PALERMO – Venticinque anni. Una generazione intera di ragazzi, nati dopo le bombe di Capaci e via D’Amelio, insieme per celebrare una storia che non hanno mai vissuto. Di Falcone e Borsellino hanno studiato a scuola, hanno letto sui libri. Eppure, quest’anno, come ogni anno, sono tutti insieme, colorati, allegri, consapevoli, capaci di rendere un giorno del dolore la festa della gioia. L’aula bunker del carcere Ucciardone che segnò il luogo del riscatto dello Stato dopo anni di buio, lì dove venne tenuto il primo maxistorico processo a Cosa nostra è loro: 1000 sono arrivati a Palermo con la nave della Legalità; gli altri, centinaia, vengono dalle scuole della città. Nel giorno dell’anniversario dell’attentato cantano, colorano, guardano curiosi, ascoltano la storia di Falcone, delle sue idee rivoluzionarie sulla lotta alla mafia, l’eredità lasciata ai colleghi, la sua capacità di vedere lontano.
A parlare al popolo dei ragazzi di quel ’92, l’anno che cambiò la storia del Paese, sono il Capo dello Stato Sergio Mattarella, il presidente del Senato che, per 21 mesi, nell’aula bunker, celebrò il maxiprocesso come giudice a latere, Maria Falcone, che con la Fondazione intitolata al fratello e alla moglie morta insieme a lui, Francesca Morvillo, da anni porta il ricordo del magistrato nelle scuole. E il ministro dell’Interno Marco Minniti, Rosy Bindi, presidente dell’Antimafia, il capo della Dna Franco Roberti, il direttore generale della Rai Campo Dall’Orto, il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini e i tanti magistrati che con Falcone lavorarono fianco a fianco. Manca Alfonso Giordano, presidente della corte d’assise che inflisse 19 ergastoli e migliaia di anni di galera ai padrini mafiosi al maxiprocesso: «non sono stato invitato, me ne dispiaccio», fa sapere.
«Il ricordo di quei giorni lontani di Palermo, così drammatici, così cupi e così segnati da tanta violenza e tanto dolore, permane pienamente vivido, in Italia e nel mondo», dice Mattarella. «Sembrava che, insieme al dolore, prevalesse lo scoramento. Che la mafia, piegata e sconfitta nel maxiprocesso, si fosse rialzata, prendendosi la rivincita e, con essa, il suo perverso potere. Ma la paura e la sfiducia non hanno avuto la prevalenza», prosegue il Capo dello Stato che ieri ha ricordato Falcone al Csm in una cerimonia – dice Legnini – «che riconcilia il Consiglio con la sua memoria».
Una svolta. Questo fu il ’92, l’anno delle bombe mafiose. Da allora tutto è cambiato. «I siciliani hanno rialzato la testa e penso che il prezzo tremendo che abbiamo pagato abbia avuto un senso», dice Tina Montinaro, vedova dell’agente che scortava Falcone, morto col magistrato. E’ in piedi, davanti allo scheletro di lamiera che resta dell’auto saltata in aria sull’autostrada imbottita di tritolo, oggi riportata a Capaci dopo un viaggio della memoria lungo tutta l’Italia. Accanto a lei c’è Rosaria Costa che nel ’92 era la giovanissima sposa di Vito Schifani, altro agente morto. L’Italia la vide in lacrime ai funerali che intimava ai mafiosi: «inginocchiatevi». Ora è una donna e parla del figlio «che ha voluto seguire le orme di un padre che ha cercato nelle fotografie». Ora è nella Guardia di Finanza.
Per le centinaia di giovani arrivati a Palermo – alcuni sono stati premiati dal ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli per i loro lavori sulla legalità – Falcone e Borsellino sono un esempio. «Scendete in strada», hanno urlato ai palermitani affacciati a guardarli sfilare in corteo verso l’albero Falcone in via Notarbartolo, simbolo ormai del dovere della memoria. Poi alle 17.58, l’ora della strage, il Silenzio suonato da un agente della polizia. Piero Grasso legge i nomi delle vittime dell’attentato. E il cantante dei Negramaro Giuliano Sangiorgi, canta «Lo sai da qui». «Ti mostrerò com’è speciale il mondo anche se fa male non è quel posto da lasciare è ancora presto per partire», intona ricordando chi è morto.
Una lunga giornata per non dimenticare che terminerà stasera con la diretta Rai dai luoghi simbolo della vita e del lavoro di Falcone.