Crisi Regione, l’exit strategy di Crocetta
Crisi Regione, l’exit strategy di Crocetta «Un nuovo patto con il Pd per le riforme»
Nostra intervista con il governatore sulla situazione politica
Presidente Rosario Crocetta, il suo intervento alla direzione regionale del Pd non è stato convincente. Ha eluso le risposte ai problemi, dicono. Crisi aperta, ma anche no. Prendono tempo, anche gli alleati. Lei aspetterà il verdetto o ha intenzione di fare qualcosa? «Io non ritengo di aver eluso le risposte ai problemi. La politica non è il regno della semplificazione, ma, come diceva Antonio Gramsci parlando dei partiti, l’architettura di una nuova società. Il tema è: come fare la rivoluzione? Una rivoluzione, a meno che non ti metti a tagliare le teste in piazza, non si fa in una notte. Del resto, anche Reich, provando a conciliare Marx con Freud, parlò della società come struttura psichica collettiva… ». La domanda è: ha una exit strategy per la crisi di governo? «Ma certo che ce l’ho! Ci stavo arrivando. Io non sono il difensore di un potere assoluto, tanto meno se il potere in questione è il mio. In una società democratica ci sono delle regole. Democratiche, ma anche etiche. Molti dicono che Crocetta deve andare via. E io me ne andrei pure, se non fossi consapevole lo scenario sarebbe quello del default e del disastro sociale. Io ho mantenuto i nervi saldi, anche in queste settimane di attacchi vili contro la mia intimità, la mia privacy, la mia anima… ». E anche di questo ha parlato a lungo davanti ai delegati del Pd. Ma qual è la novità? C’è una proposta per la maggioranza che vuole staccarle la spina? «Un patto per le riforme. Un accordo con il Pd e con gli alleati. Ma anche un dialogo con l’opposizione e un nuovo rapporto con il governo nazionale. Sia chiaro: Crocetta non vuole essere per Roma ciò che Tsipras è per Bruxelles. Ne abbiamo fatte, di riforme: i tagli per 2,7 miliardi, la riduzione degli sprechi e degli stipendi, la lotta alla corruzione… ». Ma quali sono quelle da fare? Qual è l’idea per convincere il Pd e gli alleati? «Pensavo a un patto di tre punti. Il primo è una maggiore consapevolezza del ruolo. Assumersi le proprie responsabilità in uno sforzo straordinario di coesione: i partiti, l’Ars, il governo regionale. La politica tutta. Dobbiamo ripartire. Cambiando i rapporti e i comportamenti». Anche con nuovi assessori “politici”? «Ma gli assessori del mio governo sono espressione dei partiti! Se non sono soddisfatti ne riparliamo, ma non mi sembra questo il tema decisivo». E sulla Sanità? Come riempirà il vuoto lasciato da Lucia Borsellino? Un nome che rimbalza in queste ore è quello di Santo Carnazzo: docente di Chirurgia a Catania, senatore accademico, impegnato nel volontariato. «È vero, lo confermo. Me ne hanno parlato benissimo, mi sembra uno adatto a ricoprire questo ruolo. Ci sto pensando, lo confesso. Potrebbe essere un’ottima soluzione. Vedremo… ». Torniamo al patto per le riforme. Qual è il secondo punto? «Il secondo punto sono le riforme strutturali. Penso al reddito di sostegno ai poveri, cosa diversa dal reddito minimo garantito. C’è un tavolo aperto fra l’assessore Caruso e il ministro Poletti, con l’ipotesi di 300 milioni per la prima annualità per progetti di utilità collettiva. Poi lo sviluppo: lo “Sblocca Sicilia” per abbattere i tempi della burocrazia, il testo unico per le attività produttive che, mistero della fede, si è arenato all’Ars, il Patto dei sindaci con 5,5 miliardi a disposizione, ovvero 70mila posti di lavoro e il 6% del Pil, e nemmeno un progetto presentato. E tanto altro ancora… ». Qual è il terzo punto del patto? «Le riforme in sospeso. L’acqua, con il ddl in commissione da un anno e mezzo e i partiti spaccati al loro interno. I rifiuti, con un investimento sulla differenziata accoppiato a un sistema di premi e sanzioni, ma il mio progetto stralciato dalla Finanziaria. La formazione, dove abbiamo fatto pulizia, ma adesso servono i soldi per 2mila lavoratori che rischiano di restare fermi. E i Liberi consorzi: si deve risolvere il problema dei dipendenti legati alle funzioni, c’è il rischio di un salto nel buio. Sono tutte riforme pronte. Da condividere anche con le opposizioni. Ma non le possiamo fare se non c’è un’intesa con Roma. Il governo non ci può lasciare da soli. Soprattutto nel riconoscimento dei 300 milioni per chiudere la finanziaria. A rischio ci sono dipendenti, partecipate, consorzi, enti locali, precari, forestali. Qui salta tutto. Serve un nuovo rapporto col governo nazionale». Ma Renzi, come lei ha confessato alla “Stampa”, non le rivolge nemmeno la parola. Non risponde al telefono. Perché questo ostracismo? «Io non ce l’ho con Renzi. Spesso critico il governo nazionale. Ma mi sento come uno “zito” che ha da anni la stessa “zita” ma il matrimonio non si fa mai. Sono un innamorato deluso, ma che non smette mai di essere innamorato… ». Forse è più efficace la metafora dell’amore immaginario… «Sono certo che a Roma non siano informati bene delle cose di Sicilia. Hanno un’immagine distorta e folcloristica della nostra terra. Io ho le idee chiare, voglio sottoporre il mio patto alla maggioranza, ma anche all’opposizione. Ripartiamo. E tutto ciò vorrei raccontarlo anche a Renzi. Quanto è durata quest’intervista?» Più di 50 minuti, presidente. Così dice il display del registratore. «Ecco, con Renzi me ne basterebbero cinque. Cinque minuti. Io e lui, chiusi in una stanza». Così poco tempo? «Mi viene una battuta, ma non la faccio». Grazie. twitter: @MarioBarresi