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Catania, Bonaccorsi reggente low profile «Mi atterrò al programma di Pogliese»
CATANIA – Primo piano, ultima stanza a sinistra. Roberto Bonaccorsi apre la porta. Una scrivania disadorna, stampante all’angolo. Tre sedie; un divanetto.
Ma vuole amministrare Catania da dentro questo sgabuzzino? Perché non s’è preso la stanza del sindaco? Tanto resterà libera per un bel po’….«Io non sono il sindaco, ma il vicesindaco reggente. E la stanza di Salvo Pogliese, per quanto mi riguarda, resterà intonsa fino al suo ritorno. A me basta la mia…».
Qual è la prima cosa che ha pensato dopo la condanna del sindaco?«Non saprei… nella mia testa c’erano tanti pensieri soprapposti…».
Allora facciamo come nei test a risposta multipla. Prima: e adesso che faccio? Seconda: che bello, ora tocca a me. Terza: azz…«Nessuna delle tre. Ho subito pensato a Salvo. A chi ha costruito la propria vita attorno a una missione e che all’improvviso si vede crollare quello che aveva fatto. Ed è stato struggente. Poi ho avuto una reazione strana. Quando mi è arrivata la telefonata ero nel mio studio, perché ho la fortuna di continuare la mia professione, e ho sentito il bisogno di uscire all’aria aperta. Mi sono messo a camminare, ho cercato di mettere in ordine le idee. Dopo un po’ mi sono accorto di aver percorso chilometri…».
Pensando: chi me l’ha fatto fare?«No, questo no. Per mille motivi ritengo di avere la capacità di analizzare e affrontare le emergenze, compresa questa. Ritenevo la condanna improbabile, avevo provato a esorcizzarla. E mia moglie più di me…».
E invece eccola a guidare Catania in una fase delicatissima…«Ho incontrato i capigruppo di maggioranza e di opposizione per rimarcare il ruolo istituzionale che ognuno di noi deve tenere in questi mesi. Io ho fatto parte degli esperti di Pogliese per la predisposizione del programma, che in buona parte, sotto il profilo economico-finanziario, è stato scritto da me. Ho condiviso l’inizio del percorso, poi una parte del tragitto e adesso ce n’è un’altra che, purtroppo, mi vedrà in un’altra veste».
Non ha un po’ di paura?«Assolutamente no. Ci siamo visti con gli altri assessori. E abbiamo parlato guardandoci negli occhi. L’obiettivo di tutti è di restituire a Pogliese una città e un ente migliori di come sono adesso, dopo il primo netto salto di qualità già registrato con la sua sindacatura rispetto a ciò che aveva trovato. Io ho giocato per tanti anni a calcio. Spesso succede che, quando la squadra rimane in dieci, c’è uno scatto d’orgoglio di chi è in campo. Dobbiamo correre tutti un po’ di più, fare cinquanta metri in più per rincorrere l’avversario».
A proposito: Pogliese ha detto che farà il «capitano non giocatore». Ma che significa? Che farete le pre-giunte con granita a piazza Duomo? Che lei sarà un vicesindaco teleguidato?«Queste parole di Salvo vanno interpretate come un appassionato e sincero supporto morale. Per il resto, io mi atterrò alla legge. E al programma di Pogliese, che ho condiviso sin dalla stesura della prima pagina».
C’è chi è convinto – per non fare nomi: Luca Sammartino – che lei non sia idoneo a guidare la città. Ha fatto due piani di rientro, uno da assessore a Catania e l’altro da sindaco a Giarre, per Comuni poi finiti in dissesto…«Su Catania ricordo l’archiviazione di Santonocito e Lanza, con il pm che nella richiesta dice espressamente che il mio piano non è stato adempiuto da altri. E il nesso temporale dimostra tutto: Catania dissesta cinque anni dopo, Giarre tre anni e mezzo dopo le mie dimissioni. Io approvo i due piani, ma non li eseguo. E se fosse proprio questa la ragione dei due dissesti?».
Come ha vissuto le vicende giudiziarie della giunta Bianco sul crac finanziario?«Le indagini sono state lunghe e svolte da più organi dello Stato, e dimostrano che amministrare Catania è un’attività difficile e piena di insidie. Essendo garantista vero, e non a convenienza, sono strenuo assertore del principio di presunzione di non colpevolezza».
Sono stati sollevati dubbi anche sull’idoneità a ricoprire la carica di sindaco metropolitano.«Non mi piacciono i toni irruenti con i quali è stato posto il problema, ma questa purtroppo non è una novità. C’è da dirimere un dubbio. Saranno, spero in serenità, gli organi competenti a farlo».
