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Catania, c’è la svolta: Salvini “ritira” Sudano e dà il via libera a Trantino

Il leader della Lega annuncerà il passo indietro (motivato poi dalla deputata) così i vertici di FdI sanciranno il patto siglato da giorni

Di Mario Barresi |

Succederà oggi. Pressapoco in questo modo. In mattinata Matteo Salvini annuncerà il passo indietro di Valeria Sudano (che poi avrà modo di spiegare meglio la decisione sui social), dopo di che arriverà il plauso dei vertici nazionali di Fratelli d’Italia, magari con Giovanni Donzelli, per la decisione della Lega, che dà il via libera definitivo a Enrico Trantino. Il candidato unitario della coalizione sarà presentato in una conferenza stampa, con tutta probabilità venerdì, alla presenza dei big alleati.

E vissero tutti felici e contenti. Il centrodestra, com’era ormai scontato da un po’, si ricompatta su Catania.Oggi è il giorno dell’ufficialità. Ma tutto è già stabilito da venerdì scorso. Quando cioè, come rivelato da La Sicilia, c’è stato il disgelo definitivo fra il leader della Lega e Giorgia Meloni. In un breve colloquio, a margine della seduta del Consiglio dei ministri, i due hanno affrontato per la prima volta l’argomento Catania. Con toni distesi e concilianti, come fosse sottintesa la quadra.

«D’accordo, Matteo, adesso definisci tutto con Ignazio: è lui che si occupa delle questioni siciliane più importanti», la delega in bianco firmata dalla premier, che aveva già vidimato il nome di Trantino, tirato fuori dal cilindro magico del suo viceré. In effetti, nel giro di poche ore, arriva il contatto fra il Capitano e Ignazio La Russa. Il passaggio finale che tutti, sotto il Vulcano e non solo, stanno aspettando con impazienza.

Ma il segnale che l’accordo nazionale su Catania è stato chiuso arriva sabato mattina. Quando, cioè, anche la Nuova Dc e Noi per l’Italia convergono sull’avvocato di FdI. E quando, soprattutto, in città compaiono i primi manifesti con il viso sorridente di Trantino, che sdogana la discesa in campo su Facebook, pur con l’accortezza di precisare che si è ancora «in attesa della decisione della Lega». Ma a quel punto i giochi sono fatti. Salvini comunica a Luca Sammartino l’esito dei colloqui romani. «Non conviene a nessuno rompere», la linea concordata anche con la commissaria regionale Annalisa Tardino.

Ma, alla vigilia di Pasqua, si decide di rinviare l’annuncio ufficiale del ritiro di Sudano. «Ormai facciamoci le feste in santa pace». Nel frattempo sono gli stessi vertici leghisti, per una sorta di bon ton nei confronti di chi è rimasto su Sudano fino all’ultimo, ad avvisare gli alleati. E così Totò Cuffaro (che fino a un paio di giorni prima aveva resistito all’ultimo assalto dello stesso La Russa) e il centrista Massimo Dell’Utri si precipitano a uscire allo scoperto: «Anche noi con Trantino». La Lega appare in un arroccamento che invece, da diverse ore, non c’è più. Perché è tutto già deciso.

Ma, dietro al lieto fine, si nascondono passaggi importanti. E trame (più o meno) segrete. Elementi che hanno condizionato la decisione finale.

Il primo è un allarme condiviso dai vertici del centrodestra. Sui numeri, ritenuti «quasi incredibili», che un sondaggio finito sul tavolo di Via della Scrofa (lo stesso che ha contribuito a convincere Meloni a schierare Trantino, fra i più conosciuti e stimati) attribuisce al M5S nella sfida etnea: oltre il 20%. Una proiezione che supera di molto il tradizionale trend dei grillini alle elezioni amministrative, di molto inferiore a. Eppure anche Salvini ha dovuto prendere atto di uno scenario che rischiava di farsi complicato: senza più Enzo Bianco in campo, il candidato progressista Maurizio Caserta diventa più temibile, soprattutto se spinto dall’onda gialla alimentata anche nei quartieri popolari dalla stretta del governo nazionale sul reddito di cittadinanza.

