CATANIA – «Lombardo è tornato? Ma perché, se n’era mai andato?», ridacchia Mario Di Mauro, immarcescibile ex “ideologo” di Don Raffale, di tendenza sicilianista-indipendentista. Raffaele Lombardo – sotto processo a Catania per concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio – non ha mai smesso di essere sempre influente (e spesso decisivo) nelle vicende siciliane, ma adesso sembra non volersi più nascondere. La priorità di resta difendersi da accuse che ha sempre definito «assolutamente infondate», studiando con maniacale cura le carte processuali. E questo continuerà a fare.
Ma l’ex governatore non ha cambiato soltanto i 2/3 del collegio difensivo. Da qualche tempo, sembra aver rinunciato, pur mantenendo un basso profilo, alla gestione-ombra del potere che tutti continuano a riconoscergli. Ha rotto il lungo silenzio mediatico con un’intervista a La Sicilia, sferzando l’Ars sul tema del regionalismo differenziato: «L’Isola è rimasta quasi del tutto assente nel dibattito nazionale», ha detto, auspicando una «posizione netta sulle risorse finanziarie», che a Sala d’Ercole c’è stata davvero, contro «il progetto della secessione mascherata» di Matteo Salvini.
Eppure non è soltanto un rigurgito d’orgoglio autonomista. È qualcosa di più. Che s’è materializzato col rilancio del suo blog, sepolto in rete dalle ragnatele del silenzio. Una piattaforma in cui, nonostante la sua atavica idiosincrasia nei confronti della tecnologia, Lombardo riesce a esprimere anche una sua dimensione privata. «La mia vita è cambiata. Era dedicata forse all’80%, compresa la notte» alla politica, mentre ora «ora ho tanto tempo da dedicare ad altro, innanzitutto alla mia famiglia», confessa. Rivelando la felicità da neo-nonno e la soddisfazione di «andare a trovare tutti i giorni mia madre: così mi rifaccio dei tanti anni in cui, nonostante abitiamo a meno di 500 metri di distanza, ci vedevamo molto meno».
Ma la politica è una malattia dalla quale non si guarisce. «Dovrei farmi pagare per i consigli che mi chiedono, ma il dato è che il mio punto di vista viene richiesto, sia su vicende locali che su temi di politica regionale o nazionale», ammette sul blog. «In questi ultimi anni ho sempre risposto in maniera privata, ma chiaramente la mia dimensione di uomo pubblico c’è stata e in fondo rimane». È il momento di rompere il silenzio, anche correndo il rischio di attirare quei riflettori che alcuni amici gli hanno sconsigliato, viste le pendenze giudiziarie. Lombardo torna «per dar conto di quello che faccio e per tornare a offrire la mia opinione che sarà parziale, non sarà sufficiente a soddisfare la curiosità di tutti, ma intanto penso che rappresenti un buon contributo».
Un modo, sottilmente lombardiano, per rottamare un’ipocrisia latente. Perché lui, di fatto, non s’è mai davvero ritirato. Non più in campo, squalificato dalla panchina, ma pur sempre in tribuna. O a casa sul divano. A consigliare la tattica ai suoi. A partire dall’alleanza elettorale con Fratelli d’Italia: Lombardo non ha mai incontrato Giorgia Meloni, mandando in avanscoperta Roberto Di Mauro per chiudere l’accordo a Roma e per trattare, ora, sui due candidati (Carmelo Pullara e Innocenzo Leontini) da mettere in lista. Gli autonomisti siculi fra i sovranisti: sembra un anacoluto politico, ma non lo è. Soprattutto per chi conosce Lombardo.
E poi la Regione, naturalmente. Dopo il decisivo contributo alla vittoria di Nello Musumeci, ricambiato con un set di poltrone ritenuto «sottostimato» dai Raf-boys, soprattutto se paragonati ai posti concessi all’altra componente centrista. Ma ci saranno le Europee per (ri)pesarsi. E, nel rimpasto prossimo venturo, i numeri (nuovi) saranno pietre. In attesa, Lombardo, dopo aver fatto il pieno nelle nomine dei manager sanitari (pure il cognato Francesco Iudica al vertice all’Asp di Enna), incassa un altro “risarcimento”: la subitanea staffetta autonomista fra Mariella Ippolito e Antonio Scavone all’assessorato alla Famiglia. Il più fidato e affidabile delfino lombardiano come cavallo di Troia nel palazzo che ha le competenze regionali sul reddito di cittadinanza grillino e gestirà la quota siciliana di assunzioni nei Centri per l’impiego. «Ci sono troppi catanesi in giunta», aveva tuonato Gianfranco Miccichè alzando il muro forzista-palermitano. Sappiamo com’è finita. «E ancora non avete visto niente», gongola un vecchio big della colomba autonomista. Visti i guai giudiziari, non saranno proprio le ali della libertà. Ma quelle dell’orgoglio. E, soprattutto, del potere.