La Cassazione ha dato l’ok al referendum per l’abrogazione dell’autonomia differenziata. Per l’Ufficio centrale della Suprema Corte, come anticipato da Repubblica on line, dunque è legittima la richiesta di
abrogazione. L’ordinanza della Cassazione arriva dopo il pronunciamento della Consulta che aveva, tra l’altro, considerato «illegittime» specifiche disposizioni dello stesso testo legislativo. La parola definitiva torna ora alla Corte Costituzionale.
Il ddl sull’Autonomia delle Regioni a statuto ordinario punta ad attuare la riforma del Titolo V della Costituzione messa in campo nel 2001. In 11 articoli definisce le procedure legislative e amministrative per l’applicazione del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione. Con la sentenza n. 192 del 2024 i giudici della Consulta hanno ravvisato l’incostituzionalità di sette profili del provvedimento, accogliendo parzialmente i ricorsi di quattro Regioni guidate dal centrosinistra (Campania, Puglia, Sardegna e Toscana) che hanno impugnato il ddl Calderoli. La legge prevede che le richieste di autonomia partano su iniziativa delle stesse regioni, sentiti gli enti locali.
Sono 23 materie indicate nel testo, tra cui tutela della salute, istruzione, sport, ambiente, energia, trasporti, cultura e commercio estero. Quattrodici sono quelle definite dai Lep (Livelli essenziali di prestazione). La concessione di una o più «forme di autonomia» è subordinata alla determinazione proprio dei Lep, ossia i criteri che determinano il livello di servizio minimo che deve essere garantito in modo uniforme sull’intero territorio nazionale. La determinazione dei costi e dei fabbisogni standard avverrà a partire da una ricognizione della spesa storica dello Stato in ogni Regione nell’ultimo triennio.
Ed è proprio sui Lep, uno dei perni della legge, che è intervenuta la Consulta. Tra i profili ritenuti incostituzionali c’è la previsione che sia un decreto del presidente del Consiglio dei ministri a determinare l’aggiornamento dei Livelli essenziali di prestazione. Bocciato anche il conferimento di una delega legislativa per la loro determinazione senza idonei criteri direttivi con la conseguenza che – secondo la Consulta – la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo limitando il ruolo costituzionale del Parlamento.
Ritenuta incostituzionale anche la possibilità che si trasferiscano materie o ambiti di materie (scuola, energia, trasporti, commercio estero e ambiente) mentre la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla luce del principio di sussidiarietà.
Dai giudici arriva, inoltre, lo stop alla possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito perché «potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite – non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni». A finire nel mirino anche la «facoltatività» piuttosto che la “doverosità» per le regioni destinatarie della devoluzione del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con «conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica».