Una “scintilla” scoccata camminando per le vie di Palermo, dove sempre più alto è il numero di chi improvvisa un giaciglio con vecchi materassi o cartoni; di chi trova rifugio nei vagoni dei treni dismessi o vaga senza meta; di chi sceglie (o è costretto) a un’esistenza diversa, senza tempo, parallela al nostro quotidiano. Nunzio ha incrociato la sua vita con quella di questi uomini. «Camminando per strada – racconta – ne ho visti tanti, troppi, e ho pensato che anche io posso aiutarli».
Già, aiutare: un verbo che Nunzio, studente di terza media, pronuncia spesso. Perché, spiega, «provo un’emozione nell’aiutare qualcuno. E quando le cose non vanno bene, mi domando se abbiamo sbagliato qualcosa. Se noi volontari dell’associazione potevamo fare di più». È successo con Andrea, un clochard che vive nei pressi della stazione centrale. «Andrea – argomenta Nunzio – è un signore di circa 60 anni. Dice che senza di noi non potrebbe farcela. Un giorno non riuscivamo a trovarlo al solito posto. In una successiva ronda lo abbiamo rintracciato, ci ha raccontato che alcuni ragazzi gli hanno bruciato materasso e coperte. Era spaventato ed è scappato».
Storie di due mondi distanti, spesso ostili (con conseguenze tragiche, come riferisce la cronaca nera), che un ragazzino 13enne è invece riuscito a unire. Seguendo l’esempio del beato Pino Puglisi: «Se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto».
E molto ancora vuole fare Nunzio, figlio di una Palermo semplice: papà macellaio, mamma casalinga e sorellina di un anno più piccola. «Fare il volontario mi piace. Continuerò a farlo, anche se andrò a scuola, all’università o lavorerò. Il tempo per le ronde, per aiutare i clochard, lo troverò sempre. Magari aprirò anche io un’associazione, con un dormitorio e le docce» dice Nunzio che, dopo la licenza media (quest’anno sarà di esami), vuole iscriversi al Nautico e imbarcarsi «per fare l’elettricista sulle navi». Essenziale, pratico, ma anche riservato. Solo recentemente ha parlato della sua esperienza con professori e compagni di scuola: «È capitato casualmente, perché si discuteva di povertà. Non ne parlo tanto con i miei coetanei, a loro non interessa aiutare il prossimo. Forse perché sono troppo “perfettini” oppure perché i genitori non vogliono, temono che i barboni possano essere pericolosi. Vero, ci sono pure quelli aggressivi; ma basta parlare loro con calma, metterli a loro agio. La solidarietà è una cosa bellissima».
Dare per ricevere un sorriso, una pacca sulla spalla o semplicemente per tenersi dentro un’emozione. «Nunzio la vive come un’esperienza intima» rivela mamma Sabrina, che domani parteciperà assieme al figlio alla Giornata nazionale della colletta alimentare. Sempre con l’associazione Anirbas. «Anche se non faccio le ronde – aggiunge – do una mano in associazione, ad esempio preparando il cibo. Inutile dire che io e mio marito siamo orgogliosi di nostro figlio. È entusiasta di essere un volontario e lo fa con amore. Pure mia figlia vorrebbe seguire l’esempio del fratello. Non mancherà tempo…». Di forze giovani, l’Anirbas ne ha già tante. Lo afferma con orgoglio Sabrina Ciulla, 36enne ex giocatrice di softball, che lavora in un ente di formazione professionale e tre anni e mezzo fa ha fondato l’associazione (Anirbas non è altro che Sabrina letto al contrario), dopo un passato di volontaria in quartieri “difficili” di Palermo come lo Sperone e lo Zen 2. «La maggior parte dei nostri volontari è composta da ragazzi di età compresa tra i 18 e i 22 anni. Ma soprattutto siamo rappresentati da tutte le classi sociali: dall’operaio all’avvocato, passando per medici e psicologi. Tutti danno una mano a titolo gratuito. Nunzio è la nostra mascotte, ha un grosso potenziale e un cuore grande», sottolinea Ciulla, prima di tracciare il profilo del clochard: «Sono pochi gli stranieri, in massima parte si tratta di italiani. Disoccupati, con un matrimonio andato in frantumi, che si sono rifugiati nell’alcol, nella droga, nel gioco d’azzardo. Uomini diventati poveri, in alcuni casi anche malati che non si vogliono curare». L’Anirbas per loro è come una seconda famiglia. «Il nostro obiettivo – spiega Ciulla – è toglierli dalla strada, non tutti però vogliono uscire da questa vita».
Non solo clochard: l’associazione palermitana svolge attività quotidiane per i bambini e di supporto alle mamme. Da poco l’Anirbas ha anche sottoscritto un accordo con il tribunale per la presa in carico, tra gli altri, di soggetti in semilibertà, in affidamento e messi alla prova. «Scontano la pena con noi – conclude Sabrina Ciulla – e, concluso il periodo di rieducazione, tornano in società con la fedina penale pulita».