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Berlusconi in trincea per la Prestigiacomo, Salvini apre ma FdI frena

Centrodestra vicino all’intesa sull’ex ministra candidata, in serata l’ennesimo rinvio. Micciché scopre l’accordo romano (Minardo in lizza, con Aricò presidente all’Ars) e avvisa Arcore 

Di Mario Barresi |

Stavolta sembra davvero fatta. Stefania Prestigiacomo, nel tardo pomeriggio di ieri, è ormai in pista di lancio da candidata del centrodestra. «L’accordo è quasi chiuso, mancano gli ultimi dettagli: ormai è questione di ore», gli ottimistici spifferi che filtrano da fonti di Forza Italia. Per le quali risulta decisiva, nelle ultime 24 ore, la brusca accelerazione impressa da Silvio Berlusconi in persona. Il Cav è diventato «irremovibile» sulla rivendicazione della Regione a Forza Italia, ma anche sul nome dell’ex ministra siracusana. E, senza aspettare l’annunciato vertice dei leader di oggi (che non si farà nemmeno), esautorando tutti gli altri delegati azzurri, ha avocato a sé la trattativa. Condotta, da ieri mattina, con una raffica di contatti telefonici. Mentre Antonio Tajani scandisce: «Forza Italia è in grado di presentare candidati di altissimo livello a cominciare da Prestigiacomo. In Sicilia siamo la forza politica più consistente e riteniamo di avere il diritto di prelazione. Poi si vedrà e si discuterà».

E così anche Matteo Salvini, perplesso sulla scelta della deputata “rea” del blitz solidale a bordo della Sea Watch al largo di Siracusa, alla fine sembra disposto a cedere su Prestigiacomo. «Con generosità nei confronti di Berlusconi, con cui c’è un asse molte forte», fanno sapere le colombe leghiste siciliane ieri impegnate per tutto il giorno nella persuasione del Capitano. Non proprio entusiasta del profilo della candidata, ma comunque disposto  a farsela piacere. Un indizio arriva anche da Nino Minardo: «L'unità della coalizione e la necessità di fare un ulteriore passo avanti per semplificare il quadro è la priorità. Noi siamo pronti con responsabilità e amore per la Sicilia a favorire questo percorso. L’interesse della coalizione va anteposto alle legittime ambizioni personali». Non è ancora un passo indietro, quello del segretario regionale della Lega, fra i finalisti del reality “Chi vuol essere candidato?”. Ma dagli alleati viene letto come un saggio segnale di apertura rispetto a ciò che sta maturando sull’asse Arcore-via Bellerio.

E Giorgia Meloni? Berlusconi la chiama in mattinata, notificandole la sua risolutezza su Prestigiacomo. «È la migliore scelta per vincere». Il riscontro non è certo di entusiastica approvazione. Ma la leader di FdI, nel pieno rispetto della moratoria sui veti incrociati in Sicilia, non alza muri col filo spinato. Da Arcore partono poi numerose telefonate al numero, come sempre bollente, di Ignazio La Russa. Il Cav prova a convincere il suo ex ministro: «Salvini è ben disposto, se ci state voi l’accordo è chiuso». Ma il viceré meloniano resta il meno convinto della scelta. Con Berlusconi prende tempo: non scioglie la riserva. E la butta su un argomento a cui l’ex premier è molto sensibile: i sondaggi. Prova a convincere l’interlocutore di «misurare, senza pregiudizi sui nomi», la «reale competitività elettorale» di tutti gli aspiranti candidati.

