa.
Eppure la narrazione delle ultime ore – e soprattutto dei prossimi giorni – della convulsa crisi di governo, appiccicata sull’asse omofobo-cuffariano, avrebbe bisogno di diverse citazioni.
Tutt’altro che La Guerra dei Roses, sembra l’ultima litigata fra fidanzati, più per interesse che per amore, in cui nessuno vuole assumersi la responsabilità di lasciare e vuole che sia l’altro a lasciare. Crocetta, pur potendolo fare, non caccia Pistorio. Con una litania gli chiede di dimettersi, ma lui non gli dà soddisfazione. Più una (noiosa) partita a scacchi fra Sandra Mondaini e Raimondo Vianello – pace alle anime loro – dal finale già scritto. Oggi i Centristi per l’Europa, il partito dell’assessore ai Trasporti, al termine della direzione regionale in programma a Catania, decideranno di uscire dal governo ritirando entrambi i loro rappresentanti (oltre a Pistorio anche Carmencita Mangano). Dovrebbero seguire a ruota i “cugini” alfaniani: Ap è pronta a ritirare Carlo Vermiglio.
L’effetto collaterale non considerato (o forse sì) dal governatore è la posizione del Pd. A partire dal segretario regionale del partito, polizza vivente sulla vita di Crocetta anche nei momenti più difficile. «E voi ora che fate?», hanno chiesto gli alleati a Fausto Raciti. «Il tema si pone», la risposta. Perché neanche lui, stavolta, è nelle condizioni di difendere il presidente. Pur detestando l’ipotesi di «affrontare l’ennesima crisi, a cinque mesi dalle elezioni, annacquando già dopo 24 ore il risultato positivo di Palermo». Pistorio aveva già chiesto scusa a Crocetta per le frasi sessiste: il caso, per il Pd, era chiuso. E poi ragionando di tradimenti, «non ci sono atti politici dei Centristi che dimostrino un feeling con Cuffaro e i suoi».
E allora – pronto ad affrontare «il rischio di un effetto-domino» e infastidito dal «metodo che per primo ho combattuto, quando ne era vittima proprio Rosario» – Raciti affronterà le conseguenze di quello che per il governatore può diventare «un suicidio politico», visto che molti nel partito «non vedevano l’ora di mollarlo».
Cè anche una coincidenza politica ben precisa. Crocetta alza il livello dello scontro proprio quando l’ipotesi di Pietro Grasso alle Regionali si fa più concreta giorno dopo giorno. Dopo essersi detto, seppur a denti stretti, disposto a «fare un passo indietro» in caso di una candidatura così autorevole, Crocetta ha preso atto dell’entusiastica «disponibilità» di Raciti sull’inquilino di Palazzo Madama. E ora il governatore sembra aver cambiato strategia: «Vado avanti, la dignità umana non si baratta. Questa non è più politica, è marmaglia», diceva ieri ai suoi a cena. Il piano B? Uno e uno solo: il governo del presidente, in versione balneare. Chi ci sta ci sta; chi non ci sta è fuori. Ma, a quel punto, potrebbe già non esserci quasi nessuno.
Twitter: @MarioBarresi