A un mese e mezzo dalle elezioni la Sicilia si ritrova ancora senza un governo in carica nel pieno delle sue funzioni. Ma adesso, anche per ragioni di calendario (l’Ars s’insedia il 10), Renato Schifani deve accelerare sulla giunta e mettere mano alla squadra. Con Gianfranco Miccichè che, come ormai chiaro da giorni, non avrà alcuna poltrona romana di rilievo. E dunque ha un alibi di ferro per poter fare quello che aveva in testa sin dal primo momento: rinunciare, con la dovuta calma, al seggio in Senato e restare all’Ars. Eppure, avvertono fonti forziste vicine a Palazzo d’Orléans, il viceré berlusconiano «ha fatto male i suoi conti: stavolta sarà Renato a non fargli toccare palla».
La tesi, con descrizione di rapporti «gelidi» fra i due fino quasi all’«interruzione di ogni contatto negli ultimi giorni», è basata sulla linea che il governatore vuole tenere sulla nomina degli assessori di Forza Italia. «Li sceglierà lui, in base alla delega ricevuta dal gruppo dell’Ars nell’ultimo vertice», sostengono gli azzurri più in sintonia con Schifani. Anche se dal fronte opposto ricordano che in quell’occasione s’era parlato di una «sintesi finale» da trovare assieme al leader regionale.
Cos’è cambiato in una decina di giorni per arrivare al “ghe pens mi” del presidente della Regione? Il flop dei falchi anti-Meloni nella strategia di Arcore ha un suo peso e ora, nonostante l’ipotesi di una staffetta fra Antonio Tajani e Lica Ronzulli al vertice di Fi, «Gianfranco è più debole», sostengono i suoi nemici interni. Pronti a giurare su un altro fattore decisivo: la copertura romana, grazie a un asse con FdI (con Giorgia Meloni e soprattutto Ignazio La Russa garanti) che il governatore avrebbe consolidato negli ultimi giorni, anche grazie alla copertura dei governisti di Forza Italia.
Ma c’è anche un altro elemento di «cauto ottimismo» che trapela dagli schifaniani. Ed è al tempo stesso il piano per togliere a Miccichè la principale arma di ricatto: lo scherzetto sul vertice dell’Ars, al quale il presidente uscente continua a puntare. Al di là del feeling ostentato da Cateno De Luca, anche esponenti di M5S e Pd confermano «recenti contatti» con il leader forzista. Il pallottoliere è semplice: con 11 grillini, altrettanti dem e 8 “scatenati” si arriva a quota 30 su 70. E basterebbero 6 deputati del centrodestra (magari forzisti fedeli al leader) per eleggere un presidente.
Ma si dà il caso che le stesse fonti delle opposizioni giallorosse rivelano a La Sicilia di aver ricevuto sollecitazioni anche dal fronte governativo. Sul piatto un «accordo istituzionale» (magari con una vicepresidenza, oltre ad altri ruoli di peso a Palazzo dei Normanni) che servirebbe da deterrente a un’intesa di M5S e Pd con Miccichè. Che viene accerchiato anche dentro la coalizione. Partendo da questi altri numeri: almeno 11 deputati in giunta, più 7 presidenti di commissione, 5 capigruppo e 6 nell’ufficio di presidenza dell’Ars. «C’è posto per tutti e in questo contesto – ragionano le colombe presidenziali – è difficile che i deputati di centrodestra, compreso chi ha ricevuto la promessa di un assessorato che Gianfranco non potrà più dargli, si mettano subito contro Schifani».
Su queste basi, ancorché tutte da dimostrare, il governatore andrà dritto sulle proprie scelte. A partire dalla terna di assessori forzisti: Marco Falcone all’Economia, Edy Tamajo al Turismo (delega contesa però da FdI) e la Salute a una donna, che potrebbe essere Margherita La Rocca Ruvolo o «una tecnica di fiducia del presidente». Identikit che non corrisponde per ragioni di genere allo stesso aspirante assessore Miccichè, né a Daniela Faraoni, con Barbara Cittadini defilata. Sciogliere il nodo azzurro faciliterà a cascata l’incastro con gli altri alleati. In uno scenario dove perde peso il criterio del “matching” nei partiti fra deleghe ministeriali e assessoriali.
Assodati due posti a testa per Lega (Luca Sammartino, vice di Schifani, all’Agricoltura; Mimmo Turano in vantaggio su Vincenzo Figuccia per Istruzione e Formazione) e Nuova Dc (la palermitana Nuccia Albano a Famiglia e Lavoro, l’etneo Andrea Messina alle Autonomie locali), la questione più delicata è il posto conteso fra meloniani e autonomisti. Se FdI, come assicurano i vertici regionali anche dopo recenti incontri romani, otterrà il quarto assessore oltre alla pattuita presidenza dell’Ars, a Raffaele Lombardo resterebbe uno solo posto, appannaggio di Roberto Di Mauro (Attività produttive o Rifiuti ed Energia, dove sembra stretto il sentiero che porta al magistrato Massimo Russo, pur molto stimato dal governatore), con una compensazione in commissioni e sottogoverno; in caso di secondo assessorato, i lombardiani potrebbero esprimere una donna, magari una messinese indicata da Francantonio Genovese.
Schifani, che comunque non può permettersi frizioni con il partito di Meloni, insisterà nei prossimi giorni su un concetto già espresso: rispetto al 2017 i “piccoli” sono molto più forti e meritano adeguato spazio in giunta. Ma in FdI sono certi di spuntarla, anche «perché abbiamo rinunciato al bis del governatore».
A proposito: il fatto che gli unici patrioti al governo nazionale siano del Catanese (Nello Musumeci e Adolfo Urso), determina la necessità di un «riequilibrio territoriale» invocato dai palermitani, a maggior ragione dopo che è sfumato il posto da sottosegretaria per Carolina Varchi. Ai coordinatori Salvo Pogliese e Giampiero Cannella il compito di far quadrare numeri e mappa, oltre che l’equilibrio fra nativi meloniani e nuovi ingressi musumeciani.
In corsa per il vertice Ars restano Giorgio Assenza e Gaetano Galvagno, quasi certi i posti per Alessandro Aricò (Infrastrutture) e Giusi Savarino (Territorio e ambiente), la seconda donna dovrebbe essere Elvira Amata. Secondo il criterio degli «assessori tutti deputati eletti» non ci sarebbe spazio per l’acese Basilio Catanoso (altro sottosegretario mancato), né per l’ex assessore Ruggero Razza, sul quale però c’è l’impegno personale di Schifani con Musumeci.
Un’altra settimana di “petting”, fino almeno a lunedì prossimo. Quando, a tre giorni dall’insediamento dell’Ars, tutte le scelte (anche le più delicate) non potranno più essere rimandate.