Palermo
Mafia, decapitata la nuova Cupola retta da un “gioielliere” arrestato con altri 45
PALERMO – A mezzogiorno del 29 maggio scorso quattro boss palermitani, tutti sotto indagine, fanno perdere le proprie tracce per qualche ora. Spariscono. E nessun aiuto agli investigatori, che da mesi li tengono sotto controllo, arriva dai cellulari che, stranamente, non danno indicazioni sui loro spostamenti. Uno di loro, Francesco Colletti, capomafia di Villabate, non volendo, fornirà però agli inquirenti la chiave del mistero. E in auto a un uomo d’onore racconterà minuto per minuto, non sapendo di essere intercettato, la cronaca del summit appena concluso tra i più influenti padrini palermitani. Riuniti in un luogo rimasto misterioso il 29 maggio i capimafia hanno riportato in vita la commissione provinciale di Cosa nostra e designato il nuovo capo dei capi: Settimo Mineo, 80 anni, professione ufficiale gioielliere, imputato al maxiprocesso e condannato e due fratelli uccisi durante la guerra di mafia. Le parole di Colletti per i carabinieri e i pm della dda di Palermo sono la conferma di un sospetto di mesi: i boss rivogliono la Cupola. Stretta da anni di strapotere corleonese, tenuta in sonno durante la detenzione di Riina, l’unico capo indiscusso di Cosa nostra, torna a funzionare. Perché con la morte del padrino c’è bisogno delle antiche certezze e di un organismo che decida «le cose gravi».
LE FOTO DEI FERMATI
Mineo oggi è tornato in carcere con l’accusa di associazione mafiosa. Con lui, in una maxi operazione dell’Arma denominata non a a caso Cupola 2.0, sono finite in manette altre 45 persone: capimafia, estortori, gregari dei mandamenti di Pagliarelli, Porta Nuova, Villabate e Misilmeri. «Si è fatta comunque una bella cosa.. per me è una bella cosa questa.. molto seria… molto…con bella gente.. bella! grande! gente di paese.. gente vecchi gente di ovunque», commentava entusiasta Colletti parlando del summit a cui avevano partecipato, tra gli altri, tre big di Cosa nostra palermitana: Settimio Mineo, appunto, reggente del mandamento mafioso di Pagliarelli, Filippo Bisconti, reggente del mandamento mafioso di Misilmeri – Belmonte Mezzagno e Gregorio Di Giovanni, reggente del clan Porta Nuova. E nel corso dell’incontro erano state dettate le regole. Dal rispetto delle zone di influenza di ciascun mandamento, alla rappresentanza esclusiva del territorio dei reggenti. «Nessuno è autorizzato a poter parlare dentro la casa degli altri», diceva Colletti.
Ordine e rispetto delle «norme», dunque. Pena l’esclusione dall’organizzazione. «Cosa nostra non può rinunciare alle tradizioni», spiega il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi che ha coordinato l’indagine. Mentre l’aggiunto Salvo de Luca parla di ritorno a una «democrazia» interna in Cosa nostra e a un organismo collegiale dopo anni di dittatura. Per il resto l’inchiesta racconta una mafia più interessata che mai agli affari: la droga, antico business per anni lasciato alla ndrangheta, le scommesse online, nuova frontiera del guadagno illecito, le estorsioni. I carabinieri ne hanno accertate 28. Bersagli commercianti e imprenditori, soprattutto edili. «Nove vittime – ha sottolineato il comandante provinciale dei carabinieri Antonio Di Stasio – si sono presentati spontaneamente a denunciare». La Cosa nostra che viene fuori dall’ultimo blitz dunque mantiene un solido attaccamento alle origini pur essendo pronta a puntare su investimenti nuovi. Una mafia arcaica, che continua a usare teste di capretto per minacciare i suoi nemici, a punire chi non rispetta le regole con la morte, ma negli affari non esita a scommettere sul futuro.