Tutto si può dire di Gaetano Armao, tranne che non abbia le idee chiare. Su ciò che potrebbe succedere dal 25 settembre in poi ed è difficile («ma non impossibile») che succeda. Ovvero che ci sia una Regione «modello Rino Nicolosi», giusto per non tornare ancora più a ritroso, fino a Bernardo Mattarella o addirittura a Giuseppe Alessi.
Il candidato governatore del terzo polo, ospite in redazione per il terzo dei forum di La Sicilia, immagina un’Isola che, parafrasando Gesualdo Bufalino, «sia cerniera e non frontiera». Con un governo regionale innanzitutto capace di «avere una visione della nostra terra e soprattutto della sua collocazione euromediterranea». E che abbia «una pervicace volontà di fare le riforme».
Quelle che la giunta e la maggiornanza di Nello Musumeci non sono riuiscite a fare in questi ultimi cinque anni?
«L’Ars non è riuscita a trarre spunto dalle iniziative del governo. Per questo l’ideale sarebbe un’assemblea costituente, con lo stesso clima che qualcuno auspica ci sia a Roma. Anche se in questa campagna elettorale – precisa Armao – il tema di un’Ars costituente non c’è, così come manca quello sulle riforme condivise».
Ma come si fa a essere l’alternativa al centrodestra dopo aver governato (ed essere ancora il vicepresidente in carica) nel quinquennio musumeciano. Armao sostiene che «così come il centrosinistra deve chiarire perché dopo le primarie ha cominciato a litigare su tutto, il centrodestra deve ancora spiegare perché un galantuomo come Musumeci non sia stato ricandidato».
Va da sé che se lo fosse stato, il suo vice non sarebbe stato in campo a sfidarlo: «Di certo sarei stato al di fuori dell’agone regionale, non so se sarei tornato a fare il mio mestiere a tempo pieno». O magari una via di mezzo, folgorato sulla via di Carlo Calenda, «protagonista della proposta più seria che gli elettori italiani in questo momento hanno davanti a loro».
Di certo, comunque, l’ormai ex forzista Armao, pur non sfidando Musumeci, sarebbe uscito da un partito che «ha fatto un errore madornale nel dare il suo contributo decisivo alla caduta del governo Draghi: anticipare il voto di sei mesi è stata una pura follia e quest’autunno a pagarne le conseguenze saranno soprattutto le famiglie e le piccole e medie imprese».
E di certo non sarebbe rimasto in un centrodestra sempre più destracentro a livello nazionale. Una coalizione che in Sicilia, come aggravante, ha dimostrato «una gestione oligarchica alla quale io, che ho sempre vissuto male questo stato di cose, ho sempre reagito a testa alta». Una rivolta del moderatissimo Armao contro quella che ha chiamato «la banda dei quattro» (al secolo Gianfranco Miccichè, Raffaele Stancanelli, Luca Sammartino e Roberto Di Mauro), decisiva nel ribaltone sul Musumeci-bis. «Ma non la voglio ripetere, quella (raffinata, ndr) citazione di Mao: la prendono come un insulto di basso livello, ma è una cosa un po’ più complessa…».
Ma questo centrodestra, che ha rottamato l’uscente, ora si presenta con i galloni del favorito nella corsa per Palazzo d’Orléans. Con Renato Schifani, «per me un amico, una persona perbene», che a questo punto per il “sillogismo della palla” dovrebbe essere uno che la passa facilmente, con tutti gli annessi e connessi. Ma può essere che sia l’ex presidente il «gatto fedele» che Armao aspettava uscisse dal cilindro del centrodestra?
«L’unica cosa che posso dire è che, conoscendo Renato, spero abbiano sbagliato felino…», è la risposta all’insegna del fair play fra ex colleghi di partito e di cordata. Pur consapevole che questo nuovo centrodestra a trazione palermitana, lui, che è stato «assessore di due presidenti catanesi con cui ho lavorato benissimo», lo vede «in cerca dell’amalgama, come il mitico Angelo Massimino».
Ma potrebbe esserci, se le proiezioni dei sondaggi fossero confermate, un margine di collaborazione fra il terzo polo e questo centrodestra al governo? Ed è qui che, svestendo i panni del candidato che deve per forza di cose dire che corre per vincere, Armao fornisce l’ennesima dimostrazione sulla chiarezza delle sue idee. «La nostra linea è la stessa, a Roma come a Palermo: di alleanza col centrodestra non se ne parla, pur essendo disposto a un confronto sereno sui temi». Il che, coniugato nello scenario siciliano, significa che «i nostri 6-7 deputati saranno determinanti per la maggioranza all’Ars, visto che l’esperienza di Musumeci dimostra che con 36 su 70 non si governa, figuriamoci con il numero minore di deputati che avrebbe Schifani se dovesse vincere».