Ben più aggressivo, invece, è il confronto con gli alleati siciliani. La Russa riceve la baldanzosa chiamata di Miccichè, rafforzato dalla copertura del leader del suo partito, ma non fa una grinza. E con il presidente dell’Ars arriva a rievocare un termine – «rottura» – da qualche tempo impronunciabile nel centrodestra unito&vincente. Un due di picche che, pur costringendo Forza Italia a rinviare la festa per la fumata bianca, non scalfisce l’ottimismo che continua a respirarsi in casa azzurra. Dove, in serata, viene colta come conciliante la dichiarazione dello stesso La Russa all’Agi: «Sono cadute tutte le preclusioni e gli eventuali veti. Discutiamo solo sulla opportunità in relazione al consenso e alle possibilità di vittoria, oltre che naturalmente alla compatibilità con le linee programmatiche del centrodestra». Commento a margine dei fedelissimi di Miccichè: «Almeno per la prima volta non ha usato le parole “Musumeci”, “ricandidatura” e “uscente”…».

Salvini sembra fuori sincrono nell’ostinarsi con il suo refrain: «In Sicilia decidono i siciliani, come ho sempre detto. Non i milanesi o i romani», ripete a margine di una visita all’ospedale Niguarda di Milano. La partita, ormai, è chiaramente tutta nazionale. E decisivo, in questo quadro, è il gioco delle bandierine nelle Regioni al voto. Non tre, come s’è continuato a dire in questi giorni. Ma soltanto due. La Lombardia, da qualche tempo, sembra essere uscita dalla contesa: resta alla Lega, sarà poi Salvini a decidere se confermare Attilio Fontana o lanciare Giancarlo Giorgetti. Restano  sul tavolo Lazio e Sicilia. Nel gioco della torre FdI sceglie la prima con Francesco Lollobrigida, indebolendo di conseguenza Musumeci, che però può essere riconfermato in virtù del  «sottodimensionamento del primo partito della coalizione nelle Regioni». Altrimenti l’Isola, per esclusione, andrebbe a Forza Italia. O alla Lega, «con un’adeguata ricompensa» in termini di collegi.  

Ma c’è un retroscena che spiega l’evoluzione delle ultime ore. Quasi una spy-story con due diverse ambientazioni. Lunedì a Palermo i vertici regionali dei partiti azzerano i veti affidando il verdetto al tavolo nazionale, poco dopo a Roma succede qualcosa che cambia il corso degli eventi. La scena madre si consuma nel corso della riunione operativa sui collegi nazionali. Fra una bandierina e l’altra, l’onnipresente La Russa si trova a discutere di Regionali con Tajani e Roberto Calderoli. Il viceré meloniano di Sicilia conferma il gradimento sul Lazio, quasi disposto a rinunciare al bis di Musumeci. Ma con uno schema ben preciso: via libera al leghista Minardo, «ma il presidente dell’Ars dev’essere nostro». La Russa fa anche il nome del prescelto: Alessandro Aricò, assessore regionale e capogruppo di DiventeràBellissima all’Ars. Gli interlocutori non sanno nemmeno chi sia Aricò, ma non fanno una grinza. Ma il siparietto arriva a Miccichè. Non dal coordinatore del suo partito, ma da fonti di FdI indispettite dalla fuga in avanti dei musumeciani, forse in combutta con Minardo. Il leader forzista, a questo punto, capisce che anche con un governatore della Lega rischierebbe di perdere comunque la presidenza dell’Ars. E con l’agilità di un gatto cambia strategia in corso: passa dalla lista-farsa con i nove nomi (in un foglio lasciato al vertice palermitano: oltre al suo e a quello di Prestigiacomo, anche Renato Schifani, Tommaso Calderone, Michele Mancuso, Daniela Faraoni, Barbara Cittadini,  Patrizia Monterosso e Toti Amato) alla nomination unica dell’ex ministra. Miccichè chiama Berlusconi, lo mette in guardia e lo carica sulla sfida dell’orgoglio azzurro. Da qui le mosse del Cav, che in poche ore riesce quasi a chiudere su Prestigiacomo. Ma sbatte sul muro di Meloni. E in serata sono in molti, nel centrodestra siciliano, a ripuntare le fiches su Musumeci. «Alla fine, non ci resta che lui». Twitter: @MarioBarresiCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA