LE ELEZIONI
Ballottaggi, a Siracusa le coppie degli “scambisti”: così Italia prova la rimonta su Messina
L'uscente calendiano che si “apparenta” col forzista e il candidato del centrodestra che assolda il renziano fra tradimenti, vendette e confusione
Più che nell’unico capoluogo d’Italia alle urne domenica prossima sembra di essere in un club di scambisti. E il ballottaggio di Siracusa – baciata da una primavera acerba, sbocciata soltanto in un’Ortigia già invasa dai turisti – non assurge al rango di tragedia greca. Piuttosto: un set kubrickiano, un ossimoro in stile Eyes Wide Shut. Giù la maschera: l’uscente calendiano Francesco Italia (appoggiato dall’ex assessore regionale, e ora anche ex forzista, Edy Bandiera) fiuta un’altra “remuntada”, stavolta su Ferdinando Messina, candidato di un centrodestra disincantato, che assolda un altro ex sindaco, il renziano Giancarlo Garozzo, oltre che due civici in lizza al primo turno.
Messina, già assessore e presidente del consiglio comunale, è il candidato unitario del centrodestra. Scelto con il forte imprimatur di Renato Schifani. È stato il governatore, rivendicando il ruolo di leader anche politico della coalizione in Sicilia, a insistere sull’esponente di Forza Italia. Che dal primo turno è uscito in testa (32,2%), ma con oltre 7 punti in meno delle sue liste che, sommate, hanno sfiorato di poche centinaia di voti il fatidico 40%. Italia, invece, pur essendo attardato (sotto il 24%), ha incassato quasi 6 punti in più della sua coalizione.
Il brutto ricordo
L’incubo, per il centrodestra siracusano, corre adesso sul filo del ricordo: cinque anni fa lo stesso Italia recuperò uno svantaggio ben più cospicuo (al primo round 19% contro il 37% di Paolo Reale), vincendo al ballottaggio per circa duemila voti. Ma non è soltanto il precedente negativo, a turbare il sonno della coalizione. La paura, nemmeno troppo sussurrata, è che «il disimpegno di qualcuno al primo turno diventi strafottenza di quasi tutti».
Il tradimento
Sul banco degli imputati, con l’accusa di alto tradimento, ci sono gli Autonomisti. Rispetto ai dati accolti dai rappresentanti di lista nelle 123 sezioni, infatti, il maggiore flusso di voto disgiunto in uscita da Messina (in direzione soprattutto Italia) è stato tracciato nel movimento di Raffaele Lombardo. Che in città è la terza lista più votata, dopo FdI e la civica di Italia, con un bottino di oltre 4mila preferenze. Quanto avrà pesato il risentimento per la mancata candidatura di Giuseppe Assenza (dopo aver bruciato anche quella dell’ex deputato regionale Mario Bonomo, che se n’è pure andato) sul disimpegno autonomista? E quanto peserà il feeling, tutt’altro che segreto, fra il sindaco Italia e Giuseppe Carta, unico deputato aretuseo (ma di Melilli) del Mpa all’Ars?
Gli interrogativi
Non sono gli unici interrogativi che attanagliano Messina. Che, con una scelta contestata da alcuni alleati, ha deciso di aprire a Garozzo, “rimbalzato” dallo stesso Italia dopo una trattativa finita col silenzio dell’uscente. Aver imbarcato l’ex sindaco dem consente al candidato del centrodestra, grazie al premio di maggioranza, di blindare gli equilibri a Palazzo Vermexio (20 consiglieri su 32) qualsiasi cosa accada nel voto di domenica e lunedì prossimi. E dunque la rendita di posizione, in questi ultimi giorni di campagna elettorale, è quella di poter chiedere ai siracusani: volete essere amministrati da un sindaco che non ha i numeri in consiglio? Ma questa linea, enfatizzata anche dall’apparentamento con gli altri due civici sconfitti al primo turno (Michele Mangiafico e Aziz Mouddih) ha l’effetto collaterale di cristallizzare tutti i consiglieri eletti: 5 di FdI, 5 del Mpa, 3 di Forza Italia, 4 di Garozzo e 3 della civica Insieme. «In questo modo – spiega un vecchio saggio della coalizione – nessuno, fra gli aspiranti consiglieri, avrà un interesse diretto per spingere Messina al ballottaggio, perché i giochi sono fatti».
Il cambi di scenario
Del resto, il cambio di scenario dopo i risultati del primo turno è chiaro allo stesso Messina, che ha depennato tutti gli assessori indicati in prima battuta tranne il coordinatore di FdI, Giuseppe Napoli, e Alfredo Foti, nipote del compianto capocorrente democristiano Gino e leader di Insieme. «Ha già fatto il primo rimpasto in campagna elettorale», la facile battuta di Italia. Ma c’è chi, sul tema, non ha alcuna voglia di scherzare. Come Giovanni Magro della Dc di Totò Cuffaro, che col suo 2% non ha fatto sfaceli, ma che non ha gradito la cacciata del proprio assessore virtuale: «Al mio amico Ferdinando dico: stai attento, chi oggi ti è leale e sincero viene allontanato, chi resta spero abbia la decenza di votarti e farti votare», il messaggio democristiano. Con un avvertimento ancor più sottile: «Vi ricordo che per un punto Martin perse la cappa…».
