Verso le Regionali, Renzi prova l’ultimo assalto a Grasso

Di Fabio Russello / 04 Luglio 2017

Catania. Stavolta – ma non è dato sapere il perché, né il per come – al Nazareno sono quasi certi di farcela. Stavolta – ma non si sa cos’è cambiato rispetto a pochi giorni fa – Matteo Renzi è convinto che il «candidato ideale» gli dirà di sì. Che il corteggiamento del Pd nei confronti di Pietro Grasso non si fosse mai interrotto, nemmeno dopo il garbato rifiuto, era cosa nota. Ma negli ultimi giorni – a Roma e, di rimando, a Palermo – è tornato un certo ottimismo sulla candidatura dell’ex magistrato a governatore. Ci doveva essere un incontro fra Renzi e Grasso, negli scorsi giorni. Rinviato. Si farà – dicono – entro la fine della settimana.

Sia chiaro: da Palazzo Madama, fonti molto attendibili precisano che «per il presidente non è cambiato niente». E dunque, ufficialmente, Grasso – a maggior ragione dopo che Sergio Mattarella ha escluso elezioni politiche anticipate – su Palazzo d’Orléans ci ha messo una croce sopra. E allora che c’è di nuovo? Innanzitutto una netta insoddisfazione di Renzi per «come è stata gestita la cosa in Sicilia». Prima, durante e dopo la trattativa con il presidente del Senato.

La tesi è che, a prescindere dalle «oggettive difficoltà istituzionali, che restano e sono condivise con Grasso», la partita è stata gestita con dilettantismo, vista la caratura del personaggio. Troppe fughe in avanti, troppi personalismi, troppi cappelli lanciati sull’ex procuratore per rivendicare inesistenti ius primae noctis. E dalle parti del Giglio Magico non avrebbero gradito l’iperattivismo di Leoluca Orlando, che sull’onda del successo del cosiddetto “modello Palermo”, è assurto a kingmaker regionale del centrosinistra. «Se abbiamo un percorso programmatico possiamo chiedere a Grasso, che dirà di no, di candidarsi, o a un simil-Grasso di candidarsi» ha arringato Orlando. Forte di una sorta di “sindrome di Stoccolma” sofferta dai dem siciliani nei suoi confronti: più li tratta male, più loro si sottomettono.
La nuova strategia del Nazareno? Porte aperte al sindaco del civismo e alle liste dei territori per le Regionali, ma la partita – su Grasso e non soltanto – adesso la gioca direttamente il Pd nazionale.

E non è un caso che ieri Davide Faraone – viceré renziano di Sicilia, da tempo sin troppo silenzioso e piuttosto sornione, insieme con l’alleato di ferro Totò Cardinale, all’ombra delle gesta di Orlando – ha fatto sentire la sua voce. Usando la parola più diffusa nei giorni del “licenziamento” di Rosario Crocetta: «Discontinuità», la stessa usata dal capogruppo del Pd alla Camera, Ettore Rosato, domenica alla convention organizzata da un Peppino Lupo in grande spolvero. Il sottosegretario alla Salute, in tour nei 390 comuni siciliani con il suo “#SiVaCasaPerCasa”, ha evocato «una proposta competitiva», rivelando che «la tireremo fuori presto, aldilà dello strumento con cui selezioneremo la candidatura». Ma, forse facendosi portavoce dei mal di pancia del Nazareno, ha precisato: «Il modello Renzi e del Pd nazionale è quello vincente: niente sommatoria di cose che sono in piedi per sconfiggere gli altri ma qualcosa di innovativo sulla falsa riga di quello nazionale».


E se Renzi prende in mano il destino siciliano dei suoi, altrettanto fa Silvio Berlusconi con il centrodestra. A Palazzo Grazioli, mercoledì scorso, è stato ricevuto il commissario regionale di Forza Italia, Gianfranco Micciché. E, «visto che è pure lui a Roma», l’incontro ha avuto un altro partecipante illustre: Raffaele Lombardo. I due hanno parlato col Cavaliere di allargamento della coalizione ai moderati sullo schema di Milano, ricevendo pieno mandato: «Sono elezioni locali, può essere un test significativo che non ci impegna», è il ragionamento romano. Ma è venuta fuori anche l’idea di «un Grasso moderato», che risponde all’identikit di Angelino Alfano. Il diretto interessato ha sempre escluso una sua discesa in campo, anche col centrosinistra, eppure l’intramontabile ex senatore Pino Firrarello l’ha di fatto ufficializzata su lasiciliaweb, in nome di «un bagaglio di esperienza non indifferente e di una conoscenza della macchina dello Stato che in pochi possiedono».


Ma Berlusconi si sarebbe mostrato alquanto dubbioso sul ministro degli Esteri al governo col Pd. «Gli elettori non capirebbero, è troppo prematuro», è la riflessione venuta fuori nel quartier generale del Cav. Gli altri nomi possibili: l’ex rettore di Palermo, Roberto Lagalla (che piacerebbe a Micciché e soprattutto a Totò Cuffaro, ma non tanto agli alfaniani), l’eurodeputato di Ap Giovanni La Via (che non dispiacerebbe quasi a nessuno, tranne che – curiosamente – allo stesso Firrarello) e il leader siciliano dei Centristi Gianpiero D’Alia, che non ne vuole proprio sapere anche perché la rottura col Pd è tutt’altro che definitiva.


Anche Silvio, così come Matteo, ha però cambiato strategia sulla Sicilia. «Vuole vincere», dicono i suoi. E allora, quasi del tutto accantonata la strada di un candidato forzista di bandiera (si vociferava del deputato acese Basilio Catanoso, legatissimo all’eurodeputato Salvo Pogliese), magari per una “desistenza” a un Pd con Grasso in campo, il Cavaliere guarda con sempre più favore a Nello Musumeci. Anche perché i sondaggi finiti pure sui tavoli di Arcore lo incoronerebbero come uomo più forte del centrodestra siciliano. Tra i suoi sponsor Stefano Parisi, che con il suo Energie per l’Italia, ha deciso di piantare le tende in Sicilia per la campagna elettorale delle prossime Regionali. Insomma: se la pista centrista dovesse rivelarsi fredda, l’input è convergere sul leader di #DiventeràBellissima. Col consenso di Matteo Salvini. Che non è poco.
Twitter: @MarioBarresi

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