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Accordo di coesione, il governo Schifani si spacca sui 4 miliardi e lascia fuori opere di Musumeci

Slitta la delibera sulla proposta da inviare a Roma. «Ulteriori approfondimenti». Ma è FdI (e non soltanto) a frenare sul piano

Di Mario Barresi |

Fumata grigia. Nell’ordine del giorno di ieri, la giunta di Renato Schifani doveva deliberare la proposta dell’Accordo di coesione (sollecitata dalla premier Giorgia Meloni nel recente blitz catanese) da inviare a Roma. La “lista della spesa”, per intenderci, con tutti gli interventi che s’intendono finanziare con le risorse del Fsc 2021/27, sottoposti al via libera del governo nazionale. Un plafond iniziale pari a oltre 6,8 miliardi di euro, sul quale – al netto delle anticipazioni e delle somme già «finalizzate», fra cui 1,3 miliardi per il Ponte e 800 milioni per i termovalorizzatori – ci sono poco ancora più di 4 miliardi da programmare.Ma il punto è stato rinviato.

Colloqui bilaterali

Con Schifani impegnato nei colloqui bilaterali con i leader regionali della coalizione, la prima seduta di giunta post crisi di governo è stata presieduta dal vice Luca Sammartino, che ha quasi subito stralciato l’argomento che «necessita di approfondimenti». Non certo una decisione personale, ma una linea concordata con il governatore. Che, in mattinata, avrebbe ricevuto una telefonata da Salvo Pogliese, co-coordinatore regionale di Fratelli d’Italia, con l’esplicita richiesta di «non chiudere» ieri sul Fsc.L’arcano è presto svelato. I meloniani (ma non soltanto loro) sono piuttosto indispettiti dal contenuto di una prima bozza di piano alla quale Schifani ha lavorato in stretto contatto, e in gran segreto, con i suoi più stretti collaboratori, con la supervisione di Vincenzo Falgares, dirigente della Programmazione. In questa suddivisione dei fondi, secondo alcuni calcoli effettuati col conforto dell’assessore all’Economia, Marco Falcone, mancherebbe gran parte delle risorse Fsc già “prenotate” dal precedente governo di Nello Musumeci per un totale di circa 875 milioni, ai quali si aggiungono i 100 milioni dei fondi dell’assessorato all’Economia polverizzati su 90 interventi nei comuni (ma senza copertura) alla vigilia dell’ultima campagna elettorale, il cui avviso è stato congelato dopo uno scontro fra l’ex assessore Gaetano Armao e il dirigente Silvio Cuffaro. La scelta di Schifani, sin dall’inizio dell’analisi sulla nuova programmazione, è sempre sembrata orientata a non tenere conto della linea del predecessore. A un certo punto s’era ipotizzato di salvare 240 milioni destinati all’ambiente e 103 alla cultura, ma negli ultimi giorni le opere musumeciane potenzialmente finanziabili sarebbero rimaste soltanto due, entrambe nell’ambito della sanità: il nuovo ospedale di Gela (130 milioni) e l’Ismett 2 di Carini (quasi 223 milioni). Tutto il resto? Fuori dai radar del governo in carica.

Il tesoretto

In queste cinque delibere adesso di fatto “cassate” c’è un tesoretto all’epoca in gran parte concertato da Falcone, in veste di assessore alle Infrastrutture, con i deputati di maggioranza, ma anche delle opposizioni della scorsa legislatura. E allora, scorrendo gli elenchi degli allegati, si contano circa 9 milioni per il cimitero etneo di S. Pietro Clarenza (2,6 milioni) e il centro direzionale della Regione nell’ex ospedale Umberto I di Enna (6,3 milioni), 12,5 milioni per 11 interventi del “Piano per la ricostruzione della Valle del Belice”, ma soprattutto 595 milioni per 112 interventi infrastrutturali diffusi in tutta l’Isola (in questa delibera le opere di Gela e Carini e pure 35 milioni per la “Pedemontana” etnea) e altri 156 milioni per ulteriori 77 opere, fra cui spiccano 25 milioni di riqualificazione urbana a Palermo, 19,4 milioni per la Sp Ispica-Pozzallo, 11,2 milioni per la demolizione del ponte San Bartolomeo fra Alcamo e Castellammare, 8,6 milioni per una casa dello studente a Messina e 14 milioni in un doppio intervento (consolidamento dell’abitato a sud-est e circonvallazione) a Ravanusa, giusto per citare i progetti più grossi. Che fine faranno tutte queste opere? Se lo chiede FdI, che spinge affinché non sia delegittimato il precedente lavoro di Musumeci. Che, sussurrano a Roma, avrebbe già discusso della delicata questione con il ministro della Coesione, Raffaele Fitto, al quale spetterà l’ultima parola sul via libera al piano della Sicilia, dandogli alcune “dritte”. Ma anche il forzista Falcone, in asse con i colleghi meloniani, ha raccolto le perplessità di altri deputati di centrodestra e opposizioni.

