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«Pietre, animali uccisi e minacce», ecco perché gli aguzzini delle sorelle Napoli sono stati arrestati

Di Redazione |

«Violenze e minacce reiterate», persino con lancio di sassi, e l’uccisione di animali, «che rasentano i metodi mafiosi», per colpire le sorelle Irene, Ina e Marianna Napoli, le tre imprenditrici agricole di Mezzojuso (Palermo), finite al centro dell’attenzione per avere denunciato le intimidazioni ricevute.

Il tutto per costringerle «a cedere la proprietà o la gestione della loro azienda agricola». Minacce che si sarebbero susseguite per oltre venti anni, dal 1998 fino allo scorso novembre. E’ quanto scrive il giudice per le indagini preliminari di Termini Imerese Claudio Bencivigni nell’ordinanza di custodia cautelare, di cui è in possesso l’Adnkronos, a carico di Simone La Barbera, Antonino Tantillo e Liborio Tavolacci, arrestati poco prima di Natale con l’accusa di tentata estorsione.

I tre sono accusati di avere «danneggiato sistematicamente le recinzioni poste a protezione dell’azienda agricola, introducendovi animali di diversa specie, che calpestavano i terreni, anche durante la semina e si nutrivano del raccolto, nel danneggiare il lucchetto del casolare di campagna delle Napoli, in almeno tre occasioni, nell’uccidere due cani delle Napoli, lasciando le loro carcasse in stato di decomposizione all’interno dei locali della proprietà».

Secondo il gip, le sorelle hanno «sfidato apertamente anche in televisione la legge dell’omertà sulla quale si fonda la spartizione dei terreni tra pastori nelle campagne tra Mezzojuso, Corleone e Godrano».

Le sorelle Napoli hanno, infatti, denunciato quanto accadeva pubblicamente in tv a Non è L’Arena condotto da Massimo Giletti, fino a domenica scorsa. Per il giudice il pericolo delle intimidazioni è «ancora attualissimo». Perché, secondo il gip, «non appena i riflettori televisivi caleranno definitivamente sulla storia delle sorelle Napoli, le molestie, i danneggiamenti e le intimidazioni ai loro danni riprenderanno vigorosamente».

Le sorelle Napoli sono proprietarie di un’azienda agricola con oltre 70 ettari di terreno tra Corleone e Mezzojuso dove coltivano cereali e foraggio. Irene, Gioacchina e Marianna Napoli dopo la morte del padre, dicono di aver subito minacce e intimidazioni mafiose per costringerle a cedere l’attività. Le tre donne hanno denunciato danneggiamenti, l’uccisione dei propri cani, sconfinamenti di vacche che vanno nei loro terreni. E, a distanza di venti anni, dalle prime denunce, alla vigilia di Natale sono arrivate le manette per i tre indagati che sono ancora in carcere. Nei prossimi giorni si attende la decisione del Tribunale del Riesame di Palermo sulla loro scarcerazione, come chiesta dai loro legali.

Fino al 1998 era stato il padre delle sorelle Napoli ad occuparsi dell’azienda agricola, ma venti anni fa l’uomo era stato colpito da una grave malattia invalidante e l’impresa è passata alle figlie che se ne sono sempre occupate. Tutto inizia la mattina del 19 dicembre del 1998 quando le tre sorelle, che erano a Palermo per seguire il padre malato, vennero contattate al telefono da Antonello Montana, loro dipendente «il quale riferiva alle donne che Antonino Tantillo, detto Nenè”, uno degli arrestati, «si era recato nell’azienda in quanto il padre era ormai impossibilitato a lavorare e conseguentemente il padrone dell’azienda agricola era diventato lui, rivendicando il diritto di proprietà su quei terreni sulla base di una parentela con le Napoli», scrive il gip.

Dopo la telefonate le sorelle si sono precipitate in campagna e proprio mentre erano intente al lavoro sui terreni, si è avvicinato Tantillo «probabilmente scambiando le donne per delle operaie a causa dell’abbigliamento indossato. E in quell’occasione ha brandito un frustino di quelli che si usano con gli animali».

La sera lo stesso Tantillo ha iniziato a tirare pietre contro le sorelle, e una delle pietre ha colpito Irene Napoli alla spalla.

Minacce che sarebbero durate anni. E le sorelle non si sono mai fermate a denunciare quanto accadeva. Così il 19 marzo 2014 Irene Napoli ha denunciato di «avere trovato i suoi fondi invasi da equini e bovini provenienti dalla Riserva naturale della Ficuzza».

A questa denuncia ne sono seguite molte altre in cui le donne raccontavano tutte le angherie subite in questi anni. «La sistematica presenza di questi animali di grossa taglia – scrive il gip nell’ordinanza – ha provocato danni consistenti alle colture, dimezzando il raccolto annuale».

Alcune di quelle bestie provenivano dall’Istituto zootecnico sperimentale di Godrano. Nell’ordinanza sono elencate tutte le date in cui le donne hanno continuate a subire minacce e intimidazioni, 22 volte soltanto nel 2015. Uno degli indagati avrebbe definito le sorelle «Le quattro dannate», come ha riferito una teste alle imprenditrici.

Nel 2018 la vicenda è salita alla ribalta nazionale perché le sorelle sono state invitate a raccontare la loro storia alla trasmissione de La7 ‘Non è l’Arena’. «Dalla data della prima diretta erano cessate le invasioni di animali nei terreni – scrive il gip – La donna ascriveva alla notorietà televisiva la cessazione delle invasioni».

In seguito «poiché nel mese di novembre 2018 la trasmissione ‘Non è l’Arena’ non aveva più trattato la vicenda per alcune puntate, puntualmente erano ricominciate le invasioni”, scrive il gip. Il magistrato usa parole dure nei confronti degli arrestati. Senza giri di parole. Il gip parla di «gravi indizi sussistenti del reato di tentata estorsione, portata a termine con mezzi che rasentano le metodiche utilizzate dalla criminalità organizzata, che non consentono più di ritenere le condotte subite dalle persone offese con singoli, slegati accadimenti, avendo le stesse persone offese fornito dei particolari che fungono da collante e forniscono una univoca chiave di lettura degli accadimenti che costituiscono piuttosto tasselli di un puzzle in cui appare evidente come la denunciante sia vittima di un disegno estorsivo finalizzato a privarla, contro la sua volontà, del possesso e della proprietà dei beni ereditati».

E ricorda ancora il giudizio “di credibilità” di Irene Napoli. «La vittima – scrive il gip nel provvedimento di arresto – ha ricevuto delle inequivoche indicazioni su quello che avrebbe dovuto essere l’obbligatorio percorso da seguire per fare cesare le molestie a partire dal consiglio ‘benevolo’ del soggetto più influente del comprensorio per seguire con le pressioni ricevute al fine di ‘ritirare’ le querele coraggiosamente sporte ed evitare di ‘consumare’ delle persone ‘per bene’ accompagnate ancora dall’inequivoco riferimento al fondo, per finire con le ultime, oscure minacce ricevute dai Tavolacci e con l’ulteriore prospettazione intimidatoria sui futuri danneggiamenti che la denunciante avrebbe subito nei suoi possedimenti che sarebbero stati calpestatoi dagli animali dal giorno della semina a quello della trebbiatura”.

E’ stato necessario il carcere per i tre indagati perché «sussiste il serio ed imminente pericolo che le tre sorelle e la madre siano fatte oggetti di violenza fisica, anche estrema, e la loro azienda, sia ancora più gravemente danneggiata se non distrutta in assenza di idonee misure cautelari da applicare agli indagati».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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