Adesso il “Tremonti di Giarre” deve fare anche politica…«Mi si rimprovera di essere troppo rigido, troppo rigoroso. Qualcuno dice troppo onesto, ma per me è un ossimoro: o si è onesti o no. Chiaramente gli equilibri politici presuppongono un approccio non così rigido. Le sintesi, anche nella maggioranza, le puoi raggiungere anche smussando gli angoli. Finora mi hanno visto tutti come l’assessore al Bilancio, quello dei tagli. Ma il rigore sui conti non cozza con la flessibilità politica necessaria per raggiungere l’interesse generale. Che non è mai la semplice sommatoria degli interessi particolari».
A proposito del Bonaccorsi politico: dicono che sia uomo di Stancanelli.«Bonaccorsi è uomo di Bonaccorsi. Che poi Raffaele Stancanelli sia stato quello che mi strappò dal mio studio per fare la prima volta l’assessore, oltre che una persona a cui mi legano amicizia e stima reciproche, non è un segreto. Nel 2013, in contemporanea, lui fu sconfitto a Catania e io eletto a Giarre. Un giornalista mi chiese: a chi dedica la vittoria? E io gli risposi: a Raffaele Stancanelli».
E poi c’è l’altro Raffaele. Lombardo: un ulteriore suo manovratore?«Con Lombardo ci sono stati legami più professionali che politici. E poi un’altra vicinanza: la campagna di mio suocero, nel Calatino, è confinante con quella di Raffaele. Un’amicizia al di fuori della politica, che attiene a passioni agricole per lui estreme e per me acquisite. Resto uomo di mare, nella mia Torre Archirafi».
È stato mai iscritto a un partito?«L’unica tessera che ho sottoscritto è quella di DiventeràBellissima».
E non l’ha stracciata adesso che Stancanelli è andato via?«Ritengo di avere ottimi rapporti con Nello (Musumeci, ndr), con Ruggero (Razza, ndr) e con Giacomo Gargano. Ho grande stima nei loro confronti e penso che sia reciproca».
Musumeci il governatore lo sa fare?«Ricevuta un’eredità disastrosa, Musumeci sta andando bene. Ha gestito bene l’emergenza sanitaria e ha ridato alla Sicilia una voce istituzionale, forte e credibile, con Roma. Un plauso anche al lavoro indefesso, su spinta del presidente, dell’assessore Falcone».
In tre risposte ha messo d’accordo Stancanelli, Lombardo e Musumeci. Ma non è che aveva pure la tessera della Dc? Ora sia meno diplomatico: le sono arrivati i rumors sulle pressioni su Pogliese per defenestrarla da vice proprio nell’eventualità di una condanna? Qualcuno preferiva Enrico Trantino nel ruolo di reggente…«Non ho sentito queste voci. Ma semmai ce ne fossero state, i fatti dimostrano il contrario. La scelta di Pogliese di lasciare me come vicesindaco è la risposta più chiara ai rumors».
Ci parli di lei. Un passato da calciatore.«Posso dividere la mia vita in tante fasi. La mia prima aspirazione era fare il calciatore professionista: ho giocato in modo intenso fino ai 18-19 anni, facevo l’attaccante. Un attaccante molto tecnico. Le faccio vedere una cosa…».(Il vicesindaco Bonaccorsi dallo smartphone ci mostra la foto di un contratto di trasferimento dal Giarre alla Sampdoria, per cinque milioni di lire, datato 1976).
Ma alla fine non ci andò a Genova?«Restai lì una ventina di giorni, tra la Primavera e la prima squadra a Bogliasco. Ma per me era l’anno della maturità. Ero un figlio di papà: prima lo studio e poi il pallone. E dunque rinviai quella firma a dopo gli esami. Ma nel frattempo cambiarono i vertici societari e non se fece più nulla…».
E lì finì la sua carriera?«No, giocai fino a 26 anni. Restai a Giarre e nel 1977 segnai il gol di una storica promozione. Ma aumentò il mio senso del dovere: mi laureai a 23 anni. In quel periodo giocavo per lavoro e lavoravo per hobby: guadagnavo col pallone e non beccavo una lira da commercialista praticante. I primi mobili del mio studio li comprai con i soldi del calcio. Chi non ha fatto sport, compresi molti politici che criticano a sproposito, non ha mai imparato a perdere. La sconfitta serve a migliorarti per la prossima partita».