La sindrome da cono d’ombra
In questo scenario da fratelli coltelli, il centrodestra aretuseo è colto anche da una sindrome da cono d’ombra cittadino. Non sono pochi gli orgogliosi big siracusani a far notare che «in questa partita le carte le stanno dando i paesani». Per non fare né nomi né partiti: da Rosolini con furore i Gennuso (il padre Pippo, almeno fino ai domiciliari per scontare la condanna per traffico d’influenze, e i figli Riccardo, erede nel seggio all’Ars, e Luigi, fra i consiglieri neo-eletti a Siracusa) per Forza Italia, con un rapporto privilegiato col commissario regionale Marcello Caruso e dunque con Palazzo d’Orléans; il deputato nazionale di Avola, Luca Cannata, e il deputato regionale di Sortino, Carlo Auteri, per FdI; il già citato melillese Carta per l’Mpa e l’ex sindaco di Noto, Corrado Bonfanti, sempre per Forza Italia.
«In alcune riunioni i siracusani erano in minoranza, ma queste sono elezioni comunali e non provinciali», si lamenta un maggiorente deluso. Senza però fare un minimo d’autocritica: se i “paesani” si sono presi il comando dei partiti, qualche responsabilità della classe dirigente “cittadina” del centrodestra ci dovrà pur essere.
La realpolitik di Italia
Ma Italia non può soltanto godere delle disgrazie altrui. Se, da sindaco in carica, non è riuscito a ottenere il bis al primo turno (come invece avvenuto ai colleghi di Trapani e Ragusa, giusto per citare soltanto i capoluoghi) evidentemente c’è qualcosa che non ha funzionato. Magari, come sostiene qualche osservatore distaccato, pur avendo una visione chiara della città e una capacità oratoria superiore allo sfidante, l’esponente di Azione (ma senza il simbolo di Carlo Calenda fra le sue quattro liste) ha sofferto in termini di concretezza. Come dire: bisogna parlare anche dei tombini intasati, oltre che del Pnrr.
Ma, a onor del vero, la realpolitik non gli è mancata al momento di scegliere la strategia per il ballottaggio: ha rifiutato il Pd, ha tenuto sulla corda per qualche giorno Garozzo (che sarebbe stato l’apparentamento più naturale, oltre che quella più redditizio nello scenario consiliare), costringendolo a virare su Messina più per ripicca che per convinzione. E poi invece ha imbarcato il ribelle forzista Bandiera. Sulla bilancia del primo turno i rispettivi consensi sono quasi gli stessi: 4.486 l’ex sindaco renziano, 4.863 l’ex assessore regionale all’Agricoltura.
La vendetta
Ma quest’ultimo, ora indicato come vice da Italia (che ha confermato, fra gli altri, Pierpaolo Coppa, ritenuto la vera eminenza grigia della giunta uscente, e Fabio Granata, nonostante il non brillante 3,3% della sua lista Oltre), sta mobilitando tutte le sue truppe per vendicarsi del centrodestra che non l’ha voluto candidato. «Domenica scorsa mi ha chiamato il commissario Caruso alle 10,31 e io non gli ho risposto: da quel momento – ha detto Bandiera, finora autosospeso da Forza Italia, a SiracusaNews – sono fuori dal partito». E dunque ancor più esposto agli attacchi degli ex amici, dopo che Schifani in persona gli aveva dedicato pesanti frecciate.
L’affondo più feroce, però, arriva da Garozzo: «Caro Edy, da 15 anni ti candidi ovunque senza essere eletto. Chi ha fatto l’assessore all’Agricoltura in Sicilia è poi diventato presidente della Regione o ministro, tu non sei stato in grado di entrare nemmeno all’Ars». Evocando un ricordo avvelenato: nel 2013 il mandatario elettorale dell’allora candidato sindaco Bandiera sarebbe stato Giuseppe Calafiore, sodale di Piero Amara nel “sistema Siracusa”. Circostanza seccamente smentita dall’ex forzista: «Una bugia, è semplicemente falso». E così nel rush finale di una campagna elettorale definita «la più brutta di sempre», i protagonisti sembrano essere diventati gli sconfitti al primo turno: Garozzo e Bandiera.
Pd e M5s in confusione
E gli altri che faranno? La candidata progressista Renata Giunta andrà a votare scheda bianca, mentre Pd e M5S (o meglio: ciò che ne resta, dopo il deludente 4%) sono divisi al loro interno sul da farsi. Fra i dem, al netto della trattativa fallita con Italia, il deputato regionale Tiziano Spada (di Floridia) è chiaramente orientato per l’appoggio al sindaco uscente. «Il 90 per cento dei nostri elettori lo vuole votare», la tesi esposta a La Sicilia di Siracusa, e poi «lasciare liberi i nostri sarebbe un grave errore politico».
Evidentemente nel restante 10% dell’empirico sondaggio di Spada non ci sono altri storici pezzi grossi del partito, a partire da Salvo Baio: «Italia ci ha umiliato negandoci l’apparentamento, la sua rielezione sarebbe una sciagura per Siracusa». E anche il buon vecchio Bruno Marziano sembra della stessa idea. Da qui a parlare di un sostegno al centrodestra di Messina ce ne passa, eppure i malpensanti pensano male.
Il M5S, dal canto suo, chiarisce: «Non corriamo dietro ad accordi per un posto al sole». Eppure la base grillina siracusana sussurra di sensibilità diverse: meno ostile a Messina sarebbe il deputato regionale Carlo Gilistro, più in sintonia con Italia l’ex parlamentare nazionale Paolo Ficara. Tutti, però, sono d’accordo su un concetto: «La nostra opposizione sarà rigorosa». Ma senza nemmeno un consigliere comunale. Come le liste di Cateno De Luca, affogate (2,6%) nel caos magmatico di una batracomiomachia elettorale.
Che chi la capisce è bravo.
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