E dunque lo scenario iniziale di una sfida a quattro (oltre a Bianco e Caserta, Sudano e ora anche Trantino), con l’idea che i candidati del centrodestra potessero anche misurarsi in una sorta di “primarie” con la prospettiva di vedersela al secondo turno, stava diventando un po’ più rischioso. Lo spauracchio di un Caserta, pur attardato, comunque al ballottaggio contro uno del centrodestra, è stato decisivo per far giungere tutti a più miti consigli. Il risultato più volte auspicato da Renato Schifani.

«Matteo, stavolta devi essere tu a cedere: la Meloni e La Russa su Catania non mollano e non possiamo permetterci di andare divisi», il recente discorso fatto con Salvini a Taormina all’inaugurazione del cantiere ferroviario. Lo stesso governatore, in gran silenzio, ha tessuto la tela anche con ‘Gnazio. E non è un’assurdità pensare che sia stato proprio Schifani (sollevato dal fatto che il candidato meloniano non fosse, per sua scelta, Manlio Messina, né Ruggero Razza, bruciato dal fuoco amico) a consigliare al presidente del Senato di fare quella telefonata a Sammartino, a inizio settimana, decisiva per il disgelo definitivo. Con un’apertura di credito politico in prospettiva.

E qui si arriva alle altre dinamiche. Legate a un intreccio di tatticismi e reciproche convenienze. La prima riguarda proprio la Lega. A un certo punto della partita, quando a deputata catanese è ancora in campo, paradossalmente è proprio Salvini, che ha appena incassato l’intesa sul candidato a Brescia, il più interessato a tenere il punto su Catania. Dopo aver capito che da parte di Sudano non c’è alcun interesse per contropartite locali (la vicesindacatura) né nazionali (un posto da sottosegretario), il leader sembra davvero disposto ad andare fino in fondo: «Ragazzi, allora giochiamocela!».

Ma a un certo punto si ferma. E si ammorbidisce nella trattativa con FdI. Il cambio di strategia è dovuto a una riflessione condivisa con i suoi: «Non dobbiamo cadere nella trappola di Raffaele Lombardo». Il riferimento è alla raffinatissima strategia del leader autonomista: da un lato i continui annunci dei suoi sul «ritiro imminente» di Sudano (l’agente provocatore più efficace, Fabio Mancuso, è stato pure ripreso da Schifani, che, dal Vinitaly di Verona, se l’è fatto passare da Marcello Caruso), dall’altro la moral suasion sui meloniani più fidati, culminata col caffè al bar Kennedy con Donzelli, affinché si arrivasse alla spaccatura con Sammartino&C. «Vinciamo al primo turno anche senza di loro», la ferrea convinzione di Lombardo. E magari, considerata la forza delle liste locali, avrebbe avuto pure ragione.

Ma il vicepresidente della Regione capisce il gioco. E così, nonostante ci fosse qualche amico fidato a consigliargli di andare avanti (e nel frattempo si fanno avanti anche i meloniani delusi: soprattutto Pippo Arcidiacono, ma segnali di fumo anche da Sergio Parisi), “Mr. Preferenze” decide di fermarsi. Pagando il prezzo politico della fuga in avanti (Catania è ancora tappezzata dai 6×3 di Sudano candidata sindaco), ma impedendo il solidificarsi dell’asse Lombardo-FdI, già incanalato verso le Europee. Il fatto che quello su Catania sia un accordo nazionale, per Sammartino, è la garanzia migliore per frenare gli Autonomisti che spingevano per una frattura dalla forte connotazione locale. E anche il “bottino” di poltrone, in caso di vittoria di Trantino, sarà distribuito con altri criteri. «Non sono lo sfasciacarrozze che mi dipingono», lo sfogo dell’assessore leghista all’Agricoltura con i più intimi che lo sentono per gli auguri di Pasqua.“Catania Vale”, è lo slogan scelto per i manifesti che adesso dovranno essere rimossi in fretta e furia. Ma, per chi ha grandi ambizioni, ora “vale” di più fermarsi. Prima che sia troppo tardi. E saltare un giro. Al prossimo si vedrà.Twitter: @MarioBarresiCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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