Palermo – Talvolta è tutta questione di prospettive. Punti di vista. Dai quali si osserva la stessa cosa. Magari il riferimento a un’indagine ad hoc su un atto che non c’è ancora rischia di essere talmente specifico da diventare, per certi versi, riduttivo. Sì, perché qui a Palermo c’è un certo giramento di carte su quello che è successo (e che succede) alla Regione su energia e rifiuti; a partire dalla montagna di atti dell’inchiesta sulle mazzette della premiata ditta Paolo Arata-Vito Nicastri, facilitatore leghista il primo e imprenditore molto più che in odor di mafia il secondo. Ma il salto di qualità, semmai, è capire se il sistema riscontrato nell’iter degli impianti di biometano cari ad Arata e Nicastri sia stato replicato in altre procedure. Anche sui rifiuti, materia in cui – come dimostrano le pesanti motivazioni del tribunale di Palermo nella sentenza di condanna, fra gli altri, del funzionario Giancarlo Cannova e dell’ex presidente di Oikos, Domenico Proto – i palazzi della Regione sono nel pieno del «vorticoso sistema di corruzione» attestato dai giudici.
Ci sono politici e burocrati sensibili alle pressioni illecite di imprenditori e faccendieri? Più che un filone sul Piano regionale dei rifiuti (al netto dei dubbi sulla coincidenza fra il super consulente in prima linea nella redazione e il presidente della commissione Via-Vas che l’ha approvato: Aurelio Angelini), a Palermo emerge l’upgrade – naturale, fisiologico, quasi scontato – dell’inchiesta sull’eolico. Con verifiche sull’attività di tutti gli uffici dei due dipartimenti: Energia e Rifiuti. E, soprattutto, con un comune denominatore: Alberto Pierobon, che fino a giovedì ha ribadito di essere «a disposizione dei magistrati». E non è un caso che l’assessore sia l’unico “big” citato nelle carte di Arata a non essere stato sentito dai pm. Magari perché su di lui ci sono quegli «approfondimenti attenti» di cui si vocifera a palazzo di giustizia, fino a ipotizzare addirittura che ci sia (o ci sia stato) un confronto interno al pool di magistrati sulla veste – persona informata dei fatti o indagato – nella quale sentire lo stesso Pierobon. «Eh, beh, ma finché non è… non portiamo a casa la pelle dell’orso», diceva l’assessore veneto ad Arata in uno dei tanti colloqui intercettati. Ma è stato anche un collega di giunta, Toto Cordaro a inguaiarlo. L’assessore al Territorio e ambiente, sentito dal procuratore aggiunto Paolo Guido e dal sostituto Gianluca De Leo, lo scorso 28 novembre afferma: «L’assessore all’energia Alberto Pierobon, a iniziare dall’autunno del 2018, iniziò a invitarmi e più volte a sollecitare gli uffici competenti ed evadere la pratica di Arata. L’impressione che ebbi è che Pierobon desse per scontato che la commissione si esprimesse nei termini evoluti da Arata».
La vicenda è molto più complicata e contorta di ciò che emerge nell’ordinanza. In cui, c’è una domanda che gli Arata ponevano al figlio di Nicastri sulla strategia del “rivale”, l’imprenditore milanese Antonello Barbieri. «Quindi ha agganci con Musumeci… come cazzo c’è arrivato a Musumeci?». Oggi alle 10,30, al PalaRegione di Catania, Nello Musumeci in parlerà di rifiuti. Con «dichiarazioni shock», annunciano dal suo entourage. Sullo sfondo un altro dubbio: c’è un legame fra caos, ritardi e affari? Su questo versante potrebbe tornare utile ai pm palermitani parte del materiale che l’Antimafia dell’Ars sta accumulando nell’istruttoria sul ciclo dei rifiuti. Atti, ma soprattutto audizioni e inediti incroci di dati. La tesi più macroscopica sul tavolo della commissione di Claudio Fava, infatti, coincide con alcuni riscontri di investigatori e magistrati. E cioè, per dirla in termini chiari, che in Sicilia quello del caos sui rifiuti – emergenze perenni, proroghe di appalti, impianti pubblici al palo e differenziata soltanto da poco incrementata nei comuni – sia un regime in cui sguazzano i soliti noti.
Bisogna scoprire se c’è un nesso di causalità (che comunque sta già emergendo) fra impasse e business. Partendo, ad esempio, dalle gare su raccolta e smaltimento dei rifiuti. Sono arrivati all’Antimafia quasi tutti i dati chiesti ai 390 comuni siciliani (regime di gestione e ditta affidataria) e in una cinquantina ci sarebbe l’anomalia di proroghe “eterne”, con procedure di gara spesso avviate ma poi finite a binario morto. In molti casi i (pochi) nomi delle imprese beneficiarie di rinnovi senza gara sono gli stessi. E non sempre al di sopra di ogni sospetto.
Inoltre, le situazioni paradossali dei comuni che, invece, incrementano la differenziata, ma rischiano di essere strozzati dall’aumento “unilaterale” del costo del conferimento in siti privati. Uno dei casi più clamorosi riguarda Siracusa, dove l’amministrazione segnala, sul conferimento dell’umido in una struttura etnea, un sovrapprezzo del 10-15% “prendere o lasciare”. Logiche di mercato, certo. Ma anche potenziali accordi di cartello, se come rilevato da più sindaci – due impianti di Tmb della Sicilia orientale chiudono, contemporaneamente, per 15 giorni dopo le lamentele dei sindaci sull’aumento del prezzo. «Piuttosto che conferire all’altro capo dell’Isola, è più conveniente non fare la differenziata», l’amara constatazione degli amministratori locali.
Il cerchio che si chiude, in uno scenario simile a quello dell’inchiesta di Palermo. È nell’immobilismo, oltre che nel caos, che il business dei rifiuti s’impenna. Bisogna capire se e quanto questa ammuina abbia complicità illustri dentro i Palazzi.
Twitter: @MarioBarresi