Il clima natalizio, fra sfarzosi addobbi e quadri della collezione privata in dono ai selezionati ospiti, ha fatto sì che si rinviasse una scelta che «comunque arriverà a gennaio». Ieri, al pranzo ad Arcore, si parla del caso Sicilia. E anche Silvio Berlusconi, davanti ai vertici di Forza Italia, rompe il ghiaccio. Dicendosi «turbato» dalla faida sicula. Tutto in cinque minuti. O poco più. A tirare fuori il discorso, in un intervento definito «molto accalorato e un po’ interessato» dai presenti, è Giorgio Mulè, unico siciliano presente oltre alla sottosegretaria Matilde Siracusano.
«Presidente, fin qui il mio silenzio è stato sintomatico del nostro imbarazzo: la situazione in Sicilia non può essere più tollerata», sbotta il vicepresidente della Camera. Il Cav annuisce, facendo capire che il dossier è già sul suo tavolo. Il leader ha visto il video del duello fra Gianfranco Miccichè e Marco Falcone alla kermesse di FdI. Ma ieri non ripete uno stato d’animo – «sono davvero schifato» – consegnato nei giorni scorsi ai pochissimi interlocutori con cui ha affrontato l’argomento. «Certo, Gianfranco come al solito è stato un provocatore e anzi mi sono stupito che non abbia reagito», è il senso del giudizio alla moviola, ma «l’assessore ha sbagliato tiro: non si lavano i nostri panni sporchi in casa d’altri».
Finora, però, il vertice nazionale è rimasto in un imbarazzato silenzio. Nessun commento sullo scontro, ben poche sillabe filtrate sullo sdoppiamento del gruppo all’Ars. «Ma il partito ora deve dare un segnale preciso, la rottura in Sicilia va affrontata e risolta», è l’appello di Mulè ieri a Villa San Martino. Del resto sarebbe proprio lui il prescelto per la “missione di pace” nell’Isola. «Nessun commissariamento né delegittimazione – la premessa di Mulè a chi lo ha sentito in queste ore – ma, semmai fossi investito dal presidente Berlusconi, avrei un compito preciso e a tempo per azzerare le tensioni nel partito siciliano e alla Regione». Quello del giornalista è l’identikit ideale: pur essendo in asse con Licia Ronzulli (santa protettrice del coordinatore regionale) è considerato un «uomo del dialogo» da tutte le anime forziste, con un ottimo rapporto con Renato Schifani.
Ma qualcuno avrebbe gradito un nome «ancor più super partes» come il capogruppo alla Camera, Alessandro Cattaneo, mentre altri sognavano Maurizio Gasparri, capocorrente di Falcone, nel ruolo di commissario liquidatore di Miccichè.
Il leader siciliano ha avuto un colloquio, giovedì scorso, con Berlusconi. A cui avrebbe espresso «la totale disponibilità» ad accogliere un ambasciatore di pace, «ma anche un commissario, se necessario», tanto più se fosse Mulè. All’incontro c’è anche Ronzulli. Che avrebbe sollecitato una rassicurazione al coordinatore regionale. «Presidente, di chi è Forza Italia?», la domanda retorica. E alla risposta scontata («È mia!»), un altro interrogativo: «E chi è Forza Italia in Sicilia?». Al quale il Cav avrebbe risposto: «Gianfranco».
Ma la missione di Mulè è più che mai necessaria. E, seppur in parte, risponde anche a una precisa richiesta di Schifani. Il governatore, sempre nella scorsa pazza domenica etnea di Festa tricolore di FdI, era pronto a chiedere «il commissariamento del partito in Sicilia» nell’intervento precedente alla tavola rotonda incriminata. Ma è stato dissuaso dai saggi consigli di big forzisti e alleati meloniani. «Renato, non tocca a te: non puoi scendere al livello di Miccichè, tu sei il presidente della Regione».
Adesso toccherà all’ex direttore di Panorama – stimatissimo dal Cav, che ieri l’ha voluto accanto nella foto social del pranzo, ma anche da tutta la famiglia, a partire da Marina – rivestire il ruolo di peacemaker, da gennaio, subito dopo la pausa natalizia. Un mandato di tre-sei mesi, con alcuni obiettivi. Il primo, e più urgente, è riunificare il gruppo all’Ars. Partendo da alcune scelte ormai consolidate: Miccichè resta a Palermo e rinuncia al Senato, mentre Tommaso Calderone opterà, forse già mercoledì prossimo, per il seggio a Montecitorio, lasciando spazio all’Ars a Bernardette Grasso. Che però sarà la decima iscritta al gruppo che avrebbe dovuto chiamarsi “Forza Italia con Schifani”. Aprendo una prima questione delicata: essendosi ridotti appena in tre, i miccicheiani avranno bisogno di una deroga per restare gruppo a Sala d’Ercole anziché confluire al Misto. E qui, nella decisione del consiglio di presidenza dell’Ars, potrebbero arrivare i primi segnali di disgelo interno ed esterno al partito.
Un via libera favorirebbe il lavoro di Mulè, che a medio termine punta alla riunificazione, con un capogruppo “terzo” rispetto ai due attuali. Magari puntando su una donna: la stessa ex assessora Grasso o Margherita La Rocca Ruvolo, come segnale di apertura agli anti-Miccichè. A quel punto un’altra trattativa su chi resterà segretario d’Aula, con annessi benefit e indennità aggiuntiva, fra Nicola D’Agostino e Riccardo Gallo.
Ma, ben prima d’inoltrarsi sul terreno minato delle seggiole azzurre, Mulè avrà un altro preciso mandato politico: rappresentare Forza Italia nel rapporto con Schifani e con il resto del centrodestra. Questo il compito più delicato, che il “pacificatore” gestirà in totale sinergia con Berlusconi. Al quale c’è chi continua a descrivere lo scenario di Palazzo d’Orléans «legato mani e piedi alla Meloni e a La Russa».
Il governatore ha scelto da sé i forzisti in giunta, stravincendo di fatto il derby con Miccichè, annichilito nel ruolo di coordinatore regionale nel silenzio di Arcore. E poi Schifani ha accettato, pienamente legittimato come leader della coalizione eletto dai cittadini, gli assessori “esterni” di Fdi imposti da Roma. Adesso dovrà confrontarsi con Mulè. Magari non proprio negoziare ogni scelta, ma quanto meno ascoltare la “voce unica” forzista, che parlerà in nome e per conto di Berlusconi.
Risoluto, raccontano, nel «non consegnare la Sicilia» ai patrioti dopo «aver eletto un nostro presidente». E anche questo, in un certo senso, è un commissariamento. O l’inizio della fine.
Twitter: @MarioBarresi