PALERMO – Pregava dio perché lo aiutasse a portare a termine ciò che avrebbe dovuto fare. Parlava di un viaggio in Francia per «compiere azioni pericolose» e temeva che non avrebbe mai fatto ritorno. Accenni che hanno subito colpito gli investigatori che lo stavano intercettando. E che inducono il sospetto che stesse pianificando attentati. Dell’uomo “ascoltato» dalle Fiamme Gialle, che hanno scoperto un’organizzazione criminale che organizzava sbarchi di migranti su gommoni extraveloci in grado di sfuggire ai pattugliamenti del Canale di Sicilia, non c’è più traccia. Sarebbe un marocchino ed è nella lista dei 13 per cui la Dda di Palermo ha disposto il fermo con le accuse di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e contrabbando di sigarette.
Coinvolto nel business, è sparito nel nulla come molti dei “passeggeri” che la banda portava dalla Tunisia alle coste siciliane. Viaggi sicuri, lontano dalle rotte battute solitamente dagli scafisti, pagati cifre altissime. In cambio, la garanzia di non essere intercettati dalle forze dell’ordine e sottoposti alle procedure di identificazione una volta giunti in Italia. «L’inchiesta colpisce un’organizzazione criminale che favoriva l’ingresso di migranti irregolari interessati a un trasporto via mare sicuro e disposti a pagare cifre più alte rispetto ai tradizionali viaggi sui barconi o a evitare qualunque forma di controllo ed identificazione all’arrivo. Anche per questa ragione non può escludersi, ma non vi sono elementi precisi al riguardo, che potessero approfittarne anche soggetti pericolosi», commenta il capo della Dda di Palermo Francesco Lo Voi. E dall’indagine emerge la presenza, all’interno del gruppo criminale, di estremisti jihadisti che avrebbero manifestato atteggiamenti ostili alla cultura occidentale anche mediante propaganda attuata attraverso falsi profili attivati su piattaforme «social».
I provvedimenti di fermo, eseguiti dai finanzieri del nucleo di Polizia economico-finanziaria di Palermo e della compagnia di Marsala, riguardano tunisini, italiani e marocchini. Solo sette persone sono state arrestate, sei sono ancora ricercate. Il clan criminale, capeggiato da pericolosi pregiudicati tunisini, utilizzava gommoni carenati con potenti motori fuoribordo ed esperti scafisti, nel braccio di mare tra la provincia tunisina di Nabeul e quella di Trapani, consentendo agli immigrati di raggiungere, in poco meno di quattro ore di navigazione, le coste italiane.
Ogni viaggio, per il quale venivano imbarcate dalle 10 alle 15 persone, con costi tra i 3000 e i 5000 euro a testa, prevedeva anche il trasporto di sigarette di contrabbando, destinate al mercato nero italiano ed in particolare a quello palermitano. Per il traffico, che poteva fruttare tra i 30.000 e i 70.000 euro a volta, era stata predisposta una efficiente rete organizzativa, che contava sull’operato di elementi tunisini, italiani e marocchini che si occupavano di fornire ai migranti un vero e proprio servizio «shuttle» dalle spiagge di sbarco sino alle basi logistiche dell’organizzazione, dove, una volta rifocillati e forniti di vestiario, potevano liberamente raggiungere le destinazioni scelte. L’organizzazione si occupava anche della ricezione e dello stoccaggio delle sigarette di contrabbando, nonché della loro successiva collocazione presso le reti di vendita che facevano capo a una italiana. La donna, Adele Micalizzi, moglie di un boss di Cosa nostra, era al vertice di una più ampia rete illegale di vendita di prodotti di contrabbando destinati al mercato palermitano.