Terzo Polo, dunque, ago della bilancia anche alla Regione. E non condannato a «essere marginale» come secondo la fatwa lanciata ieri a Palermo da Antonio Tajani sul suo ex sodale di partito. «Le tendenze alla crescita della sono costanti ben oltre i dati dei sondaggi. Le due settimane che separano dal voto – sostiene Armao – ci faranno crescere perché aumenterà l’impatto del voto libero e d’opinione portandoci a superare il 10%. Il consenso verso l’unica nuova proposta politica che riunisce riformisti, liberali e cattolici è in incremento sopratutto tra i giovani. Le culture politiche che hanno scritto la Costituzione, reso l’Italia un Paese moderno, costruito l’Europa, oggi sono le più coraggiose interpreti della linea del governo Draghi per un’“Italia sul serio”, senza fare promesse irrealizzabili o sbraitare insulti». Per Armao «Musumeci ha fatto bene ad anticipare il voto per le Regionali:tre mesi di campagna elettorale sarebbero stati uno stillicidio». Calenda è già entrato anche nelle vene dei siciliani. E in questo contesto, scandisce, «la Sicilia sarà protagonista di questa svolta e darà il suo contributo, scegliendo per il rilancio della Regione con le riforme, la crescita, le risposte a chi patisce i colpi crisi economica ed energetica, ma contrastando i mandarini della peggiore politica che litigano già per mettere le mani sulla sanità siciliana, dichiarando di non volere un presidente, ma un "gatto fedele”».
Mano tesa, ma molti distinguo e niente inciuci. Il candidato di Azione e Italia Viva i suoi tre temi sui quali chiede (e offre) «convergenza» non soltanto al rivale di centrodestra ma a tutti gli altri, li ha già messi sul tavolo. Primo: «Stop al voto segreto, una pratica indegna. che andrebbe ancorato al regolamento del Senato». Secondo: «Cambio della procedura di approvazione di bilancio e legge di stabilità regionale: si lavora nelle commissioni di merito e poi l’aula dice sì o no, senza sfasciare di nuovo il puzzle». Terzo: «Mai più un leader di partito (come Miccichè, ndr) alla guida dell’Ars».
Armao rivendica i suoi risultati personali da assessore all’Economia: dal «debito regionale ridotto da 8 a 6,6 miliardi» alla «rinegoziazione dei mutui con Cassa Depositi e Prestiti: 2,1 miliardi, con risparmio di 633 milioni di interessi fino al 2044, oltre 80 milioni solo nel 2021 e 2022», dalla «riduzione delle addizionali Irpef e Irap al minimo» ai «tra accordi di finanza pubblica col Mef: nuove risorse alle Regione per oltre 3 miliardi», fino al fiore all’occhiello del riconoscimento della condizione di insularità nella Costituzione: da questo momento qualsiasi programmazione di risorse deve tenere in contro questa conquista e spero che ci sia un asse fra i governi di Sicilia e Sardegna per vigilare». Snocciola anche i punti-chiave del suo programma, eccone alcuni: riorganizzazione della pubblica amministrazione con un ricambio generazionale, riordino di aziende sanitarie e rete ospedaliere («condivido in buona parte la proposta del grillino Di Paola»), estensione del regime delle Zes alle imprese turistiche, l’ulteriore valorizzazione di Irfis (già passato «da 7mila a 70mila pratiche»)come unica centrale finanziaria per tutte le imprese siciliane.. Ma c’è un intervento che Armao invoca come «immediato» e che anche il governo in carica, «se ci fosse una tregua elettorale che ho proposto senza ottenere riscontro dagli altri», potrebbe fare: «Un pacchetto di interventi, aggiuntivi a quelli dello Stato sul modello Covid, per aiutare le famiglie e le imprese, soprattutto della catena alimentare, per pagare le bollette e sostenere il caro-energia».
Armao ha le idee chiare. Lo rivendica. E vorrebbe che «i confronti fra tutti i candidati non fossero considerati un diritto dei candidati stessi, per i quali sono invece un dovere, ma dei cittadini che vogliono scegliere dopo averli visti l’uno accanto all’altro. In una democrazia modello, come quella americana, se non ti presenti ai confronti sei politicamente squalificato…».
Un messaggio, più o meno in codice, per chi s’è finora sottratto. Perché non “mastica” più di tanto di Regione? «Questo lo vedremo se ci sarà almeno un confronto», la sperenza con cui si congeda.
(Pubblicato su La Sicilia l'11 settembre)