E se alla fine il sindaco lo scegliessero i Cap anziché i Caf? Se, cioè, ribaltando un luogo comune consolidato in ogni elezione sotto il Vulcano, il tasso di maggiore partecipazione di una minoranza – quella che nelle altre grandi città si chiamerebbe l’“elettorato della Ztl”, ma che a Catania, essendo così minuscola la parte chiusa al traffico, non rende l’idea – potesse riequilibrare il voto delle periferie sempre più disilluse e assenteiste alle urne?
Sono soltanto domande, perché la politica è la scienza dell’imperfezione. E le elezioni sfuggono spesso a qualsiasi analisi predittiva. Ma non è una tesi da trascurare, quella che emerge dal lavoro di Alessandro Riggio, giovane data analyst che lavora fra Catania e Milano.
Uno studio che sviscera variabili demografiche ed economiche, incrociandole con i trend elettorali. Su una mappa, quella della città, suddivisa nelle sei circoscrizioni a loro volta declinate col Codice di avviamento postale, strumento per dettagliare a livello micro-territoriale gli ultimi dati del Ministero dell’Economia, appena diffusi, sui redditi dei catanesi. Con l’aiuto dei grafici interattivi e con la guida scientifica di Riggio, proviamo a illustrare nel modo più chiaro possibile il quadro.
Partiamo dai numeri più “neutri” – ma lo sono fino a un certo punto – rispetto alla contesa elettorale. Negli ultimi vent’anni Catania ha perso 13.751 abitanti (-4,4%), passando dai 312.513 del 1° gennaio 2002 ai 298.762 del 31 dicembre 2022. «Un calo contenuto, se raffrontato all’esodo in corso in molti comuni siciliani, ma che analizzato nel dettaglio – sostiene Riggio – svela una città profondamente cambiata». Per intenderci: quasi il 75% di chi vive oggi a Catania è diverso da quello dei tempi della prima sindacatura di Umberto Scapagnini, e ciò non per cause naturali né per cataclismi: i nuovi nati sono stati 61.323 (a fronte di 69.945 morti), e pesano quindi per poco meno del 20%. La mutazione di pelle passa da «imponenti fenomeni migratori in entrata e in uscita»: 160.693 persone si sono iscritte come residenti da altri comuni (di cui 25.785 dall’estero) mentre 174.418 si sono cancellate, la gran parte delle quali (ben il 90,8%) per trasferirsi in altre città italiane.
«Catania diventa quindi sempre più meta d’approdo, specie, ipotesi più accreditata, da altri paesi siciliani, nonché di partenza lontano dall’Isola», è la tesi dello specialista. Che precisa: «Questi numeri, inoltre, non tengono conto di coloro che, se pure emigrati, conservano la residenza sotto l’Etna: su tutti, gli studenti universitari catanesi fuorisede. Il ricambio, dunque, ha raggiunto in realtà un’intensità ancora maggiore». Non ci sono più – letteralmente – i catanesi di una volta.
Riggio sostiene che «la demografia cittadina mostra squilibri notevoli sul piano generazionale, un’insidia al convivere quotidiano di una qualunque collettività, figurarsi in un comune con un territorio così vasto». E infatti, se in ognuna delle sei circoscrizioni la singola fascia d’età più rappresentata è quella 40-59 anni (tra il 28 e il 29,8%), differenze significative emergono nella concentrazione di giovani e anziani. Nella 6ª Circoscrizione, che comprende la zona sud (San Giorgio, Librino, Villaggio Sant’Agata, Zia Lisa, San Giuseppe La Rena), il 36% degli abitanti ha meno di 30 anni, mentre solo il 23% più di 60. L’esatto opposto della 3ª (Borgo Sanzio), dove gli over 75 valgono addirittura il 15,2%. «Cominciano a delinearsi, fin d’ora, le fratture che attraversano la città, la più profonda delle quali – afferma Riggio – separa il nord-est dall’estremo sud».
Con la mappa dei redditi si arriva al solco più profondo delle diseguaglianze. A Catania il 35,6% dei 157.192 contribuenti ha dichiarato nel 2022 meno di 10mila euro l’anno, un’incidenza più bassa di quella regionale (41%). Qui si capisce il peso dei Cap, punto di riferimento della raccolta dati del Mef. In quello più a sud (95121), che tiene insieme fra gli altri San Cristoforo, San Giorgio e Librino, «il valore oltrepassa il 46%, cioè quasi venti punti in più del quadrilatero più ricco»: un’area di appena 3,5 chilometri quadrati, racchiusa nelle zone delimitate dalla via Etnea (dal Tondo Gioeni fino all’incrocio con via Pacini) e dalla linea del mare che congiunge la stazione centrale a San Giovanni Li Cuti. Dentro questa “bolla” (Cap 95127, 95128 e 95129) il reddito medio si raggira fra i 24.258 e i 25.909 euro, superiore pure a quello nazionale (circa 22.500) e quasi il doppio di quello della parte meridionale della città (13.280 euro).