Un vicesindaco ex giocatore è una garanzia per i rapporti col nuovo Calcio Catania.«L’amministrazione farà la sua parte, dal punto di vista istituzionale. Chi sta seduto sotto il Liotru parla dei rossazzurri, non dei debiti fuori bilancio. È la vita della città: aver salvato la matricola significa mantenere identità e speranza. Sul Catania c’è l’unica cosa che non ho mai detto a Pogliese…».
Quale?«E non è che adesso la dico a lei…».
Appese le scarpette al chiodo, fa a tempo pieno il commercialista e revisore dei conti. Tutto studio e famiglia…«Sì, in studio con ritmo matto e disperatissimo. E una bellissima famiglia. Mia moglie, Anna, di origine veneta, figlia di un emigrante al contrario: dal Nord alla Sicilia alla fine degli Anni 50. Ma mantenendo con orgoglio il dialetto e molte usanze. Pensi che mio suocero “sospetta” del mio essere astemio… E poi mio figlio: Edoardo, 29 anni, che lavora in studio con me, ma è anche amministratore di società nel settore del biometano. S’è creato una sua indipendenza professionale».
Anche per il suo low profile, in città si sa poco di lei. Cosa fa Roberto Bonaccorsi quando non cerca di far quadrare i conti? Ha altre passioni?«La mia più grande passione è l’architettura. Un’altra vita che non ho fatto perché giocavo a calcio e la facoltà all’epoca era a Reggio Calabria o a Firenze. Mi piace molto, ho fatto anche pazzie per l’architettura. Come quella volta quando andai a Chicago solo per vedere la Casa Farnsworth di Mies van der Rohe. La bellezza mi fa rilassare».
E incazzare, vista anche la Grande Bruttezza di molti scorci di Catania…«La bellezza è un’ispirazione, ma anche un metro per farci vedere le cose in modo diverso. La nostra è una città complessa, dove anche la bruttezza ha un valore. Quello delle difficoltà economiche, della sofferenza. Ed è la testimonianza dei problemi che dobbiamo affrontare ogni giorno».
Da mancato architetto amante della bellezza pensa che sia giusto, dopo essere riusciti ad abbattere il Palazzo delle Poste, ripassare di nuovo il cemento anziché farci un bel parco sul mare?«Un parco sul mare sarebbe una cosa sicuramente utile per la città. Una cittadella giudiziaria, al posto di quell’ufficio postale, è altrettanto utile. Il progetto lascia comunque uno spazio aperto sul mare. Un giusto equilibrio fra architettura ed economia».
Amministrare la città dopo il Covid è un ulteriore handicap o un’opportunità con risorse aggiuntive?«Le risorse in più serviranno per compensare i minori introiti da qui a fine 2020. Abbiamo delle previsioni di ristori nazionali e regionali che potrebbero essere di 25 milioni. E forse non basteranno. La quantificazione del danno reale non potrà esserci prima di metà 2021. E sarà un conto salato».
Chiuda gli occhi e pensi alla città che vuole restituire a Pogliese.«Una città con gli spazi di vivibilità allargati e con una migliore qualità di vita. E naturalmente con i conti migliorati. La priorità, adesso, è l’approvazione dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato. Ci permetterebbe di muoverci in maniera più spedita e darebbe un indirizzo al risanamento dell’ente. Per il resto, in questi mesi non ci sarà un evento debordante rispetto al quotidiano, ma la sommatoria di tante cose in itinere».
Insomma, con Bonaccorsi nessun effetto speciale. Ma non sogna il suo ritratto nella “Hall of Fame” di Palazzo degli Elefanti? Non c’è una cosa per cui vorrebbe essere ricordato?«Nessun effetto speciale. Non è nelle mie corde. A me piace muovermi più per sottrazione che per addizione».
Ma non è che in questi mesi ci prende gusto e poi vuole farlo, il sindaco?«No. A Giarre mi candidai perché non riuscii a sottrarmi a chi imputava di essermi speso per Catania e non per la mia città. E mi dimisi “in bonis”, caso unico, per la dignità e l’indipendenza della città. Mi chiedono: ma tu in che “quota” sei? Rispondo: in “quota competenza”. E spero che sia questo il ricordo che resterà della mia attività. Mi era stato chiesto di candidarmi alle Regionali nel 2017. E ho detto no. Nel futuro vedremo, ma ho un lavoro che mi appaga. Abbiamo finito?».
Solo un’ultima cosa: qual è il segreto calcistico che non ha mai confessato a Pogliese?«Se glielo rivelo finiamo l’intervista?»
Promesso.«Quando giocavo nel Giarre segnai un gol al Catania, in un’amichevole finita 2-2. Se Salvo l’avesse saputo, non mi avrebbe fatto fare il vicesindaco. E forse oggi non sarei qui…».
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