Benvenuti nella giungla patrimoniale della Regione Siciliana. Nella relazione della commissione di esperti incaricati dall’assessore all’Economia, Gaetano Armao, c’è un passaggio esplicito. «Bisogna provare a ridurre il debito verificando la possibilità di dismissioni del patrimonio immobiliare, al netto di eventuali maggiorazioni di oneri per canoni di locazione, e delle eventuali partecipazione che abbiano valore».
Fin qui la relazione dei saggi. Che non sarà la bibbia, ma fornisce uno scenario molto simile a quello già indicato dalla Corte dei conti. Che, nell’ultimo giudizio di parifica, lo scorso luglio aveva dato un ultimatum ben preciso, disponendo che «la Regione provveda alla ricognizione del patrimonio entro l’esercizio 2017».
Cos’è successo negli ultimi sei mesi? «Non abbiamo trovato alcun inventario generale», allarga le braccia Armao. Consapevole della «complicata situazione dovuta alla partecipata Sicilia Patrimonio Immobiliare in liquidazione», ma anche della «necessità di fare presto». E adesso, dunque, l’asticella si sposta al 31 dicembre 2018. «A quella data dovremo aver già disposto un piano organico di dismissioni», dice l’assessore.
Corsi e ricorsi storici. Perché fu proprio Armao, tutt’altro che un marziano oggi di passaggio nei palazzi regionali, a lanciare l’ultimo forte segnale sulla dismissione del patrimonio. Era il 2012 e l’avvocato palermitano, all’epoca assessore nel governo di Raffaele Lombardo, annunciò la collocazione sul mercato di 68 immobili da cui contava di ricavare 224 milioni di euro. Tra i beni contenuti in questo primo avviso vi sono tra gli altri il palazzo dei congressi di Agrigento (valutato 12 milioni di euro), l’ex ospedale di Sciacca, le centrali ortofrutticole di Paternò e Catania, il Cres di Monreale (8 milioni), la Fattoria Sole di Catania e l’ex centrale del vino di Aci Castello. E quella fu anche l’occasione dell’ultima stima ufficiale sul valore del patrimonio immobiliare della Regione: 4,9 miliardi di euro.
E ora Armao riparte, più o meno, da lì. Con il primo enorme muro davanti a sé: in cosa consiste e, sopratutto, quanto vale oggi quel patrimonio? «Alcuni beni – spiega Gaetano Chiaro, dirigente generale delle Finanze – hanno una valorizzazione ufficiale, altri sono ancora da valutare, in quanto la procedura tecnica è complessa ma hanno il valore fiscale determinato dalla rendita. Il problema più grande è il censimento complessivo che riguarda tutti rami di amministrazione: dai Ben culturali all’Agricoltura e al Territorio…». L’assessore punta sul «prezioso lavoro» già svolto dal Dipartimento, ma è chiaro che «la Regione non ha il know-how per completarlo». E allora il piano per riordinare le carte: «Verificheremo la contezza il database di Spi, dopo un incontro con il liquidatore della partecipata, dopo di che potremo avviare una convenzione con l’Agenzia del Demanio». Niente più consulenze milionarie ai privati, ma «un intervento trasparente, efficace e rapido». Con un orizzonte preciso: «In estate vorremmo far partire i primi bandi per i beni all’asta».
Cosa venderà la Regione? Nel sito di Spi, anch’esso in dismissione, campeggiano le foto di beni di Palermo (Villa Gallidoro, Biblioteca regionale di Palermo, Castello Utveggio), Catania (Convento degli ex gesuiti), Trapani (Genio civile, Palazzo Pappalardo, Torre Cofano), Messina (Teatro antico di Patti, ex Santa Margherita, Castello Conte di Bauso, Villa Greco), Agrigento (Terme di Sciacca, ex convento San Francesco, Villa Genuardi, Terme Selinuntine), Caltanissetta (Castello Federiciano) e Siracusa (chiesa del Collegio). Tutti con relativi codici. Suggestivo depistaggio? Di certo sono nella lista dei gioielli di famiglia.
«Il percorso sarà indicato dal presidente Musumeci, magari coinvolgendo l’Ars. È possibile che si cominci – annuncia Armao – dagli asset meno strategici». Un indizio: «Posso dire che venderemo né la Valle dei Templi, né il Teatro greco di Siracusa». Chissà se basterebbero a ripianare i debiti della nobildonna caduta in disgrazia.
Twitter: @MarioBarresi