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Catania, la resistenza di Pogliese e “quei conti senza l’oste”: «Ma Salvo sogna di ricandidarsi»

Dimissioni meno probabili (e comunque solo a fine anno) confidando nell’assoluzione al processo

Di Mario Barresi |

E se Salvo Pogliese avesse deciso di non dimettersi? Questa prospettiva, non confermata né smentita dall’entourage del sindaco sospeso, avrebbe tanti significati e altrettanti effetti. Politici, ma non soltanto. 

Dopo la continua rincorsa di voci sull’ipotesi di un addio del primo cittadino (da dopo la condanna di primo grado, come se fosse un’ipotesi imminente; poi rinviate alla vigilia della prima udienza dell’appello a Palermo), l’asticella si sposta ancora in avanti. Magari con l’idea di non alzarsi più. L’inizio del processo per peculato è slittato al prossimo 6 ottobre. E fino a quel giorno Pogliese non dovrebbe rassegnare le dimissioni che azzererebbero la sua giunta (guidata dal vice reggente, Roberto Bonaccorsi), aprendo la porta a un commissario straordinario che guidi il Comune fino alla primavera del 2023.

Ma c’è tempo per questo scenario. Semmai l’unica strada percorribile, quella politicamente più utile per Pogliese, sarebbe dimettersi poco prima della scadenza dell’attuale legislatura regionale, prevista a fine ottobre. Magari per concordare con il governo di Nello Musumeci, ormai entrato nella famiglia politica di Fratelli d’Italia, la scelta di un commissario che possa essere gradito. Una golden share non scontata se dovesse cambiare l’inquilino di Palazzo d’Orléans. In ogni caso, a quel punto – come sostengono i più informati nel centrodestra catanese – il sindaco sospeso avrebbe incassato anche il risultato a medio termine che lo ha convinto a non dimettersi nei giorni più pesanti in cui la tentazione era forte: non disperdere il patrimonio elettorale dei suoi gruppi consiliari, tutti allineati e coperti a sostegno dei due candidati di scuderia all’Ars, Dario Daidone e Barbara Mirabella. 

Eppure quella delle dimissioni ora sembra ormai l’ipotesi meno probabile. E a questo punto la strategia politica s’incrocia con la linea difensiva al processo sulle “spese pazze” da capogruppo del Pdl all’Ars. Dopo la condanna a 4 anni e 3 mesi e lo “stop&go” della sospensione per effetto della legge Severino, Pogliese – consigliato dai suoi legali, sempre convinti di poter dimostrare l’estraneità alle accuse – punterebbe molto sul fattore tempo. E, nonostante dalla condanna di primo grado siano già passati due anni, con la prospettiva di iniziare l’appello a ottobre, per chi ha letto le carte ipotizza un secondo round non lunghissimo. Non più di tre-quattro udienze, la previsione. Il che significherebbe che lo showdown è possibile nei primi mesi del 2023.

Ed è su questa prospettiva che, secondo i pochissimi che hanno avuto modo di affrontare l’argomento col diretto interessato, si fonderebbe la strategia definitiva. «Perché il sogno di Salvo, nonostante tutto, resta lo stesso di quand’era al Fonte della gioventù: fare il sindaco della sua città», rivela chi è molto vicino a lui. Aggiungendo che «la scelta d’amore per Catania», spesso criticata da chi continua a invocare le sue dimissioni, è una sequenza di «azioni coerenti». Dall’addio al seggio al Parlamento Ue (che l’avrebbe “scudato” dagli effetti della legge Severino, tanto più che il processo a Palermo era già iniziato al momento della scelta di candidarsi a sindaco) al lungo braccio di ferro giudiziario sulla sospensione, fino alla decisione (non ancora definitiva) di non dimettersi più. Concordata, o comunque discussa, anche ai vertici nazionali del partito, compresa Giorgia Meloni.

Pogliese non lascia, ma prova a raddoppiare. Nonostante la tentazione, umana e politica, di difendersi senza la fascia tricolore “virtuale” nell’armadio. Nonostante le pressioni delle opposizioni e le perplessità di qualche alleato. Quasi un accanimento terapeutico per i nemici esterni e interni. Una legittima resistenza, per chi continua a pensare che, da assolto, Pogliese resti «il miglior candidato del centrodestra». Il che significa che forse c’è qualcuno che ha fatto i conti senza l’oste.

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