«La discriminante nella ricchezza dei cittadini catanesi può rintracciarsi nell’incidenza delle diverse tipologie di reddito», illustra il data analyst. Nei quartieri più poveri il lavoro dipendente pesa per oltre il 50% (con punte del 60), al contrario del “quadrilatero” più benestante, «luogo d’elezione del lavoro autonomo», che a Catania vale in totale il 4,7% dei redditi, e che nei dintorni di corso Italia e piazza Galatea sfonda persino l’11%. È la patria dei liberi professionisti catanesi, un ristrettissimo “club” – considerando i tre Cap 95127, 95128, 95129 – di 1.142 persone che guadagnano in media 61.899 euro l’anno. «La linea di demarcazione non divide solo il quadrilatero-bolla con l’estremo sud della città»: man mano che dal confine nord (Barriera) ci si sposta a sud-ovest, il tenore economico diminuisce. Lungo questa direzione si incontrano quartieri come Cibali (95123) e Nesima (95122), che «scandiscono l’evoluzione, in peggio, della qualità della vita».
Arriviamo al cuore del ragionamento politico. «A Catania un’opinione largamente condivisa affida gli esiti delle elezioni che prevedono preferenze alla performance dei candidati legati ai Caf (Centri di assistenza fiscale, ndr), specie quelli diffusi nel sud della città. Ma ciò è falso: i dati dimostrano che è più probabile vincere grazie a un’affermazione nella zona nord», scandisce Riggio. Con una precisazione: i numeri di cui parla l’analista sono relativi alle Regionali dello scorso settembre. Sul sito del Comune di Catania, «fatto che ha, per inciso, del clamoroso», non sono infatti disponibili i dati delle Amministrative 2018 sul voto nelle singole sezioni, che «sarebbero serviti per meglio avvalorare la chiave di lettura qui proposta». Eppure, assicura, «il confronto con altre tornate recenti, non inficiate dalla concomitanza con le elezioni politiche, conferma comunque quanto sostenuto».
Per Riggio, dunque, i risultati delle ultime Regionali 2022, «le uniche confrontabili con le Comunali per corpo elettorale», danno «maggior peso alle circoscrizioni situate in una certa area perché i loro cittadini votano di più». Ed ecco il dettaglio: nella 2ª, 3ª e 4ª circoscrizione l’affluenza è infatti del 54,4%, con la riflessione di fondo di quanto sia «raro, tra l’altro, riscontrare una tale omogeneità». Nelle due ex municipalità a sud, la 1ª e la 6ª, il tasso di votanti effettivi è invece quasi 10 punti meno (45-46%). Un po’ più alta nella 5ª (si arriva 51,2%), alla periferia ovest (Monte Po, Nesima, San Leone, Rapisardi). E poi la curiosità che interesserà molto gli acchiappavoti marca Liotru: tra i primi 15 plessi (ovvero scuole, con più sezioni elettorali all’interno) per numero di votanti effettivi, ben 10 rientrano nelle tre circoscrizioni settentrionali, che da sole valgono il 41% del totale (tradotto: un pacchetto di 55.250 voti), e appena 5 nelle tre circoscrizioni a sud.
A conti fatti gli aventi diritto al voto nella parte meridionale di Catania (la 1ª, la 5ª e la 6ª circoscrizione) sono 127.647, mentre i votanti effettivi sono stati 60.356. Di contro, il totale degli elettori nelle tre circoscrizioni nel nord della città (la 2ª, la 3ª e la 4ª) è di 133.533, a fronte di un numero effettivo di 72.620 alle urne. E cioè di fatto, in base alle ultime Regionali, circa 12mila in più rispetto ai quartieri della periferia sud. Significativo il confronto diretto fra la 3ª (Borgo Sanzio) e la 6ª (tutti i quartieri popolari della zona sud): il numero di persone andate alle urne è praticamente lo stesso.
