PALERMO – «Ciò che emerge è un’idea di vendetta tribale all’interno di un luogo, come il nucleo familiare, che nell’immaginario comune, dovrebbe alimentare sentimenti di amore e solidarietà. Ecco, invece, una madre che abbandonati i consueti ruoli di mediatrice amorevole, metabolizzatore di conflitti, si erge ad artefice e primo attore dell’uccisione di colui che viene bollato da lei a dai figli come padre/padrone». La psichiatra Santa Raspanti, dirigente medico all’Asp a Palermo commenta così con l’Ansa il delitto avvenuto nel quartiere di Falsomiele.
A confessare, a caldo, l’omicidio del marito, Pietro Ferrera, 45 anni è stata per prima la moglie, Salvatrice Spataro, coetanea della vittima. Poi due dei quattro figli della coppia: Mario, di 20 anni, e Vittorio di 21. Tutti e tre sono stati portati in carcere. L’uccisione è stata commessa mentre gli altri due figli minorenni erano ospitati dalla nonna. «I fatti per come vengono narrati racchiudono in sè l’epopea del gesto vendicatore condiviso e forse anche preparato – prosegue Raspanti – visto l’allontanamento dei figli minori, al fine di concludere nel sangue una vicenda di convivenza familiare che per avere un tale epilogo deve essersi nutrita ed alimentata nell’odio e nella rabbia». Ad avviso della psichiatra “nessuna altra possibilità è stata pensata e decisa dai tre, forse per farsi coraggio, forse per diluire la colpa, forse per non avere ripensamenti: hanno, secondo le indagini, colpito, dilaniando il corpo e mettendo così la parola fine ad una vicenda che per loro non aveva più alcuna ragione di esistere».
«La cronaca ci ha abituato ad ascoltare donne vittime di violenze ed abusi che non hanno saputo opporsi, qui – continua la dirigente Asl – ne ritroviamo una che ergendosi ad Erinni vendicatrice ha armato la sua mano e quella dei figli dando il via ad una violenza bestiale, ascoltando le loro confessioni». In ogni caso la vicenda registra «il fallimento di un progetto familiare e di vita e l’incapacità di tutti di prenderne atto e chiedere aiuto». Secondo Raspanti, «ancora una volta la famiglia si rivela luogo di violenza impensabile e di aggressività brutale, in contrasto con la fantasia di luogo privilegiato di amore e sicurezza. Da madre mi chiedo come sia possibile sopportare la colpa di non essere stata in grado di prospettare alternative di vita differenti, ma da psichiatra so bene che agiamo attraverso quello di cui la nostra anima è stata nutrita». Alla domanda, infine, se il clima natalizio possa essere un catalizzatore di insoddisfazioni e di tensioni, la psichiatra risponde: «le festività finiscono inevitabilmente per fornire un tragico contrasto col fallimento delle aspettative deluse, della favola edulcorata della famiglia del Mulino Bianco» e nelle situazioni più compromesse questo porta a «gesti violenti come unica possibilità per trovare una qualsiasi via d’uscita».