Quante probabilità ci sono che il monito dell’arcivescovo contro i politici del «si è fatto sempre così» abbia davvero fatto breccia sui destinatari (gli attoniti presenti e gli indignati contumaci) pronti ordunque a «scelte condivise e rinnovate»?
Le stesse che il rientro del fercolo della Patrona in Cattedrale – ieri alle 13, dopo quasi 20 ore di processione infinita – sia stato «condizionato dall’allerta tsunami», come sostiene qualcuno convinto che i catanesi abbiano l’anello al naso.
E cioè: nessuna probabilità.
Zero assoluto.
Da oggi, rimossa la cera, si ricomincia. Come prima.
Eppure Sant’Agata 2023 si chiude con un secondo interrogativo, che si aggiunge al classico «unni è gghiunta ‘a Santa?». Ed è un dubbio ossessivo, ancorché sussurrato, nel passaparola dei potenti.
«Ma con chi ce l’aveva il vescovo?».
Considerando la mole di indagini e processi a carico di chi, nelle prime due file, ascoltava l’omelia di monsignor Luigi Renna, c’è solo un vero imbarazzo.
Quello della scelta.
«Mpare, ca ’u cchiu scassu c’avi du’ avvisi di garanzia», lo sfogo – cameratesco, liberatorio e trasversale – dopo che il pastore s’allontana dalle pecore. E dai lupi. Tutti-devoti-tutti, ci mancherebbe altro. Soprattutto a favore di social.
Già: a chi parlava Renna? Quasi come in un giallo di un’altra Agata, ma con l’acca, in cui tutti sono sospettati fino alla fine di essere l’assassino. Ma qui Agatha Christie non c’entra. E nemmeno gli iper-garantisti possono ricondurre l’intervento del presule a giustizialismo da sagrestia.
Perché Renna, nel suo «Catania non abbia paura», non parla soltanto di amministratori «con problemi con la giustizia». Il timore di «un futuro che impoverisca la nostra città» è fondato anche su altre categorie della malapolitica: amministratori «poco competenti», oltre che «eterodiretti» (e su questo termine l’ermeneutica marca Liotru ha già sfornato molti più identikit dell’intera Smorfia napoletana), oppure che «non danno esemplarità in una città che ha al suo interno una parte della sua popolazione agli arresti domiciliari».
E dovrebbe sentirsi proprio così – tutta – la cittadinanza che, fra il viceregno col sindaco sospeso e la supplenza di un commissario illegittimo, nell’ultimo quinquennio ha trascorso 502 giorni di democrazia incompiuta.
Il concetto, dunque, è molto più complesso del populismo forcaiolo che qualcuno, piuttosto infastidito, ha voluto attribuire all’arcivescovo. La “Casta alla Norma”, placidamente sintonizzata sui predicozzi di una Chiesa tanto “neutrale” da essere diventata ininfluente oltre i limiti dell’ignavia, ora è impaurita da quel «non abbiate paura» rivolto ai catanesi.
Scupa nova scrusciu fa, è la prima auto-rassicurazione corporativa. Ma pure i meno complottisti saltano dalla sedia quando Renna sembra quasi fare una chiamata alle armi: «La speranza si organizzi e ci veda corresponsabili», con l’auspicio di «una operosa carità politica, che sappia fare alleanze tra le generazioni, coinvolgendo i giovani, e con tutti i quartieri, anche i più periferici». La paura diventa terrore. «E che vuole fare, la lista dell’arcivescovo?», si chiede chi sibila il sospetto d’un endorsement a quel leader di Sant’Egidio, o più probabilmente a quel costituzionalista o a quell’altro ex prefetto di area cattolica.
E invece no.
Questo è l’errore che nemmeno la più inadeguata delle classi dirigenti può permettersi di commettere. L’arcivescovo parla a tutti. E di tutti. Nessuno escluso. Quando il monito diventa anatema, ognuno degli aspiranti candidati deve farsi un (laico) esame di coscienza. Sulle proprie competenza, indipendenza e libertà di amministrare senza scheletri nell’armadio giudiziario. Il resto lo decideranno i catanesi. Che da domenica hanno un importante punto di riferimento in più, giammai un capopopolo politico, col quale confrontarsi per «ricostruire questa città».
Un prete-sentinella. Attento e credibile. Lo sarebbe ancor di più se l’anno prossimo predicasse e razzolasse allo stesso alto livello. E qui non basta far sedere nelle prime file, anziché i politici da fustigare, i bambini delle scuole di Librino. Meglio ancora sarebbe se, nella seconda Sant’Agata del new deal di Renna, si riuscisse a contenere l’anarchia pagana dei tempi della processione. Irredimibile. Tanto quanto quei signori in giacca e cravatta. Che recitano ancora la litania autoassolutoria: «Ma con chi ce l’aveva? Non con me, ma con quell’altro…».