Tutto ciò, in controluce, significa che la minoranza silenziosa (quella che vive nei quartieri della Catania bene, ma anche al centro storico e al di sopra della circonvallazione) può in effetti determinare l’esito delle voto. A meno che gli elettori delle periferie a sud non abbiano delle nuove motivazioni per andare alla urne, recuperando così il gap (circa 10 punti) di astensionismo consolidato. Ci sovvengono due ragioni con esiti opposti. La prima è l’effetto-trascinamento delle forti liste (per il consiglio e per le circoscrizioni) del centrodestra che sostiene Enrico Trantino. La seconda è una sorta di “rivolta sociale” contro il governo nazionale – e i partiti che lo sostengono – alla vigilia dell’addio al Reddito di cittadinanza, con un potenziale risvolto positivo per Maurizio Caserta, candidato del fronte progressista, che schiera come sua vice l’ex ministra Nunzia Catalfo, madrina del sussidio di matrice grillina. Secondo i dati Inps, aggiornati a marzo 2023, in provincia di Catania – dato dunque da scremare per arrivare a quello del capoluogo – ci sono 46.917 nuclei familiari percettori di Rdc (112.858 persone interessate) per un importo mensile medio di 648,83 euro. Minore incidenza per la Pensione di cittadinanza: 3.537 famiglie (4.083 cittadini) per assegno di 275,11 euro. E da giugno cambia tutto.
Lo studio di Riggio va oltre le coordinate demografico-economiche e i flussi di partecipazione elettorale. L’analista, infatti, si sbilancia – incrociando una serie di altri dati – nell’ipotizzare il quorum effettivo per chi punta a diventare sindaco al primo round del 28 e 29 maggio.Gli ultimi sondaggi disponibili confermano che è Trantino la lepre da inseguire. Quanti voti effettivi gli servirebbero per arrivare al 40%? «Sulla base dello storico elettorale, è possibile predeterminare che, con un’affluenza del 50 per cento, servono tra i 48.318 e i 49.363 voti». Nello stesso scenario, aggiunge l’analista, per le liste ci vogliono invece tra i 5.550 e i 5.681 per raggiungere il 5% che vale l’ingresso in consiglio comunale.
Precedenti da ricordare: dal 2000 a oggi, l’affluenza in città è scesa sotto la soglia fisiologica del 50% in due occasioni: le Regionali del 2012 e 2017, non lontano comunque da quelle recenti del 2022 (50,9%). Dalla vittoria di Scapagnini nel 2000 a quella di Salvo Pogliese nel 2018, Catania ha perso più di 50mila votanti nelle comunali, con un calo di oltre 16 punti. Un’emorragia che continuerà nel voto previsto fra due settimane? Potrebbe essere così.
Quanto pesa il voto disgiunto? L’ultimo aspetto è un “classico” deIle analisi di Riggio, che alla vigilia delle ultime Regionali, con un analogo report pubblicato sul nostro giornale, anticipò molte delle dinamiche che poi si sarebbero verificate. «Il voto disgiunto, cioè quello degli elettori che puntano su una lista scegliendo un candidato diverso, penalizza di regola gli aspiranti sindaci di centrodestra», certifica l’analista. Gli unici non di centrosinistra ad averne beneficiato furono Enzo Trantino nel 1993 (col un +7,2% rispetto alla sua lista) e Nello Musumeci nel 2008 (oltre 12 punti personali in più ), «entrambi però fuori dai ranghi della coalizione», poiché ai tempi di Trantino padre il centrodestra di fatto non esisteva ancora, mentre Musumeci corse in solitaria contro Raffaele Stancanelli, che vinse pur raccogliendo il 13,3% in meno della sua coalizione. Il record negativo di emorragia di consenso personale rispetto alle liste a Catania lo detiene il lombardiano Antonio Scavone: -20% nel 1993.Questa tradizione potrebbe favorire Caserta, tanto più che – nel suo piccolo – dieci anni fa da civico arrivò al 7,3% a fronte del 4% della lista? Non è detto. Perché «il centrosinistra, nonostante di solito tragga profitto dal voto disgiunto, da diciott’anni a questa parte – ricorda Riggio – non ha presentato candidati capaci, in questo senso, di dimostrarsi attrattivi». L’ultimo a superare di gran lunga il consenso della coalizione a sostegno è stato Enzo Bianco nel 2005 con un 4,7% in più; dato comunque minore del +7,6% del 1997 e pari a 1/4 del record catanese di voto disgiunto a favore del sindaco, quel clamoroso 17,6% che trent’anni fa aprì la strada alla prima vittoria col voto diretto. Un’era glaciale fa.