L’argomento, in casa Mpa, è un pesante tabù. «Voi siete pazzi: non se ne parla nemmeno», risponde Raffaele Lombardo a chiunque, compresi i più ascoltati adepti, gli parli di candidatura a sindaco di Catania. E pure a Totò Cuffaro, nell’affettuosa telefonata dopo la riabilitazione, il patron autonomista ha confidato la stessa intenzione: «Hai detto che non ti ricandiderai pur potendolo fare. Bene, ora siamo in due: nemmeno io mi ricandiderò mai più. Qualsiasi cosa accada…».
E qui si arriva subito al punto. Perché domani, per Lombardo, è il giorno della verità. In Cassazione è previsto il verdetto sul ricorso della Procura generale di Catania contro l’assoluzione dell’ex governatore nel processo d’appello per concorso esterno all’associazione mafiosa e corruzione elettorale.
Cosa succederebbe se, «dopo dodici anni da incubo», a Roma fosse scritto il lieto fine di quella che lo stesso Lombardo ha definito «una vicenda umana e giudiziaria incredibile»? Nulla, secondo il diretto interessato. «Non ho né la voglia né il piacere di fare il sindaco di Catania. E poi non ho più l’età», aveva già tagliato corto con La Sicilia.
Eppure, tralasciando la teoria degli epistemologi del lombardismo (fondata sull’antìfrasi: affermare una cosa per dire il contrario), c’è chi pensa che il leader questa partita possa giocarsela in prima persona. «I sondaggi dicono che i catanesi vorrebbero un sindaco concreto e competente. Io ne conosco uno solo, candidato con queste due caratteristiche. E tante altre…», sorride Fabio Mancuso. Il sindaco di Adrano, fra i più influenti consiglieri politici di Lombardo, ricorda che «non c’è ancora un tavolo autorevole su Catania» e che «il Mpa vuole tenere unito il centrodestra», ma «se non saremo coinvolti nella scelta del candidato, ci riterremo liberi di aderire a una proposta civica alternativa, ma non certo quella di Pd e M5S». Lombardo candidato a Catania anche sull’onda emotiva dell’eventuale definitiva “redenzione” politico-giudiziaria? Mancuso lascia aperto più d’uno spiraglio. «Raffaele è una risorsa, un patrimonio di tutto il centrodestra siciliano. Lui, ovviamente, non si autocandiderà, né lo farà il nostro movimento. Ma, se dalla coalizione dovesse arrivare la richiesta di una candidatura autorevole, lui non si tirerà indietro…».
Questi puntini di sospensione, nel centrodestra (non solo etneo), aprono uno scenario con alcuni strani intrecci. A Catania, con la leghista Valeria Sudano già in campo, i nomi più forti di Fratelli d’Italia sono Ruggero Razza e Sergio Parisi. E c’è chi fa notare un certo distacco dei due golden boy meloniani sotto il Vulcano – Manlio Messina e Gaetano Galvagno – rispetto alla bagarre sul candidato sindaco. Che interesse avrebbero il potente vicecapogruppo alla Camera e il giovanissimo presidente dell’Ars (ex Mpa), uniti già alle Regionali in un asse interno contro l’ex sindaco, a incoronare il delfino su cui insiste tanto Salvo Pogliese? Nessuno. Quasi quanto ne avrebbero, aggiunge una fonte patriota, a far emergere un altro quarantenne brillante e ambizioso come l’ex assessore musumeciano alla Salute, lanciandolo nel pantheon nazionale del partito da sindaco della città più grande d’Italia amministrata da FdI.
Messina, nell’ultimo vertice catanese di FdI, ha freddato gli entusiasmi di Pogliese sui presunti «accordi chiusi» per Parisi. Investendo i vertici nazionali del partito, a cui «presentare tutti i nomi». La prova di forza sposta a Roma il campo delle scelte, forse a partire da venerdì prossimo. Ma è anche un modo per allungare i tempi (così come, guarda caso, ha già fatto il tandem FdI-Mpa costringendo il governatore a rimangiarsi l’anticipo del voto) e aprire lo scontato contenzioso con Matteo Salvini, che su Sudano non intende mollare. E chissà allora che lo scontro fra la candidata dell’odiato (tanto da Lombardo quanto da Messina) Luca Sammartino e i temibili rivali meloniani non finisca in un caotico nulla di fatto. E che magari, così come avvenuto con Roberto Lagalla a Palermo e Renato Schifani alla Regione, il centrodestra siciliano abbia bisogno di un risolutivo «nome di sintesi». A quel punto le parole dell’autonomista Mancuso sulla «candidatura autorevole» di Lombardo suonerebbero quasi come una profezia. O, sostiene qualcuno, come la prova di un inconfessabile accordo già scritto. Sulle clausole ci si potrebbe sbizzarrire: dalle Europee 2024 in poi c’è di tutto. Ma certo, se fra i firmatari ci fossero davvero i giovani rampanti di FdI, allora sì che l’ipotesi che Catania possa avere un “sindaco coi baffi” non è più fantapolitica.
Twitter: @MarioBarresi