La direzione del governo Schifani

Intanto, però, il governo Schifani va avanti su tutt’altra strada. Ieri Sammartino sul tavolo della giunta si presenta con un grande file “excel” in cui ci sono soltanto alcuni macrodati: 237 milioni circa di anticipazioni già saldati da Roma (di cui 20 milioni per la digitalizzazione, 71 per competitività imprese, 5,6 per ambiente, quasi 22 per trasporti e mobilità, 88,5 per riqualificazione urbana e 30 per salute sociale), più quasi 2 miliardi e mezzo di risorse «già finalizzate» in cui ci sono 1,3 miliardi di cofinanziamento del Ponte e 800 milioni per i termovalorizzatori, ma anche 330 milioni da conteggiare come confinanziamento regionale di Fesr e Fse Plus. Eppure la parte più sostanziosa è alla voce «risorse 2021/27 da finalizzare»: 4.168.929.732,07 euro per essere precisi al centesimo.Ed è su questa somma che il centrodestra siciliano si spacca ancora, fra lealisti di Schifani e nostalgici di Musumeci. Nel documento portato in giunta dal vicepresidente, al netto di allegati comunque incompleti, le voci di spesa sono lasciate in bianco. Ma La Sicilia ha potuto visionare una bozza del piano del governo regionale, risalente a qualche settimana fa e in corso di limatura, in cui si capisce bene la linea sul Fsc 2021/27. Si parte da circa 600 milioni per competitività delle imprese (da suddividere fra attività produttive e turismo), cifra che però sembra destinata a essere decurtata di un po’; poi ci sono 1,2 miliardi (al netto degli 800 milioni per i due termovalorizzatori previsti nella norma di nomina di Schifani a commissario straordinario) per ambiente e risorse naturali, al momento distribuiti in parti eque fra acqua-rifiuti-depurazione, interventi sugli alvei dei fiumi e fondi per il commissario nazionale; i trasporti, già alleggeriti dal “prelievo” dei 1,3 miliardi per il Ponte, disporranno di 785 milioni, 100 in meno di una previsione iniziale perché lo stesso importo è destinato alla riqualificazione urbana; 300 milioni sono indirizzati alla sanità e al welfare; 15 milioni le risorse a disposizione delle Città metropolitane. Chiudono il conto: 100 milioni per l’assistenza tecnica (che si aggiungono ai 257 del Fers: una manna per i big del settore) e 400 milioni per coprire le anticipazioni sulle premialità del 15%. Rispetto a questo quadro dovrebbero spuntare altri 150 milioni per impiantistica sportiva. Nessuna risorsa è destinata a ricerca e innovazione, digitalizzazione, energia e trasporti ferroviari o porti. E anche questa è una scelta politica.Comunque andrà a finire il braccio di ferro fra il “vecchio” e il “nuovo” centrodestra siciliano, il piano Fsc dovrà prima passare dall’Ars: dalle commissioni Bilancio e Ue, titolari di pareri obbligatori. E qui, oltre a dirimere alcuni aspetti tecnici (la salvaguardia delle opere previste ma non finanziate nella scorsa programmazione e la sorte di quelle deliberate dallo scorso governo) si dovranno fare i conti veri.Anche con gli appetiti, trasversali, dei deputati regionali ingolositi dal “modello selfie” utilizzato nell’ultima finanziaria.La prova finale per il piano di Schifani, già minato dall’orgoglio musumeciano che ancora aleggia nei palazzi della Regione.m.barresi@lasicilia.it.

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