Matteo Salvini sbarca a Palermo nello stesso giorno in cui, un secolo fa, nasceva Leonardo Sciascia. Eppure per raccontare – al di là delle ricostruzioni da “Istituto Luce” – il senso politico della seconda tappa, dopo Catania, del tour mediatico-giudiziario del Capitano bisogna scomodare le “maschere” di Luigi Pirandello. Un po’ di Nero d’Avola e altrettanto prosecco di Valdobbiadene. Come i vini usati per pasteggiare e brindare nello studio di Roberto Di Mauro, vicepresidente dell’Ars e delegato (da Raffaele Lombardo, assente nella sua immanenza) al patto degli Autonomisti con la Lega.
Sì, perché Salvini ha cominciato a capire – anche perché qualcuno, finalmente, gliel’ha spiegato – come funziona la politica siciliana. Più per necessità che per voglia. E dunque, alla vigilia della sua udienza nell’aula-bunker dell’Ucciardone, depone un mazzo di fiori in via D’Amelio e indossa la mascherina con la stampa del volto di Paolo Borsellino (icona sacra di una certa destra, ispiratore di quel DiventeràBellissima diventato il nome del movimento di Nello Musumeci) e si diverte pure, nel rispondere alle polemiche sulla lesa maestà rivendicata dal puritanesimo del trasversalismo antimafioso. E poi casca, con una certa nonchalance, in una gaffe parrocchiale. Saltato, «causa di un focolaio Covid», recitano le agenzie, l’incontro con il parroco di Maria Santissima delle Grazie, allo Sperone, quartiere noto anche per le grigliate di massa sui tetti in tempo di lockdown. «Nella nostra chiesa non era in programma alcun incontro con il senatore Salvini», precisa, piuttosto piccato, don Ugo Di Marzo dal pulpito social.
«La Sicilia mi piace sempre più», confessa il leader del centrodestra al buffet organizzato per festeggiare il matrimonio con i lombardiani. Mini-panelle, “monachine” di fassona in agrodolce e una carrellata di salumi e formaggi tipici, prima di una ben più robusta “girella” di pappardelle fresche al ragù di maialino nero dei Nebrodi. Salvini gradisce il desinare, ma anche la compagnia. Con lui, oltre allo stato maggiore della Lega (con in testa il neo-segretario regionale Nino Minardo che sottolinea «un’occasione importante per per rimarcare la filosofia del nostro patto federativo interamente incentrata sui territori»), i nuovi soci autonomisti. Un party per «un accordo in cui crediamo molto», certifica Di Mauro, gongolante per aver ritrovato «un riferimento nazionale per parlare di Sicilia a Roma, cosa che non succede da vent’anni». Ci sono tutti i deputati, con l’idea che «i gruppi all’Ars cammineranno in parallelo» e gli assessori. Alberto Samonà, che regala a Salvini la mascherina dello scandalo, ma anche Antonio Scavone, lombardiano d’acciaio, che assicura: «Vogliamo lavorare per un nuovo protagonismo della Regione». Ma nell’alcova autonomista di Palazzo dei Normanni si parla soprattutto di elezioni. Di candidati. E di liste. «Raffaele avrà l’incombenza di prepararne due, una per loro e una per noi», è la freddura in ambienti Mpa. Con primo obbligatorio riferimento alla corsa per Palazzo delle Aquile, nella primavera del 2022. «Il prossimo sindaco di Palermo? Sento tanta voglia di cambiamento», esterna Salvini ai cronisti. Perché dopo Leoluca Orlando, che «è molto bravo a parlare molto meno a fare», ora «sarebbe molto bello esprimere un candidato sindaco della Lega a Palermo o quantomeno condividerlo e sostenerlo».
E l’accento è sugli ultimi due verbi. Perché al leader della Lega ieri viene notificata una (clamorosa) trattativa in corso fra gli Autonomisti e Nino Caleca. Il prestigioso penalista palermitano, ex assessore di Rosario Crocetta, ora membro del Cga, avrebbe già ricevuto da Lombardo in persona la proposta di candidarsi a sindaco. La risposta è rimasta in sospeso, ma quello di Caleca, per il Carroccio, potrebbe essere un nome da «condividere» e «sostenere». Di certo più di quello che Gianfranco Miccichè ha fatto a Salvini nell’«incontro cordiale» di ieri nella Sala Cinese di Palazzo Reale: Roberto Lagalla, assessore di Musumeci, col consenso del governatore che se lo toglierebbe dai piedi nel cammino verso il mandato-bis. Il viceré berlusconiano di Sicilia «dà per scontate troppe cose», mugugnano gli autonomisti sognando una ritrovata «centralità» alle Amministrative più importanti dell’Isola.
Sì, perché poi subito dopo ci saranno le Regionali. E anche di questo, nella sua prima giornata siciliana, ha parlato Salvini. Nel pranzo con i nuovi alleati auronomisti il nome di Musumeci non è stato pronunciato, ma stavolta nemmeno quello di Cateno De Luca (che resta un pallino del Capitano) è venuto fuori con l’istintivo entusiasmo di altre precedenti occasioni. E c’è una precisa spiegazione. Il governatore ha riaperto un varco con la Lega per il progetto di federazione rimasto lettera morta. Con un lavoro diplomatico preparatorio: ricevendo la visita di cortesia di Minardo, subito dopo la nomina a segretario leghista, Musumeci avrebbe chiesto al suo interlocutore se «ci sono ancora le condizioni per riparlarne», proprio perché DiventeràBellissima ha sempre intenzione di allearsi con un partito nazionale del centrodestra. La risposta di Minardo, al netto dell’educazione da gentiluomo della Contea (di Modica), è stata possibilista. «Parliamone».
E il governatore ne ha parlato proprio con Salvini in persona, facendogli da «cicerone qualificatissimo» nella visita all’Albergo delle Povere. Musumeci sarà ricandidato? Alla domanda dei cronisti, il diretto interessato strappa la parola al leader della Lega («In tempo di pandemia non è un argomento che interessa i siciliani»), strappando un cenno d’assenso del destinatario. Ma i due, passeggiando nel palazzo borbonico, ne hanno parlato. Eccome. «Nello, io devo potermi fidare di te», è l’ultimatum del Capitano, certo di «un centrodestra compatto» ma anche di «un’indicazione leghista per la prossima presidenza della Regione». Salvini è pronto a riaprire il dialogo con Musumeci per la federazione e a sostenerlo per il mandato-bis anche a costo di un asse anti-ColonNello che già, oltre all’Mpa, vede Fratelli d’Italia in trincea con gli adepti di rito stancanelliano? Non è dato saperlo. Ma per capirci qualcosa di più, basta un siparietto finale. Quello fra il governatore e Stefano Candiani, presente in prima linea nella giornata palermitana. «Tempo scaduto», aveva sentenziato l’ex commissario leghista sull’alleanza proposta e snobbata. Ieri i due s’ignorano per tutto il tour storico-architettonico. Alla fine è il senatore a rompere provocatoriamente il ghiaccio: «Ciao Nello, non ti avevo visto». Risposta gelida: «Nemmeno io». Ed è la sintesi del new deal salviniano, un destabilizzante doppio forno degno della Dc o magari dell’ultimo alleato coi baffi. Così Musumeci è predestinato o invisibile, pollice su o giù, come per i gladiatori romani; uno, nessuno e centomila. Più Pirandello che Sciascia, nel nuovo senso di Matteo per la Sicilia. Così è (se vi pare).
Twitter: @MarioBarresi