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Disastro aereo

Strage di Ustica, «I nostri affetti in fondo al mare e a noi dallo Stato solo mezze verità e un’elemosina»

Il racconto e  la rabbia dei familiari di Carlo Parrinello, una delle 81 vittime

Di Redazione |

Non una tomba accoglie le loro spoglie, la loro bara è la carlinga di un aereo sventrato e finito in fondo al mare. Non si conosce il nome di chi li ha uccisi, né probabilmente si saprà mai. L'unica certezza è che 12 bambini e 69 adulti sono state vittime incolpevoli di una guerra combattuta nei cieli del Mediterraneo in una maledetta notte del 27 giugno del 1980. Chi aveva dovuto vigilare sulla sicurezza di un aereo civile non l'ha fatto, chi avrebbe dovuto raccontare la verità ha preferito mentire e chi avrebbe avuto avere sostegno e protezione è stato ignorato e messo da parte. 

Questa è la storia della strage di Ustica, la cronaca della morte degli 81 passeggeri del volo diretto da Bologna a Palermo. Questa è anche la storia di Fausta, di Katia e di Giusi, della madre Angela e del loro lancinante dolore che dura da 41 anni. «Mio padre Carlo Parrinello, 42 anni, imprenditore agricolo di Marsala si imbarcò su quell'aereo con mia zia Francesca e mio cugino Vito – racconta Fausta – era andato a Bologna per accompagnare la sorella a una visita medica di controllo e mio cugino di 26 anni li aveva seguiti. Il viaggio era anche l'occasione per approfondire alcuni contatti professionali, necessari per iniziare un negozio di abbigliamento da destinare a noi tre figlie, qualora non avessimo voluto continuare la sua attività. Papà, la zia e mio cugino oggi riposano negli abissi del Tirreno, dentro i resti del Dc9 Itavia». 

La sorte fu beffarda con i tre che erano in lista d'attesa per il volo, ma poi riuscirono a imbarcarsi, ansiosi di tornare a casa. L'atmosfera in famiglia era di festa perché gli accertamenti medici della donna erano andati meglio delle aspettative e ci si preparava a un'estate spensierata. E invece la ruota della fortuna giro in senso opposto. «La mia famiglia era spazientita per il ritardo nell'arrivo del volo, ma non tutti presagio – ricorda Fausta – sino a quando il fidanzato di mia sorella, che lavora in radio, si precipitò a casa per dire che l'aereo di papà era scomparso. A me da principionascosero la notizia solo 8 anni, ma subito che il dramma era capì avere in casa nostra vedendo la speranza dei parenti, lo strazio delle mie sorelle e di mia madre, che aveva solo 33 anni. Una bomba era esplosa nelle nostre vite».

Per la famiglia furono anni di difficoltà, di precarietà, di un futuro incerto all'orizzonte.«Nessuno ci ha aiutato, nessuno ci ha teso una mano, né le istituzioni né i concittadini – Fausta – mia mamma si è rimboccata le maniche nell'inventarsi un mestiere per raccontaci e ha iniziato ad assistere gli anziani». Le figlie hanno dovuto affrontare le conseguenze di una valanga abbattutasi nelle loro vite quando erano giovanissime. «Non mi rassegnavo all'idea che mio padre non ci fosse più, a volte vedevo un uomo per strada e pensavo che fosse lui, pur sapendo che era impossibile», ricorda Fausta che rievoca anche il senso di profonda ingiustizia provato in questi 41 anni . «Abbiamo sentito ipotesi di ogni tipo – dice – dalla bomba ad orologeria nel gabinetto, tesi insostenibile dato che il volo era partito con quasi due ore di ritardo, a quella di un cedimento strutturale del velivolo.

Poi con la costituzione dell'associazione dei parenti delle vittime e con la designazione di Rosario Priore quale giudice istruttore, per la prima volta si iniziò un vero percorso giudiziario. Ma nonostante la tenacia, l'impegno e la dedizione di Priore, il processo penale non è servito a fare giustizia, gli eventuali reati sono andati in prescrizione, ci sono persino state alcune morti sospette fra i testimoni oculari di quella notte e nessuno ha mai pagato per il sangue versato da 81 innocenti e per le vite distrutte di chi li ha amati. Le sentenze hanno comunque disegnato uno scenario probabile di ciò che avvenne il 27 giugno del 1980: quella notte nei cieli del Mediterraneo era in corso una guerra con l'obiettivo di abbattere l'aereo del colonnello libico Gheddafi. Da un velivolo militare partì un missile che centrò in pieno il Dc 9, sulla cui scia probabilmente viaggiava un Mig libico. Secondo recenti pronunciamenti, la presenza di quell'aereo nel posto sbagliato al momento sbagliato non fu una triste coincidenza ma una gravissima disattenzione da parte dello Stato italiano. «La Corte di Appello nel 2017 aveva riconosciuto ai familiari il risarcimento da parte dei ministeri della Difesa e dei Trasporti in quanto responsabili dell'omessa vigilanza che causato la tragedia. In molte sentenze riconosciute l'abbattimento da parte di un missile o una collisione in una militare – spiega l'avvocato della famiglia Parrinello, Vanessa Fallica, figlia di Vincenzo, il primo legale ad aver avviato un'azione civile a tutela delle vittime – ma, nonostante questi pronunciamenti, l'Avvocatura dello Stato si è opposto al pagamento ritenendo che le somme dovessero essere compensare con quelle che i familiari percepiranno sotto forma di assegno vitalizio. È l'ennesima dimostrazione di come lo Stato, che da un lato riconosce il risarcimento del danno, dall'altro agisce affinché ciò non avvenga».Alla famiglia Parrinello è rimasto solo il ricordo di tre persone che amavano e la cui morte ha cambiato il corso di tante vite. «Ogni anno, per l'anniversario della strage di Ustica, deponiamo una corona in mare – dice Fausta con un filo di commozione – per onorare la memoria dei nostri cari e perché lì, nel blu profondo, insieme a loro è sepolto un pezzo del nostro cuore».   COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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