La Sicilia ha perso più di un miliardo con la delibera di definanziamento del Cipess di opere da appaltare ed è in cerca di un altro miliardo per non dovere bloccare i cantieri “Pnrr” già in corso. E con un governo nazionale che fa fatica a trovare risorse per la Manovra e che deve mantenere credibilità agli occhi dell’Ue questo diventa il problema dei problemi.
Sul piano amministrativo, la seduta del Cipess dello scorso 29 novembre è stata un terremoto per il settore delle opere pubbliche, al Sud in generale e in Sicilia in particolare. Perchè, oltre a definanziare quasi 3 miliardi di fondi Fsc 2014-2020 di cui avevamo dato notizia nei giorni scorsi, per la stessa ragione, cioè la “mancata adozione di obbligazioni giuridicamente vincolanti” entro la scadenza prevista, la mannaia si è abbattuta anche su altri quasi 4 miliardi di risorse più “fresche”, ossia fondi dei Piani di sviluppo e coesione 2021-2027 di competenza dei ministeri, in particolar modo del ministero delle Infrastrutture. Si tratta dei fondi provenienti da precedenti programmazioni e anticipati al Mit dallo stesso Cipess con la delibera numero 1 del 15 febbraio 2022, poi integrata nel 2023 per aumentare le risorse a seguito degli aumentati costi dei materiali. Servivano a finanziare i cosiddetti “progetti bandiera”, dotati di progettazione esecutiva e, quindi, immediatamente cantierabili.
Gli addetti ai lavori ricordano che solitamente in queste occasioni i fondi vengono prorogati se si sa di un’imminente passaggio alla fase di gara. Invece questa volta c’è stata la revoca e l’ipotesi maliziosa di più osservatori è che in realtà di questi 4 miliardi una buona parte non ci fosse più, che fossero, in sostanza, cifre “cartolari” ma non più disponibili. E questo spiegherebbe come mai, ad esempio, nella rimodulazione dei fondi definanziati il Cipess abbia riassegnato solo poco più di 2,5 miliardi al Mit per infrastrutture strategiche nazionali. Gli stessi malpensanti ritengono che questi pochi “soldi veri” potrebbero essere stati dirottati verso il Ponte sullo Stretto. Ma per saperne di più occorre attendere la pubblicazione del testo della delibera. E sta di fatto che sono soldi ritornati nella disponibilità del governo nazionale, che in teoria può usarli per queste come per altre opere. In Rfi confidano che tornino ai progetti originari: «Quello del Cipess – spiega Lucio Menta, direttore nazionale degli investimenti di Rfi – è un atto dovuto e si sapeva da tempo: non essendo state le somme impegnate entro la scadenza, vanno definanziate per poi essere riassegnate. Fra l’altro, non sarebbero neanche state sufficienti a coprire il fabbisogno perchè si tratta di somme stanziate prima che nel 2021 scattasse il caro-materiali. Noi auspichiamo che ci vengano riassegnate e con l’integrazione necessaria. Ci sarà una successiva delibera del Cipess in tal senso».
La nota dolente per la Sicilia è che è la Regione che ha subito il taglio più profondo. Infatti, all’elenco precedente pubblicato su queste pagine ora si aggiungono due opere strategiche che da sole valgono quasi un miliardo: la seconda macrofase dell’Alta velocità ferroviaria Palermo-Catania, il cui originario stanziamento di 408 milioni del Contratto interistituzionale di sviluppo con Rfi era stato poi aumentato a 575 milioni e che a sua volta era stato integrato di una percentuale del 7% per coprire i maggiori costi del caro-materiali; e il secondo tronco dell’autostrada Siracusa-Gela-Rosolini-Ragusa e il lotto 9 di Scicli, che valgono quasi 400 milioni.
Quanto alla parte ferroviaria, si tratta di piccoli lotti di raddoppio del binario previsti dal Cis e che, nell’aggiornamento del progetto di Rfi finanziato dal “Pnrr”, erano stati trasformati, su richiesta della Regione, in lavori per aumentare la velocità a 250 kmh lungo la tratta Lercara-Enna nuova. Su questa materia Webuild, per conto di Rfi, eseguirà la prima fase, che riguarda la predisposizione dell’infrastruttura di base per reggere alle vibrazioni dell’Alta velocità. Con il definanziamento quella che verrebbe a mancare è l’infrastruttura superiore. Quando ci saranno le idee più chiare su ciò che è successo, bisognerà sottoscrivere un nuovo Accordo di programma con Rfi e reperire le risorse necessarie magari “grattando” anche queste dai fondi Fsc della Regione.
L’assessore regionale alle Infrastrutture, Alessandro Aricò, non sembra preoccupato: «Dobbiamo capire nel dettaglio cosa ha scritto il Cipess nella delibera – dice, raggiunto telefonicamente – ma già stiamo valutando col presidente Schifani il da farsi». Ma c’è un’incognita ancora più minacciosa. Il caro-materiali ha inciso anche quest’anno, quando, in più, si è dovuto anche fare fronte alla siccità che ha ritardato l’avvio delle talpe Tbm e creato disagi ai cantieri. Nel conto non c’erano le spese sostenute per portare acqua da invasi e depuratori fino ai cantieri dell’Alta velocità e alle talpe. I tecnici di Rfi e Webuild stanno facendo i calcoli, ma da prime stime parziali sembra che i maggiori costi rispetto alla spesa finanziata ammonterebbero ad una cifra compresa fra i 500 milioni e il miliardo di euro.
Chi dovrà pagare il conto? «Confidiamo – spiega Lucio Menta – nel fatto che nella Manovra entrino la proroga dell’ex decreto “Aiuti” e le risorse necessarie per un problema che, in realtà, riguarda tutti i cantieri sul territorio nazionale». In caso contrario, si fermeranno anche i cantieri in corso della Palermo-Catania-Messina perchè i soldi del “Pnrr” non bastano più.
Dunque, il problema non è più solo quello della proroga della scadenza del “Pnrr”, perchè i ritardi provocati anche dalla siccità forse non consentiranno di rispettare il cronoprogramma e di completare le opere entro giugno del 2026. È diventato più urgente aggiungere soldi al “Pnrr”. Ma con un ministro del “Pnrr”, Raffaele Fitto, appena diventato Commissario europeo alla Coesione e un ministro al “Pnrr” nuovo di zecca, Tommaso Foti, c’è il rischio che la soluzione non arrivi in tempo per scongiurare il peggio.